sabato 5 luglio 2014

BURN-OUT COME FATTORE DI RISCHIO PER ERRORE IN MEDICINA. Pubblicato sulla rivista SIMG n.1/2012

Burn-out come fattore di rischio per errore in medicina
Damiano Parretti* **, Tiziano Scarponi*
* Medico di Medicina Generale, SIMG; ** Responsabile Incident Reporting SIMG
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Caso clinico
Caratteristiche della paziente
Donna di 78 anni, diabetica e ipertesa. È una abituale frequentatrice dello studio medico perché particolarmente noiosa, ipocondriaca, ansiosa; lamenta mal di stomaco o di pancia anche se gli esami strumentali sono negativi, dice di non dormire, ha paura di prendere farmaci e legge regolarmente le schede tecniche, spesso interrompe spontaneamente la sua terapia, accusando sintomi presenti tra gli effetti collaterali segnalati, che lei legge.
Descrizione del caso
Nello scorso gennaio è giunta per l’ennesima volta in ambulatorio. Al mio arrivo l’ho vista già in piedi. Da tempo non la sopportavo più, e la sua sola presenza mi innervosiva, lo stesso mal di stoma- co che riferisce lei ce l’ho anch’io, e continuo a lavorare lo stesso; in più quel giorno avevo anche nausea, forse legata all’ansia derivante da un paziente che mi accusa di essere responsabile di una diagnosi ritardata del suo linfoma.
Appena vista la signora in ambulatorio mi sono innervosito, è entrata nel mio studio e ha iniziato a dirmi di avere mal di testa e vertigini. Praticamente non l’ho fatta parlare, non le ho chiesto nulla in più e le ho detto che mi aveva stancato, doveva andare a casa e prendere una tachipirina, il tutto in un tono purtroppo concitato di cui mi sono pentito poco dopo.
Ero talmente innervosito che non l’ho richiamata; la signora, al mio rifiuto di sentirla, è andata al pronto soccorso, dove è stata visitata: aveva una PA di 190/110, rialzo giustificato dal fatto che aveva sospeso senza dirmi nulla il vasoretic (farmaco assegnato da poco in sostituzione di un altro che non tollerava), perché a suo dire la faceva urinare troppo e le dava debolezza.
Questo episodio mi ha molto depresso perché mi sembra di non reggere l’impatto con le persone e i loro problemi.


Questo caso è stato inviato al Team di analisi dell’Incident Reporting SIMG.

Il collega che lo ha segnalato ha ritenuto di aver commesso errori nella gestione di questa situazione. Riportiamo diseguitolasintesidell’analisieseguitadalteam(Tab.I). Tuttavia, sia la mancata visita che il difetto di comunicazione             riconoscono come causa remota uno stato di stress del medico, che configura una situazione di burn-out.
Tabella I.
Analisi del Team di analisi dell’Incident Reporting SIMG 1.
Errore causa determinante l’evento (vero o potenziale)
Tipologia: “Errore legato all’operatività del medico” Specifica: “Visita ambulatoriale non effettuata”
È la mancata effettuazione di una visita adeguata. Si tratta di una situazione comprensibile, considerata la tipologia della paziente, ma foriera di alto rischio professionale. La nostra professione, invece, ci impone sempre un autocontrollo che ci permetta di considerare ogni caso come “nuovo”
Errori concausali che hanno contribuito all’accadimento
1. Difficoltà di comunicazione paziente-medico
Aree a rischio
Azioni preventive
1. Gestione della propria professione in merito a situazioni di stress, di sovraccarico di lavoro, di pazienti difficili
1. Ricavarsi adeguati periodi di riposo, soprattutto mentale. Confrontare le proprie esperienze con quelle di altri colleghi, se possibile lavorare in gruppo, con il supporto di personale di segreteria che filtri parte del lavoro di front office e compilativo: tutto ciò è utile a prevenire situazioni di burn-out 


