venerdì 16 ottobre 2020

"Quale medicina generale durante e dopo la pandemia? non sarà mai più niente come prima?" Editoriale pubblicato sulla rivista Sistema Salute n.2/2020

  

 

 Quale medicina generale durante e dopo la pandemia? non sarà mai più niente come prima?

 

Tiziano Scarponi

 

 

Non sarà mai più niente come prima è il mantra che oramai sentiamo ripetere quotidianamente in televisione, leggiamo nei giornali e nella rete. Questo genera uno stato continuo di ansia e di tensione in tutti noi. Che ci riserverà il futuro? Chissà dove andremo a finire? Da quando esiste il mondo, infatti, il non certo e l’ignoto spaventano e preoccupano, così come è accaduto in occasione di questo nuovo virus sconosciuto e così come siamo ancora spaventati e preoccupati nell’affrontare il presente e l’incertezza del futuro.

La mia esperienza personale, senz’altro comune alla maggior parte dei medici di medicina generale, è stata motivo di riflessione e descrizione in altra occasione (1), ma non posso fare a meno di ripetere come la sera del 9 marzo 2020 rimarrà sempre nella nostra memoria, allorché il Presidente del Consiglio annunciò il lockdown di tutta la nazione per l’epidemia da Covid 19. Da quel momento nel giro di una notte è cambiato quasi tutto il nostro modo di lavorare, non credo che sia qui il caso di fare la cronaca di quello che è accaduto e come abbiamo vissuto quei giorni terribili, ma credo che sia nostro dovere rappresentare, per evitare che si ripetano, soprattutto le criticità che abbiamo vissuto sulla nostra pelle.

Questa epidemia ha colto impreparati tutti noi. Se questo può essere parzialmente “perdonato” a chi per professione cura, lo è di meno a chi per professione è predisposto alla prevenzione e alla organizzazione dei sistemi sanitari. Senza far polemica, mi è bastato  scaricare dalla rete il Piano Pandemico della Regione Umbria  approvato con delibera n.963  l’11 giugno 2007 per trovare diverse indicazioni utili per fronteggiare tale crisi, ma di fatto,  è stato messo in “soffitta” e nessuna amministrazione e direzione generale che si sono succedute, ha mai sentito l’esigenza di rinfrescare la memoria degli attori coinvolti con formazione ed aggiornamenti.

Se dovessi affermare quali siano state le cause e i problemi che hanno condizionato lo sviluppo dei comportamenti della Medicina Generale li riassumerei essenzialmente in due:

1)     l’assoluta mancanza di Dispositivi di Protezione Individuali (DPI), denunciata più volte anche al Prefetto, che ha costretto la categoria ad operare in un clima di ansia e preoccupazione per la propria incolumità e dei propri familiari, che ha obbligatoriamente determinato una gestione “a distanza” di tutti quei pazienti che presentavano sintomi sospetti.

2)     Lo scollamento generale che si è registrata nelle prime due o tre settimane fra le varie figure sanitarie per la” caduta della catena di comando”, facendomi tornare in mente i vecchi racconti di mio padre sulla situazione in cui si trovò l’Italia alla data dell’8 settembre 1943.

 

Abbiamo assistito da una parte ad un bombardamento continuo di informazioni e indicazioni da parte di circolari, decreti e decretini che il dover leggerli interamente e comprenderli avrebbe assorbito la maggior parte della giornata: solo per la definizione di caso clinico sospetto abbiamo avuto almeno tre o quattro edizioni. Dall’altra parte risultava quasi impossibile mettersi in contatto diretto con i colleghi del Dipartimento di Prevenzione che erano in Umbria gli unici deputati a far eseguire il tampone molecolare per la ricerca dell’RNA del Coronavirus nel territorio. Tutto ciò ha generato uno stato di incertezza che ha spinto ognuno ad andare avanti per proprio conto, in modo isolato, seguendo le proprie emozioni, avendo come unica possibilità di confronto i colleghi della propria medicina di gruppo.  Questo ha determinato più di una volta il “palleggiamento” delle decisioni fra noi, la Continuità Assistenziale, il servizio del 118 e l’Ospedale, quest’ultimo paragonabile in quel momento quasi a un castello medioevale  arroccato in difesa e in  stato d’assedio.

