Non
c’era verso di finire l’ambulatorio! Proprio questa sera che devo partire per
Firenze dove domani dovrò fare da docente a un corso di aggiornamento per
medici di famiglia.
Devo
passare a casa a prendere il trolley che mia moglie, come al solito, avrà
provvidenzialmente preparato di sua iniziativa. Un breve boccone per cena, un
abbraccio ai figli maschi, un bacione all’ultima nata da pochi mesi, uno
sguardo pieno di significato alla mia consorte che come sempre mi raccomanda prudenza.
Gira
e rigira è quasi mezzanotte e sto ancora guidando la mia auto lungo i “viali”
di Firenze alla ricerca del residence che l’agenzia ha prenotato. Durante tutto
il viaggio non ho fatto altro che sudare in maniera quasi innaturale, ma senz’altro
sono i primi caldi dell’estate che sta per cominciare. Un dolorino dello
stomaco, da riferire senza dubbio al rapido pasto consumato, ogni tanto si fa
sentire, ma che sarà mai!
Eccomi
finalmente in camera. Ripasso la mia relazione, accendo la cinquantesima
sigaretta della giornata quasi automaticamente, forse nemmeno mi andava, anzi a
ben pensare quasi mi disgusta il sapore che mi lascia in bocca ma tant’è,
oramai l’ho accesa e la fumo tutta.
M’infilo dentro il letto, spengo la luce, abbraccio il cuscino con tutte
due le mie braccia e comincio a rilassare tutti i muscoli e i neuroni per
addormentarmi……il volto di mia moglie, il volto di mia figlia, la scrivania del
mio studio, una diapositiva della relazione…. il mio volto sfuocato….
All’improvviso
una scarica elettrica fa trasalire il mio petto, le gambe e le braccia non
riescono a stare ferme, che diamine sta succedendo? Provo a mettermi seduto per
alzarmi, ma non ce la faccio….una debolezza, mai provata prima, mi fa quasi
ricadere all’indietro sul letto. Un sudore immane mi bagna tutto. Mio Dio
questa volta ci siamo proprio! Non sento più le braccia, è come se qualcuno me
le avesse amputate con un’accetta…. Con difficoltà riesco a trovare il telefono
sul comodino per mettermi in contatto con il portiere di notte per dirgli di
chiamare il 118. Dopo qualche minuto il mio stato catatonico viene interrotto
dallo squillo del telefono, è la
portineria che mi dice che la centrale operativa del 118 mi vuol parlare:” Come mai vuole il nostro
intervento?”
“ Perché mi sto sentendo veramente male! Penso
che sia il cuore… ho dolore precordiale, sono tutto sudato e mi pare di svenire”.
“Presenta
qualche fattore di rischio?”.
“
Tutti! Sono in sovrappeso, stressato, ho familiarità per cardiopatia ischemica
e fumo come un assassino……”.
“ Male
!“.
“Scusate, non voglio pretendere nulla poiché
sono un medico, ma se quasi alle 2 del mattino, sto al telefono, è perché mi
sento veramente morire!”.
“…
Non si preoccupi dottore. Veniamo subito”.
Devo provare ad arrivare alla porta della
camera per poterla aprire, ma che fatica! La testa mi gira, devo concentrarmi a
fondo su me stesso, sul mio schema corporeo, ma alla fine ci riesco e mi metto
anche seduto sulla poltrona, a questo punto preferisco evitare di assopirmi,
casomai non dovessi risvegliarmi! Quando il 118 arriva, mi sto sentendo meglio,
ho smesso di sudare e quell’astenia profonda è diminuita. E’ rimasto un dolore
epigastrico che però non mi fa stare tranquillo. L’elettrocardiogramma che
riesco a sbirciare, mostra la tipica
onda di lesione del tratto ST non
capisco in quale derivazione e in men che non si dica mi ritrovo
incartato dentro un telo, sollevato e caricato in autoambulanza.” La portiamo
all’ospedale! In mani sicure!” Mi dicono per rassicurarmi, e non mi viene detto
altro. D’altronde non ho per niente voglia di parlare anche se sento dentro di
me montare l’ansia, l’angoscia e la preoccupazione. Avrò un infarto? Penso di
si, altrimenti che mi portano a fare in ospedale. Ma in questo momento il
dolore si è attenuato, non sudo più e l’astenia è quasi scomparsa, quasi quasi
dico di riportarmi in albergo. Forse però sarà meglio fare gli enzimi e qualche
altro accertamento. Mentre sono assorto in questa concertazione con me stesso,
mi ritrovo in barella spinto lungo un corridoio interminabile, dove alla fine
trovo un altro collega che evidentemente mi fa la cartella: mi interroga sulle
patologie pregresse, stili di vita ed alla fine mi chiede il numero di telefono
di casa per ogni evenienza…..! E già, potrei all’improvviso perdere conoscenza,
potrei morire, d’altronde basta un’extrasistole fatta bene per innescare una
fibrillazione ventricolare letale, come potrebbero avvisare la mia famiglia
senza numero di telefono….. la mia famiglia! La rivedrò? Mio Dio che sto
dicendo?