Il problema del burn-out
Com’è noto la sindrome del burn-out colpisce soprattutto i professionisti della cosiddetta relazione d’aiuto ed è individuabile in tre ordini di sintomi 2: esaurimento emozionale, depersonalizzazione, riduzione delle capacità personali.
L’esaurimento emozionale è il venir meno della propria emotività, il sentirsi spento perché bruciato, non essere più in grado di provare vera gioia o dolore.
Il passaggio successivo consiste nella
depersonalizzazione che è la sensazione soggettiva di dissociazione dal proprio sé, il sentirsi estranei verso se stessi e gli altri, con atteggiamenti di rifiuto e persino di aggressività nei confronti dei pazienti.
La riduzione delle capacità personali è la logica conseguenza derivante dalla perdita dell’autostima e della voglia di affermarsi e lavorare, il soggetto si rinchiude in se stesso sempre più, sprofondando talora in un disturbo depressivo o in una dipendenza. La sindrome del burn-out è una patologia legata allo stress lavorativo o meglio, è il quadro clinico che abbiamo quando un soggetto fallisce il proprio adattamento allo stress derivante da un lavoro che produce un alto carico di tensione emotiva. Per una migliore comprensione psicopatologica, poiché nella realtà non esiste una netta separazione fra malato e non malato e poiché non tutti si ammalano di fronte a uno stesso stress, conviene adottare un approccio dimensionale piuttosto che categoriale. Vale a dire occorre pensare al nostro soggetto affetto da burn-out come a un continuum psicopatologico: un essere che nasce con il proprio corredo genetico, cresce e si sviluppa in un contesto con il proprio carico esperienziale, compie le proprie scelte professionali investendo e sperando, realizza risultati? Le proprie aspettative sono state deluse? È in grado di fronteggiare le richieste dei pazienti, di metabolizzare i propri errori? Gli è stata data la possibilità di crearsi intorno dei dispositivi di sicurezza e salvaguardia esisten- ziali? Ecco quindi che con questa impostazione, viene a essere superata la questione se la causa del burn-out sia da ricercare solamente nel carattere e nella personalità dell’individuo o, piutto- sto, nell’ambiente di lavoro, nella struttura in cui egli opera. Come capita spesso nelle problematiche di ordine psichico le cause, pertanto, sono da ricercare in entrambi: nell’individuo (fattori di vulnerabilità), nel lavoro (contesto, struttura, contenuto). Nella Tabella II sono elencate le più frequenti cause individuali di burn-out (fattori di vulnerabilità) mentre nella Tabella III le più frequenti cause legate al contesto e la struttura lavorativa. È chiaro pertanto che per una idonea e corretta valutazione del burn-out non si possa fare a meno di condurre un attento esame della capacità adattativa del paziente nei confronti della propria vita lavorativa, partendo da quello che è lo studio dei suoi tratti di personalità e la sua storia nell’affrontare i problemi, le proprie sconfitte e i propri progetti.
La clinica del burn-out è variegata e complessa, presenta una grande quantità di sintomi che ritroviamo tra quelli dei disturbi depressivi e ansiosi, che tendono però con facilità a evolvere in disturbi del comportamento con tendenza alla somatizzazione.
I sintomi più frequenti sono:
sintomi aspecifici (astenia e facile esauribilità, apatia, insonnia, nervosismo e irascibilità);
sintomi somatici (cefalea, dispepsia, aritmia cardiaca, disturbo sessuale);
sintomi psicologici (rabbia, scatti d’ira, aggressività verso i pazienti, colleghi e collaboratori, perdita dell’autostima, senso di colpa, negativismo, rigidità di pensiero e resistenza al cam- biamento, difficoltà nelle relazioni in senso generale, isola- mento, depressione.
Tabella II.
Cause individuali che possono determinare la sindrome di burn-out.
Caratteristiche di personalità
  • Introverso
  • Ambizioso
  • Esigente con se stesso e con gli altri
  • Tendente a porsi obiettivi irrealistici
  • Iperattivo
  • Autoritario
  • Convinto di essere indispensabile
  • Convinto di potersi realizzare solo con
    il lavoro e la carriera
