giovedì 20 febbraio 2014

IO CONSUMERIZZO, TU CONSUMERIZZI, EGLI CONSUMERIZZA…… Editoriale del Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia n4 /2013

Io consumerizzo, tu consumerizzi, egli consumerizza……

R.R. è una maestra in pensione di 66 anni che viene quasi mensilmente in ambulatorio sempre a braccetto con il proprio marito, avvocato in quiescenza. E’ una brava donna e non perde mai l’occasione per riferire i propri malesseri e sottolineare il progressivo peggioramento della propria situazione fisica. Ogni mese descrive un quadro sintomatologico che rimanda a quasi tutti gli organi ed apparati, mentre il marito mi guarda con lo sguardo che tradisce ironia e commiserazione nei mie confronti; i suoi occhi infatti sembrano dire:” Io la sento tutti giorni, per un po’ l’ascolti anche lei!”. E’ da qualche mese però, che mi parla di un dolore abbastanza fisso, una noietta che parte dall’orecchio sn sino ad arrivare a quasi tutta l’emifaccia sinistra per concentrarsi principalmente sull’emiarcata dentaria superiore. A nulla è valso il parere del dentista e dell’otoiatra consultati di loro iniziativa. Negativa anche tutta la diagnostica per immagine: dalla radiografia standard sino alla TAC  maxillofacciale e dell’orecchio  con e senza contrasto.
Senza esito i tentativi terapeutici con vari antiinfiammatori non steroidei, qualche risultato con gabapentin prescritto da me nell’ipotesi di una sindrome nevralgica trigeminale, ma ovviamente la lettura del bugiardino ha fatto impedire la prosecuzione terapeutica oltre il mese. La settimana scorsa sono tornati in ambulatorio. Questa volta, però, ha preso subito la parola il marito e ,quasi sbattendo ed aprendo una spessa carpetta sulla mia scrivania, ha cominciato:” Mi scusi, dottore, ma tutti insieme, voi medici non siete arrivati a capire quello che io ho capito facendo una semplice giratina in internet ” rovistando tra un mucchio di fogli ed estraendone qualcuno” mia moglie ha una sindrome da malocclusione che è la causa da anni di tutti i suoi problemi….tutti quei dolori di testa ed alla colonna….adesso le ho portato la lista dei migliori studi dentistici dell’Italia Centrale che affrontano tale problema ed insieme cerchiamo di valutarla!....”.
Come si sia sviluppato poi il nostro dialogo, lo dirò in privato a chi ne farà richiesta, ma mi serve la narrazione di questa mia storia perché illustra molto bene nella quotidianità i concetti che mi preme esprimere in queste poche righe.
La consumerizzazione, meglio la information technology Consumerization è il fenomeno in base al quale l’uso e lo stile delle tecnologie in ambiente lavorativo vengono dettate dall’evoluzione del profilo privato degli individui e dal loro utilizzo delle tecnologie personali.
Facciamo il primo esempio pratico che mi viene in mente, anche se non proprio pertinente come contesto: la scomparsa delle penne con pennino e calamaio dagli uffici e dalle scuole, è stata determinata da una scelta di programmazione aziendale o ministeriale o dall’uso di fatto che oramai quasi tutti facevano delle penne a sfera? Per quanti anni quelli della mia generazione hanno avuto il banco scolastico con un buco vuoto in alto al centro dove avrebbe dovuto esserci inserito  il calamaio con l’inchiostro in cui intingere il mitico pennino? Costatato, poi, di fatto, la sua inutilità anche l’arredamento scolastico si è adeguato…..anche le mitiche lavagne nere di ardesia sono in via di pensionamento con l’avvento delle lavagne bianche di plastica e ora di quelle elettroniche.
Quando abbiamo iniziato la nostra attività alla fine degli anni’70, il nostro lavoro poggiava ancora su un concetto di scienza quasi divino e molto autoreferenziale, le regole ed i comportamenti nostri venivano dettati dalla nostre discipline scientifiche di appartenenza professionalmente organizzate, per cui il cardiologo, per esempio, dettava le regole della cardiologia e della sua organizzazione nell’ ospedale e nel territorio. Ci soffro nel dirlo, ora invece, volenti o nolenti, siamo passati a una situazione in cui è il mercato che detta le regole e diciamo, senza offendere nessuno, che è  quasi il mercato stesso che struttura  la scienza e, la cultura digitale, che sta permeando la nostra società sta innescando una rivoluzione sociale al pari di quella industriale, ma con ritmi molto più vorticosi ed incalzanti. La Rete, il mondo Web 2.0  hanno determinato l’accesso totale a qualsiasi informazione e ovviamente anche a quella medica. Nel momento in cui un individuo viene colpito da una patologia non acuta si trasforma in un ePatient: un paziente, meglio un utente, capace di informarsi sulla propria situazione e possibilità di cura attraverso la relazione di conoscenze distribuite nella Rete.