Nonostante queste criticità però il territorio ha resistito a questo tsunami e la Medicina Generale ha svolto un ruolo importante.

Il primo passaggio è stato quello di applicare un triage rigoroso verso tutti gli accessi nei nostri  ambulatori da parte dei pazienti e  verso i nostri accessi a domicilio. Abbiamo inviato per via telematica tutto quello che era possibile inviare eleminando così la possibilità di formarsi code ed assembramenti nelle nostre sale d’aspetto.

La gestione dei pazienti Covid a domicilio è stata garantita, per la maggior parte di noi, da un contatto telefonico quasi continuo, telefonando molto spesso  anche nei giorni festivi, mantenendo così quel rapporto medico-paziente basato sulla conoscenza e fiducia reciproca.

Abbiamo contribuito, insieme al gruppo indicato dalla Regione, a scrivere un protocollo sperimentale per il trattamento domiciliare dei pazienti Covid con idrossiclorochina, che poi non è stato attuato sia per i problemi degli effetti collaterali paventati con l’uso di questo farmaco e sia perché per fortuna non era più possibile reperire pazienti che necessitavano di essere trattati.

Sale d’aspetto dei nostri ambulatori vuoti, servizi di pronto soccorso vuoti, sembrava che esisteva solo patologia Covid19 correlata e per diverse settimane siamo andati avanti con questo tenore: attività ambulatoriale con non più di una decina di accessi al giorno e un paio visite domiciliari motivate da richieste per problemi non differibili in pazienti con problemi di salute cronica che si erano scompensati.

 Sono poi arrivate un po’ di DPI dal nostro sindacato e dall’Ordine dei Medici, sono poi arrivate, a pandemia quasi finita, anche le USCA per la gestione domiciliare dei pazienti Covid positivi e il clima di normalizzazione è iniziato in maniera timida e circospetta anche prima dell’inizio ufficiale delle fasi 2 e 3.  

Credo che questa descrizione possa essere comune alla maggior parte della Medicina Generale Italiana eccezion fatta per quelle realtà regionali dove il Coronavirus ha colpito pesantemente come Lombardia, Piemonte ed Emilia. Tale opinione è sopportata dalle numerose testimonianze che era e ancora è possibile leggere sui social network Facebook e Twitter. Devo dare atto all’estrema utilità che hanno svolto queste nuove modalità relazionali nel mantenere un livello di informazione ed un senso di appartenenza che in quei momenti di sconforto e isolamento hanno garantito: narrazioni, condivisione di problemi, solidarietà, speranza e anche aggiornamento scientifico clinico quotidiano. Basti pensare alle prime comunicazioni fatte dagli anatomopatologi che hanno osservato come la maggior parte dei decessi avvenisse a causa di embolia polmonare nell’ambito di una coagulazione intravasale disseminata, decretando quindi l’uso dell’eparina. Alle notizie come la terapia a base di plasma iperimmune fosse favorevole. Anche i gruppi locali di WhatsApp hanno fatto la loro parte permettendo di sapere e condividere in tempo reale tutto quello che accadeva nella nostra realtà umbra.

Ho notizie di un’interessante ipotesi di un progetto della medicina generale veneta per sostenere con la comunicazione telefonica le persone in condizioni di vulnerabilità Covid19. Trattasi di un questionario strutturato per rendere concreto l’approccio bio-psico-sociale della cura e della presa in cura nelle condizioni di emergenza attraverso delle domande specifiche inerenti gli aspetti biologici e medici classici, la sfera psicologica dando la possibilità di esprimere ai pazienti il proprio “illness” ed il rilevamento degli aspetti sociali. Tutto questo comporterà un periodo di formazione e la validazione di questo progetto che risulterà molto importante per quello che sarà il teleconsulto e la telemedicina di cui la pandemia Covid ha fatto da enzima catalizzatore.  Questo aspetto è stato da me delineato nello scritto già citato (1) che riporto:

È molto difficile che si torni a lavorare come si lavorava prima della pandemia, anche se nessuno sa, poiché al momento tutte le prestazioni non urgenti non vengono soddisfatte, come si svilupperà una volta che sarà smaltita l’onda di riflusso delle prestazioni che erano state differite. Ci troveremo di fatto una popolazione nuova di pazienti che ha imparato a venire in ambulatorio quasi solo per appuntamento. Che dovrebbe avere imparato a venire per dei problemi più strettamente sanitari. Che dovrebbe aver imparato ad usare la tecnologia in generale e quella medica in particolare. Oramai moltissimi si sono dotati di saturimetro e sfigmomanometro e che “smanettano” su App che sono in grado di monitorare diversi problemi o parametri clinici.