Caratteristiche socio-demografiche
  • Donne più predisposte degli uomini
  • Età (nei primi anni lavorativi si è più
    predisposti)
  • Stato civile (persone senza un
    compagno stabile più predisposte)
Tabella III.
Cause inerenti la struttura lavorativa che possono determinare la sindrome di burn-out.
Ambiguità di ruolo
Quando si rivestono dei ruoli senza le cognizioni dovute
Conflitto di ruolo
Quando ci sono continue richieste non compatibili con il proprio profilo professionale
Sovraccarico operativo
Quando all’individuo viene assegnato un eccessivo carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità
Mancanza di stimoli
Quando il lavoro diventa ripetitivo e monotono
Impotenza decisionale
Quando al soggetto viene impedito di poter decidere sulle scelte operative del proprio lavoro
Turni lavorativi non congrui con le proprie energie
Retribuzione inadeguata
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Tale quadro di disagio generale porta molto spesso il soggetto ad abusare di tabacco, alcool e psicofarmaci.
Gli studi sul problema
burn-out nei MMG italiani 3-5 indicano come i MMG soffrano di tale problema in circa il 30% dei casi e che il rischio di ammalarsi è conseguente all’esaurimento delle risorse personali nei confronti delle aumentate richieste degli utenti, allo squilibrio tra aspettative di ruolo e capacità effettive, alla necessità di dover lavorare in maniera integrata, alle carenze di orga- nizzazione e comunicazione della struttura in cui uno è inserito. È opinione condivisa fra molti, inoltre, che l’attuale fenomeno del burn-out del MMG derivi dall’evoluzione dell’approccio al lavoro che si è verificato negli ultimi anni; da quando cioè è venuto a rivestire, di fatto, un ruolo di burocrate e non più la funzione cen- trale e professionale di medico di famiglia.
Emerge sempre più come un medico affetto da burn-out è molto più a rischio nel commettere errori professionali, nel peggiorare la qualità delle proprie prestazioni. Il rapporto medico-paziente è disturbato con conseguente difficoltà comunicativa bidirezionale e pertanto maggiore è la possibilità d’incomprensione. Il medico, concentrato sui propri problemi, non avrà più la capacità e la disponibilità all’ascolto delle sofferenze altrui, non sarà più in grado di consigliare o proporre soluzioni ma tenderà a esse- re sfuggente, evasivo se non addirittura scostante o aggressivo. Risulta pertanto indispensabile trovare le strade per prevenire ed eventualmente curare tale sindrome.
Per quanto riguarda i MMG, gli studi di Padula hanno individuato alcuni fattori di protezione e prevenzione del burn-out:
  • lavorare in gruppo insieme a collaboratori (infermiera, segretaria);
  • lavorare in un contesto urbano;
  • avere non più di mille assistiti, lavorare meno di 40 ore set- timanali;
  • avere più di 50 anni di età, essere coniugati con figli;
  • svolgere l’attività di tutor o docente in medicina generale. Anche se saranno necessari altri studi per validare questi fattori di protezione, senza dubbio sono da ritenere delle indicazioni plausibili perché in linea con le indicazioni ritenute idonee alla prevenzione del burn-out. Autorevoli autori in materia 6 7 sostengono che la migliore prevenzione e cura di tale sindrome è quella di potenziare le proprie abilità cognitive ed emotive attraverso un percorso formativo che abbia l’obiettivo di individuare, in ognuno, la propria autoefficacia, creatività, intelligenza nel saper cogliere le proprie potenzialità per affermare se stessi. Ecco pertanto una serie di indicazioni e azioni per la prevenzione del burn-out:
  • collaborare e confrontarsi in modo positivo con colleghi e per-
    sonale di studio;
  • affrontare i problemi cercando di risolverli nel modo più pra-
    tico e utile;
  • cercare e riconoscere le proprie motivazioni personali per il
    lavoro scelto e portarlo avanti non solo per gli altri ma anche
    per se stessi;
  • trovare l’equilibrio tra gli spazi professionali e quelli privati;
  • gestire con metodo il proprio tempo;
imparare dai propri errori, interpretandoli come stimoli al miglioramento.

