VIVERE IN CONDOMINIO
L’estate 2020 sarà ricordata per tanti motivi: la pandemia con i suoi negazionisti e i suoi terroristi, in spiaggia con la mascherina, il caldo e anche per la “rivoluzione” nel territorio dal punto di vista sanitario di cui però pochi se ne sono resi ancora conto.
Il cosiddetto Decreto Rilancio del 14 luglio, infatti, ha sancito la nascita dell’infermiere di famiglia o comunità, mentre un emendamento del cosiddetto Decreto Calabria del 24 giugno ha istituito la figura dello psicologo delle cure primarie.
Per un fautore dell’approccio complesso e sistemico come me, l’istituzione di due figure così importanti non può che essere apprezzata e condivisa. Oramai la complessità della patologia cronica può essere affrontata solo con competenze multidisciplinari e con un’operatività che non può esulare dall’intervento nel territorio di più operatori. E’ da quando ho iniziato la mia attività professionale, alla fine degli anni’70, che sento parlare di rete assistenziale e di integrazione dei ruoli, ma il più delle volte sono rimasti dei concetti teorici che quasi mai si è riusciti a realizzare nella pratica quotidiana. Sarà questa la volta buona? Cerchiamo di capire meglio quello che recitano questi decreti legge.
“…L’infermiere di famiglia e comunità è un professionista responsabile dei processi infermieristici in ambito familiare e di comunità, con conoscenze e competenze specialistiche nelle cure primarie e sanità pubblica.
Il suo ruolo è quello di promuovere salute, prevenzione e gestire nelle reti multiprofessionali i processi di salute individuali, familiari e della comunità all’interno del sistema delle cure primarie.
Risponde ai bisogni di salute della popolazione di uno specifico ambito territoriale di riferimento (distretto) non erogando solo assistenza, ma attivandola e stabilendo con le persone e le comunità rapporti affettivi, emotivi e legami solidaristici che diventano parte stessa della presa in carico.”
Certo! Si tratta di una definizione ambiziosa che deve essere valutata positivamente. Dietro questa definizione, infatti, si sviluppa tutta una visione moderna della medicina che gestisce la patologia cronica con un monitoraggio continuo che va dalla telemedicina, al teleconsulto, al contatto diretto. Si può sviluppare la possibilità di una medicina proattiva che intervenga prima che un fattore di rischio sviluppi una malattia vera e propria, che sia capace di modificare gli stili di vita e di intervenire se occorre anche nell’ecologia di una comunità.
Anche lo psicologo del territorio non scherza. ”..La mission della psicologia di cure primarie è la garanzia del benessere psicologico di qualità nella medicina di base, sul territorio, vicino alla realtà di vita dei pazienti, alle loro famiglie e alle loro comunità, fornendo un primo livello di servizi di cure psicologiche, di qualità, accessibile, efficace ed integrato con gli altri servizi sanitari, caratterizzato dunque anche da costi contenuti e contraddistinto da una rapida presa in carico del paziente.
Un sistema di cure primarie utile ed efficace presuppone che l’attenzione alla componente psicologica della salute è fondamentale, e non si tratta solo di offrire cure al disturbo psicologico, o di trattare il problema individuale, occupandosi del benessere e della salute psicofisica dei cittadini di un territorio, dei membri di una comunità, in modo equo e accessibile, per fornire a tutti indistintamente cura e terapia, ma anche per promuovere consapevolezza, promozione di salute, e adozione di comportamenti positivi, rispondendo, inoltre a quattro grandi problemi:
1. Intercettare e diminuire il peso crescente dei disturbi psicologici della popolazione, costituendo un filtro sia per i livelli secondari di cure che per il pronto soccorso;
2. Intercettare i bisogni di benessere psicologici che spesso rimangono inespressi dalla popolazione;
3. Organizzare e gestire l’assistenza psicologica decentrata rispetto ad alcuni tipi di cura;
4. Realizzare una buona integrazione con i servizi specialistici di ambito psicologico e della salute mentale.
Anche qui troviamo tutta la potenzialità per poter soddisfare la presa in carico globale della salute dei nostri pazienti , gestendo noi la componente organica e lo psicologo la componente psichica.
Sarà possibile pertanto l’approccio complesso ai nostri pazienti, aumentare l’aderenza ad una dieta, far smettere di fumare e aiutarli a superare disturbi depressivi ed ansiosi o, se vogliamo essere riduzionisti, avremo finalmente la possibilità di “stanare” ed inchiodare alla propria responsabilità esistenziale tutti gli ipocondriaci che affollano i nostri studi facendogli capire la vera natura dei propri problemi.
Tutto rose e fiori? Certamente no! Come il solito, fra il dire e il fare c’è in mezzo il mare, come recita un vecchio proverbio e l’obiettivo di questo editoriale è proprio quello di far riflettere sulle immancabili criticità che si presenteranno.
Affrontiamo subito quello che riguarda la nostra posizione di medici di famiglia! Ragionando in casa nostra! Già me lo immagino i mugugni, le ritrosie, i dubbi, se non un vero e proprio ostruzionismo che immancabilmente scatterà da parte nostra: retaggio di un’abitudine al non confronto, a vivere in maniera autarchica pensando di essere gli unici protagonisti della gestione del territorio. Qui ci sarà molto da lavorare nel far superare la diffidenza iniziale, come è stato per la medicina di gruppo, per le aggregazioni professionali della Medicina Generale, per l’introduzione e l’uso dell’informatica. Ci si dovrà rimboccare le maniche, insomma, e tutti coloro che sono preposti alla formazione dovranno lavorare in prima persona per spingere la Professione a quello che è il processo più difficile: il cambiamento.