Il teleconsulto per la patologia cronica, che credo resterà per la maggior parte in carico a noi, dovrà diventare prassi quotidiana. Mi immagino che il medico di famiglia entrerà dentro l’ambulatorio come se entrasse dentro una cabina di regia con tanti cruscotti e monitor in grado di fare una verifica in tempo reale, ogni ventiquattro ore, dei parametri sottoposti a monitoraggio di ogni singolo paziente. Facciamo l’esempio dello scompenso cardiaco: peso corporeo, indice di dispnea, saturazione dell’ossigeno, assunzione dei farmaci saranno informazioni fruibili quasi all’istante e pertanto sarà quasi automatico il richiamo del paziente per una valutazione diretta, oppure andare a domicilio per un esame clinico approfondito. Certo! Sono scenari che si adattano meglio a colleghi e pazienti nativi digitali, e lasciano in affanno noi “vecchi” medici, ma la Medicina di Famiglia se vorrà sopravvivere dovrà fare questo salto tecnologico accompagnato sempre da una modalità empatica e narrativa che sono e saranno sempre delle peculiarità di questa professione”.

A questo punto sorge spontanea la domanda. Tutte queste considerazioni sino ad ora esposte possono essere considerate esaustive per descrivere su come sarà la figura del medico di medicina generale del futuro oppure dalla pandemia dovremmo aver imparato qualche lezione? Al medico di assistenza primaria  basterà  occuparsi solo dell’attività clinica rivolta all’individuo e alla sua famiglia, oppure dovrà estendere il proprio raggio d’azione verso un concetto di “salute globale”, intendendo con questo il sorvegliare in un’ottica sistemica e complessa tutto l’eco-sistema della comunità in cui vive? Senza dubbio abbiamo imparato diverse lezioni: 

1)     l’importanza di un Servizio Sanitario Pubblico

2)     come il definanziamento del Servizio Sanitario a causa di una visione aziendalistica della salute porti a delle criticità che minano l’efficienza e l’efficacia del Servizio Sanitario stesso ripercuotendosi soprattutto sull’assistenza territoriale e sui servizi di prevenzione ed igiene

3)     le conseguenze di una deriva di un certo federalismo sanitario regionale in cui si è creata una competizione fra Governo nazionale e Governatori regionali e pertanto come dice il professor Briziarelli nel precedente editoriale di deve “….creare un sistema di diversi rapporti che integrino virtuosamente  le Regioni con un potere centrale a guida più forte senza che ritorni un centralismo passato né derive verso piccole repubbliche sovrane “.

4)     l’accentramento nei grossi poli ospedalieri in caso di pandemia rappresenta una criticità e non un vantaggio

5)     la cronica mancanza di comunicazione fra ospedale e territorio peggiora nell’emergenza

6)     senza dubbio l’inquinamento ambientale, lo sfruttamento intensivo del territorio con una visione industriale della produzione agricola e zootecnica hanno avuto una loro importanza.

Il medico di medicina generale, pertanto, non potrà sottrarsi al ruolo di sentinella e di sorvegliante della salute della comunità in cui opera. Ci attende una formazione, una curiosità ed una sensibilità cui non siamo abituati, ma ce lo richiede in nostro codice deontologico, i nostri pazienti e il nostro “essere” medici.

 

 

 

1.     La medicina di famiglia e il coronavirus. Pubblicato su "Una finestra sulla pandemia". Esperienze e riflessioni sistemiche. 

http://www.aiems.eu/files/aiems_-_una_finestra_sulla_pandemia.pdf