Burn-out come causa di rischio clinico
Dobbiamo pensare che una condizione di burn-out può essere responsabile non solo di un danno personale nei riguardi del medico che ne risulta portatore, ma anche di un evidente rischio nei riguardi della sicurezza del paziente.
Una correlazione in tal senso è stata affermata da Tait Shanafelt, che dà la seguente definizione di burn-out: “Sindrome da esauri- mento emozionale, depersonalizzazione e senso di scarsa stima personale che provoca una ridotta efficacia nell’espletamento del lavoro” 8.
Questa affermazione mette bene in evidenza come l’efficienza nello svolgimento dei compiti lavorativi sia fortemente condizio- nata dall’equilibrio emotivo e dall’autostima.
La cascata di eventi responsabile del rischio clinico indotto dal
burn-out 9 può essere sintetizzata nella seguente Figura.
Burn-out Errore

Tensione, ansia e depressione dell’operatore

Difficoltà nel rapporto con il paziente, con minore empatia e sensibilità

Errore professionale


Si può quindi pensare a una vera correlazione tra stress lavorativo e rischio clinico.
Pensiamo, a questo proposito, che condizioni e situazioni come il sovraccarico di lavoro, i tempi ristretti, la mancanza di supervisione, la comunicazione inadeguata tra i vari operatori sanitari, l’utilizzo di professionisti in ambiti non specifici rispetto ai percorsi formativi e culturali effettuati e alle abilità disponibili, la coesistenza di obiettivi in conflitto tra loro (es. limitate risorse economiche e obiettivi clinici), il carico burocratico, sono frequenti condizioni favorenti l’insorgenza della sindrome del
burn-out, ma al tempo stesso sono considerate come cause remote di errore in medicina.
Su questa correlazione sono usciti, negli ultimi anni, diversi studi osservazionali e numerosi editoriali su autorevoli riviste. Riportiamo a questo proposito che JAMA nel 2006 10 ha pubbli- cato uno studio di coorte longitudinale che aveva l’obiettivo di valutare la correlazione esistente tra errori medici auto-percepiti e qualità di vita, burn-out, depressione ed empatia, in una coorte di medici interni operanti in una clinica universitaria di Rochester (Mayo Clinic College of Medicine, Rochester, Minnesota).
devono essere considerati i danni prodotti a carico dei pazienti: questa condizione porta a ridurre l’attenzione sull’anamnesi e sui dati clinici, con conseguente inadeguata gestione dei problemi che vengono presentati.
Alla luce di tutto ciò, considerati i danni sia a carico del medico affetto che dei pazienti sottoposti ad aumentato rischio clinico, il burn-out deve essere conosciuto e trattato, ma soprattutto occorre che le associazioni mediche e le istituzioni pubbliche si facciano carico di questo problema per individuare adegua- te misure preventive, che devono essere considerate sia per interventi individualizzati sul singolo, che per tutelare la salute pubblica.
Bibliografia
1 http://www.preveniamoilrischio.it/default2.asp?active_page_id=151
2 Maslach C, Jackson SE. MBI: Maslach Burn-out Inventory. Palo Alto, CA: Consulting Psychologists Press 1981 (trad. it. a cura di Sirigatti S, Stefanile S. MBI Maslach Burn-out Inventory. Adattamento italiano. Firenze: O.S. Organizzazioni Speciali 1993).
3 Grassi L, Magnani K. Psychiatric morbidity and burn-out in the medical profession: an Italian study of general practitioners and hospital physicians. Psychother Psychosom 2000;69:329-34.
4 Padula MS, Ferretti E, Svampa E, et al. Il burn-out nei medici di medicina generale di Modena. Prevalenza e variabili correlate. Rivista SIMG 2007;(1):3-9.
5 Padula MS, Ilari G, Baraldi S, et al. Il burn-out nella Medicina Generale: personalità del medico e personalità del paziente. Rivista SIMG 2008;(4):42-7.
6 Pellegrino F. Burn-out e meccanismi di difesa dell’integrità psicofisica dei medici. Rivista SIMG 2009;(2):33-4.
7 Gilkey R, Kilts C. Fitness cognitivo. Harvard Business Review 2007;11:1-10.
8 Shanafelt TD, West CP, Sloan JA, et al. Career fit and burn-out among academic faculty. Arch Intern Med 2009;169:990-5.
9 Pellegrino F. Errore e stress lavorativo. MD Medicinae Doctor 2006;XIII(38).
10 West CP, Huschka MM, Novotny PJ, et al. Association of perceived medical errors with resident distress and empathy: a prospective longitudinal study. JAMA 2006;296:1071-8.
11 Salch CM, Freischlag JA, Shanafelt TD. Stress and burn-out among surgeons. Arch Surg 2009;144:371-6.
12 http://www.hemonctoday.com/article.aspx?rid=28740
Partecipanti allo studio: 184 medici, su 219 eleggibili, osservati nel corso di un anno accademico (2003-2004, 2004-2005, 2005- 2006).
Ogni medico ha registrato gli errori commessi auto percepiti, e ha inserito dati sulla sua qualità di vita, sull’eventuale proprio
burn-out o su eventuali sintomi di depressione, e sull’empatia con i pazienti. La survey si è conclusa nel maggio 2006.
Risultati: il 34% dei medici arruolati ha registrato almeno un errore medico maggiore durante il periodo di osservazione; gli errori medi- ci erano associati a una insoddisfacente qualità di vita (p = 0,02), alla percezione di vivere in burn-out (p = 0,002); i medici che avevano segnalato errori erano portatori di depressione in misura maggiore con un Odds Ratio positivo (95% IC 1,90-5,64).
Inoltre, la presenza di burn-out faceva registrare una significativa riduzione dell’empatia verso il paziente.
Un altro studio pubblicato su Annals of Surgery nel 2009 11 ha dimostrato come tra i chirurghi colpiti da sindrome da burn-out o depressi sia decisamente più elevata l’incidenza di errori professionali gravi.
I ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine e della Mayo Clinic coordinati da Charles M. Balch, professore di Chirurgia, hanno preso in esame 7905 chirurghi sottoponendo loro un questionario sull’andamento della loro vita professionale e sulla loro salute mentale.
Risultati: il 9% del campione dichiara di aver commesso almeno un errore professionale grave nei tre mesi precedenti l’intervista. “Si parla da sempre di fatica, di orari di lavoro troppo lunghi, di stress”, spiega Balch, “ma dai nostri dati emerge che gli ingredienti principali degli errori medici – almeno quelli auto-riportati – sono burn-out e depressione”.
In un editoriale pubblicato su Hem Onc Today del 10 giugno 2008 12 si afferma che tra gli effetti negativi più seri del burn-out