Esemplare è il caso del signor Dave de Bronkart che in una Conferenza (TEDx) e con  una platea virtuale di oltre  trecentomila persone online, ha narrato la propria storia di malato di cancro con sei mesi di aspettativa di vita ma che, con le conoscenze che ha avuto  per mezzo di altri pazienti contattati tramite la Rete, è riuscito a vincere la propria malattia.
Senza dubbio questo è un approccio che si sta replicando in maniera impressionante e questa rivoluzione digitale, ovviamente, non attraversa il mondo sanitario lasciando indenni chi vi opera, compresi noi stessi che obbligatoriamente siamo costretti ad affrontare il cambiamento e cercare, invece di fare resistenza, di approfittare di quelle che potrebbero essere le opportunità. Dave de Bronkart è il prototipo dell’ePatient, quello che ha avuto una maggior risonanza mediatica ma non è altro che uno dei tanti e rappresenta solo il primo stadio della consumerizzazione, perché ben altri panorami e scenari si stanno profilando. Oramai, qualsiasi individuo in possesso di uno smartphone, telefonino intelligente o multimediale, chiamatelo come vi pare, possiede nella propria tasca una tecnologia superiore a quella in possesso della NASA quando mandò il primo uomo sulla luna e le App, le applicazioni su telefonia mobile che riguardano la salute, benessere e problemi medici stanno spuntando come funghi. Nel 2011 sono state scaricate  quasi cinquanta milioni di applicazioni riguardanti la salute sia nel senso dell’informazione che dell’auto-diagnosi, dell’ auto-monitoraggio dei propri parametri fisici e presto saranno implementati quelle dell’auto-cura. Come reagiremo a questa invasione di campo, come assorbiremo l’oramai imminente evoluzione della rete  da Web 2.0 a Web 3.0 con la navigazione  negli immensi oramai Big Data tramite i motori semantici di ricerca?
E soprattutto cosa saranno in grado di imporci i nostri ePatient sempre più motivati a gestire da se stessi la propria salute, quindi sempre più votati  ad essere empowered, expert, emancipated? Dovremo fare resistenza, percepirli davvero come invasori di campo e stare a rimpiangere una fantomatica età dell’oro, oppure dovremo essere in grado di cogliere i vantaggi di tale evoluzione e gestirli insieme a loro?
 Si parla tanto di medicina proattiva e di iniziativa e pensiamo a quale risorsa potremo disporre con questi dispositivi (device). Solo la funzione di richiamo (reminder) permette la possibilità di incrementare l’aderenza alla terapia e per non parlare delle funzioni  più avanzate che possono sorvegliare frequenza cardiaca e respiratoria. Non mi interessa addentrarmi nell’immensa offerta delle applicazioni di tipo sanitario, chi ne ha voglia può ricercarle e scaricarle. Qualcuna lascia veramente perplessi nel tipo di messaggi e di indicazioni che vengono rilasciate, ma lo scopo di questo editoriale non è quello di una disamina delle App, ma quello di provare a contestualizzare e rendere consapevoli quei colleghi che pensano di poter lavorare ancora secondo i principi e i paradigmi con cui sono stati formati ed hanno iniziato ad esercitare la propria professione.
Lasciatemi chiudere con delle argomentazioni quasi filosofiche sulla scia del filone della complessità che è quello che in questo periodo della mia vita m’interessa e appassiona.
Stiamo vivendo un mondo in cui la “liquefazione” dei punti stabili del pensiero potrebbe portare ad un “nuovo nichilismo” e compete a tutti noi, a tutti gli “ intellettuali” scongiurare tale rischio:” intellettuale è colui che lavora con idee di portata umana, sociale e morale. Qualsiasi attività svolga, egli è intellettuale se trascende la propria professione e la usa per le idee, cercando di non lasciarsi imprigionare nell’iperspecializzazione, nella superficializzazione, nella cieca prassi burocratizzante, nel dogmatismo o nell’emarginazione […..] L’intellettuale tenta in tal modo, di coltivare ovunque il diritto, il dovere della riflessione e dell’autoriflessione; quelle cioè che fanno nascere, vivere e alimentano una conoscenza nuova, capace di concernere tutta l’umanità”. E.Morin