Quando parlo di formazione credo di affrontare quella che è la prima criticità e non solo della Medicina Generale, ma in particolar modo della istituzione che per antonomasia è predisposta alla formazione: l’Università. Ci proverà questa ad evolversi e a formare non solo medici con approccio specialistico, ma capaci di integrarsi con i vari ruoli che dovranno poi rivestire? Credo che una profonda riflessione dovrà essere fatta perché ogni volta che un laureando o un neolaureato entra nel mio studio per l’abilitazione all’esercizio della professione mi rendo conto come ancora siamo veramente lontani.
I soldi? Le risorse ci sono? Anche questa è una grande criticità. Ovviamente non sono in grado di rispondere, ma dalla lettura dei decreti legge si desume che con l’intervento di queste due nuove figure si dovrebbe avere un risparmio in quanto è di fatto un investimento sulla prevenzione e per quanto riguarda poi gli psicologi, esistono studi che dimostrano come ci sia una maggiore appropriatezza nell’accesso alle cure e quindi un risparmio. Con questi ultimi poi c’è un passaggio nel testo del decreto che non ho ben capito:”… prevede esclusivamente che quando il medico di famiglia vuole aumentare il suo massimale di assistititi si può giovare dello psicologo.” Aspettiamo pertanto che arrivino delucidazioni autunnali per recepire meglio cosa significhi.
Volevo proseguire sugli eventuali scenari e sulle ulteriori criticità che potrebbero intervenire oltre al problema reciproco della formazione e delle risorse necessarie.
Senza dubbio un grosso problema prevedo che sarà il conflitto generazionale fra noi medici generali, per la maggior parte ultracinquantenni, con infermieri e psicologi probabilmente molto più giovani! Questo visto in positivo potrebbe essere invece una risorsa. Si pensi al nostro bagaglio esperienziale come potrebbe aiutare l’entusiasmo e lo slancio di chi inizia, però i tempi di attuazione e della messa a regime in Italia dei DL farà si che la maggior parte di noi vecchietti sarà in pensione.
Voglio addentrarmi in ulteriori riflessioni in merito soprattutto sul rapporto medico-psicologo di base che è il più innovativo. Bene o male con l’infermiere c’è un rapporto storico e consolidato nell’ambiente ospedaliero, nelle strutture di sanità pubblica e pertanto se pure con qualche “scossa di assestamento “ anche nel territorio avverrà la stessa cosa.
Con lo psicologo la vedo più dura! In primis perché dovrà essere definito meglio come sarà l’interazione e l’integrazione con noi. Dovrà essere chiarita una volta per tutte il problema della compresenza, vale a dire il fare ambulatorio insieme, tutti e due contemporaneamente dietro la stessa scrivania, che potrebbe essere foriero di situazioni talvolta anche imbarazzanti soprattutto per i pazienti.
Un ostacolo, poi, è la ricaduta epistemologica della disciplina. Mi spiego meglio. La medicina, se pur con tutti i suoi limiti, a diversi livelli è oggettivabile e misurabile. La psicologia, nonostante il cognitivismo ci abbia provato in tutti i modi, invece no. Tante sono le teorie della mente e tanti sono gli orientamenti e le modalità di terapia e i conflitti, e le lotte quasi di religione che nella storia si sono succedute fra le varie scuole non hanno certo aiutato e non aiutano a “fare comprensione”. C’è un altro aspetto poi, difficile da spiegare e da sintetizzare. Ci provo con delle riflessioni che forse qualcuno potrà dire che sono mie personali, ed è vero! Derivanti dalla mia esperienza, dal fatto che ho avuto una formazione da psicoterapeuta per cui sono iscritto nell’elenco dei medici psicoterapeuti e che per qualche anno sono anche stato iscritto nell’albo degli Psicologi dell’Umbria. Credo, però, che molti colleghi di una certa età come la mia, le condividono anche se non lo diranno mai ad alta voce.
I pazienti, i clienti tradizionali dello psicologo sono quasi sempre soggetti insicuri, indecisi, emotivamente instabili che necessitano spesso di essere presi per mano e poi portati a fare delle scelte. Questo ruolo dopo un po’ di tempo in qualcuno, soprattutto se giovane, fa scattare il meccanismo di sentirsi quasi un magister vitae un po’ con tutti, non solo con i pazienti. Se poi sempre qualcuno, matura la convinzione di saper “decifrare” l’inconscio del proprio interlocutore ecco che abbiamo uno stereotipo di un operatore di cui lascio immaginare le conseguenze a chi mi legge.
Quale è il messaggio che voglio dare alla fine! Che tutti quanti dovremo fare dapprima un passo indietro. Spogliarci tutti quanti dal voler rivestire il ruolo di primo attore. Tutti abbiamo da insegnare e da imparare. Si dovrà prendere atto che non viviamo più in una casa singola ma in un condominio in cui esistono delle regole. Anzi! In un condominio una volta chiusa la propria porta di casa ognuno vive la propria vita….d’ora in poi invece la nostra vita professionale dovrà essere vissuta con la consapevolezza di far parte di un sistema dove il totale non è la somma delle singole parti e le criticità di una parte si riverberano su tutti quanti. Buon lavoro.