mercoledì 2 luglio 2014

IO SONO UN MEDICO LENTO..........Editoriale pubblicato sul Bollettino dell'Ordine dei Medici n 02/2014

IO SONO UN MEDICO LENTO..........

L.C. è una signora di 90 anni che vive al sesto ed ultimo piano di un palazzo senza ascensore insieme a suo figlio non sposato di 66 anni. E' affetta da molteplici quadri patologici tra cui una demenza in fase avanzata a suo tempo inquadrata come tipo Alzheimer. Il mese scorso, di notte, a causa di una crisi respiratoria, è stata ricoverata in ospedale dal 118 e dopo pochi giorni è stata dimessa con la prescrizione di ossigeno liquido accompagnata da queste testuali parole riferitemi dal figlio:" Siamo consapevoli della difficoltà di questa terapia, ma secondo le linee guida la concentrazione dell'ossigeno nel sangue era tale da imporci questa scelta".
" Vede dottore!" mi dice il figliolo" Adesso dovrò trovare qualcuno che si alterni con me in modo continuo, per far tenere la mascherina dell'erogatore a mia madre, che continuamente se la strappa e toglie di dosso.......E' proprio un bel guaio....se i suoi colleghi non mi avessero inchiodato con il rispetto delle linee guida, ne avrei fatto a meno......e poi? Servirà a qualcosa?".
G.U, uomo di 87 anni è oramai in fase terminale per una carcinosi peritoneale. E' ridotto ad un'ombra di se stesso, ma uno dei figli che vive a Milano e che non si era mai fatto vedere prima, anzi, ne ignoravo l'esistenza, ha ritenuto opportuno chiamare a mia insaputa un illustre clinico in pensione che ha consigliato di somministrare eparina a basso peso molecolare per prevenire l'embolia polmonare da immobilizzazione ed un'emocoltura per capire da quale agente patogeno fossero dovute le continue crisi febbrili che il Nostro presentava. I familiari mi chiedevano come poter far fare il prelievo durante il rialzo termico e se potevano avere pertanto un prelevatore disponibile a stare al capezzale del paziente in attesa che si presentasse il momento opportuno " per prendere il sangue".
T.M.  35 anni è una paziente che ho visto nascere e che ho seguito sin da quando ancora non era normata la pediatria di libera scelta. Si presenta a studio per la prescrizione delle analisi previste al terzo mese di gravidanza e con tono di disappunto, mi riferisce come la sua ginecologa l'abbia apostrofata per il fatto che lei non aveva nessuna intenzione di fare amniocentesi o qualsiasi altro accertamento legato alla eugenetica in quanto poi lei, per nessuna ragione al mondo, avrebbe interrotto la gravidanza:" Mi ha detto che sono un'incosciente ed una egoista! Che se ci fosse stato qualche problema avrei scaricato il peso delle mie decisioni sulla collettività e che così non si faceva!".
Come possiamo commentare tutto ciò? Che risposte avreste dato? Sono consapevole che questi casi hanno anche una inferenza bioetica, ma comunque sia sono la logica  evoluzione di un certo modo di concepire e vivere la Medicina.
Non manca occasione, navigando su social network o incrociando colleghi in riunioni istituzionali o private che il discorso scivoli sulla lamentela e sulla critica di come sia diverso il modo di fare il medico rispetto a quando abbiamo cominciato a lavorare: la medicina sta impazzendo, tutti pretendono tutto, ieri mi è morto un paziente di 94 anni e i familiari mi chiedevano il perché, un mio paziente ultraottantenne vuole fare il PSA ogni tre mesi e così via....Penso che ognuno di noi abbia ben presente questi "vissuti" che oramai fanno parte della nostra quotidianità e che oltre ad infastidirci su di un piano personale ci preoccupano fortemente per le ricadute sul sistema  sanità che queste comportano. E' una moda? E' una consuetudine? E' il normale pedaggio da pagare per il progresso e la modernità della scienza medica? Non sono in grado di specificarlo, ma quello che deve essere chiaro per tutti, che è in giuoco la sostenibilità di tutto il servizio sanitario nazionale con la inevitabile implosione verso cui stiamo inesorabilmente andando, se non intervengono alcuni cambiamenti.
Prima cosa da fare è quella di smettere l'inutile piagnisteo e smettere di  aspettare la "mano santa" che dall'alto risolva i problemi per tutti. E' ora di dare contenuto e forma alle nostre lamentele trasferendole in posizioni mature, creative e propositive.
Io ho aderito al movimento "Slow Medicine" che può essere considerata la risposta italiana alla campagna " Choosing Wisely" ( scegliere con saggezza) dell'American Board of Internal Medicine Foundation che  insieme ad altre numerose società scientifiche ha stilato una lista di pratiche mediche inutili se non dannose invitando a discutere insieme medici e pazienti in merito all'appropriatezza ed utilità di indagini diagnostiche e procedure terapeutiche.
Slow Medicine si definisce un movimento per una medicina sobria: fare di più non vuol dire fare meglio. Giusta: cure appropriate e garantite per tutti. Rispettosa: valori, desideri ed aspettative delle persone sono inviolabili.
Date queste premesse ogni volta che prescriviamo un accertamento od una terapia, dovremo sempre cercare di capire quale sia l'appropriatezza, se il paziente ne tragga un vero vantaggio oppure se i benefici siano rivolti verso qualcun altro che in modo più o meno palese lucra sulle "pelle" degli altri.
Come dice Giorgio Bert, uno dei fondatori del movimento, dichiararsi di praticare una Slow Medicine significa di prevedere un atteggiamento mentale aperto, di avere come proprio bagaglio culturale ed operativo:" il counselling; la medicina narrativa; l’analisi e la valutazione della qualità degli interventi; la prevenzione e l’educazione terapeutica del paziente; l’esperienza autobiografica e la conoscenza di sé da parte del medico; le medical humanities; l’invenzione e l’uso nella pratica professionale di determinate strutture linguistiche come ad esempio la metafora. Slow Medicine insomma è un metodo, o per meglio dire un’epistemologia che ci unisce senza tuttavia omologarci: l’omologazione infatti, in quanto cancellazione della diversità, è una scorciatoia mentale, una arbitraria semplificazione di ciò che è complesso e, in quanto tale, è sempre fast.                                                                                         Perché un’epistemologia? Perché Slow Medicine è una teoria della conoscenza: non solo della conoscenza scientifica (ovviamente necessaria) ma della conoscenza di uomini e donne in quanto persone oltre che medici e pazienti… “Medici”? Sì, anche medici! La conoscenza è prima di tutto conoscenza di sé, dei propri pregiudizi, della proprie convinzioni, delle proprie presunte certezze. Il medico slow conosce, o si sforza di conoscere, innanzi tutto se stesso".  
Mi piace chiudere questo editoriale con l'elenco dei sette veleni del pensiero medico: le false certezze che in questo momento vanno tanto alla grande.
NON E' VERO CHE......
·       Nuovo è meglio.
·       Tutte le procedure utilizzate nella pratica clinica sono efficaci e sicure.
·       L'uso di tecnologie sempre più sofisticate risolverà ogni problema di salute.
·       Fare di più aiuta a guarire e migliora la qualità della vita.
·       Scoprire una malattia prima che si manifesti attraverso i sintomi è sempre utile.
·       I potenziali "fattori di rischio" devono essere trattati con i farmaci.
·       Per controllare meglio le emozioni e gli stati d'animo è utile affidarsi alle cure mediche.