“ Allora collega, se non mi fai perdere tempo
con tutte le boiate del consenso informato e della privacy, andiamo subito in
emodinamica e ti stappo la coronaria chiusa” mi sento dire da un gigante alle
mie spalle che riesco ad intravedere da sdraiato ruotando il più possibile gli
occhi all’indietro.
“Andiamo” rispondo e vengo portato in una sala
che sembra una centrale di comando militare, come si vedono nei film: luci e
lucette che lampeggiano, fili di tutti i colori e di tutti i diametri. Vengo
adagiato, dopo essere stato tutto denudato, su un lettino gelido da intervento
chirurgico, altri elettrodi ed arnesi mi vengono applicati al torace, una donna
dai capelli rossi con la mascherina al viso mi mette un altro ago in vena
dicendomi:” Ma doveva ammalarsi proprio questa notte per farmi tirare giù dal letto alle 2 del
mattino?”
“Allora
collega, adesso cominciamo, ti faccio un taglietto sulla femorale per mandarti
su il catetere” mi dice il gigante che nel frattempo si è messo la
mascherina e la cuffia da sala operatoria. A questo punto vengo percorso da un
brivido dai piedi ai capelli, l’ansia e l’ angoscia stanno montando in maniera
insopportabile:” Basta” dico ” sarà quello che il Padre Eterno vuole” e stacco
la spina. Tutto il mio cervello, tutta la mia mente è obbligata a cambiare
immagini: il lettino con le sue lucette infernali scompare, il collega e
l’infermiera con le mascherine spariscono, tutto l’ospedale svanisce: mi
ritrovo sotto un sole accecante a rotolare sulla sabbia con mia moglie e i miei
tre figli, giochiamo, ridiamo felici tutto il resto non esiste. C’è un mare
azzurro, sento le onde, sento il calore…”Abbiamo fatto, collega, tutto a posto,
sei tornato come nuovo” mi sento dire dal gigante mentre vengo trasportato via
dalla sala di emodinamica e precipito ancora una volta nella cruda realtà. Due belle ragazze in divisa da
infermiera, spingono la mia barella sino all’Unità Coronarica, durante il
tragitto mi sorridono in maniera dolce e cercano di rassicurarmi:” Oramai il peggio
è passato, i nostri idraulici stappano bene qualsiasi tubo, adesso cerchi di dormire. Vuole che
telefoniamo a casa? ” Telefonare ora a
casa? Non è proprio il caso. Penso proprio che telefonerò domani mattina
personalmente, chissà come reagirebbe Isabella sentendosi telefonare a
quest’ora antelucana da un’estranea! Mentre mi parlano collegano gli elettrodi,
che oramai sono diventati parte integrante del mio corpo, al monitor del mio
letto e se ne vanno.
Finalmente il silenzio….il buio interrotto
dal tracciato dell’elettrocardiogramma che scorre sui cristalli liquidi del
display. Alla mia destra una tenda tirata a mo’ di sipario mi divide da un
altro paziente che sento respirare in modo pesante. Allora vediamo un po’,
domani non potrò tenere il mio intervento al corso perché sto qui……sto qui? Ma
perché? Ma che mi è successo? Allora è
proprio tutto vero ? Ho avuto davvero un infarto e mi hanno fatto
un’angioplastica….Mio Dio! E ora che succederà? Sono diventato un invalido ?
Quando si spargerà la voce nella mia città sarà un corri corri generale a
cambiare medico......sono finito! Senza rendermene conto sto piangendo, anzi
singhiozzando. Cerco in ogni modo di farlo il più piano possibile, ma è più
forte di me e probabilmente mi stanno sentendo anche le infermiere, dovrei
vergognarmene, ma non me ne importa proprio niente.
" Non te la prendere, vedrai che si
aggiusta tutto" mi sento dire da dietro la tenda con un accento
tipicamente toscano. " Io è la terza volta che vengo qui....poi vedrai che
quasi te ne scordi". Sarà! Penso fra me e me, ma per il momento è come se
mi stesse crollando il mondo addosso, mi sento strano, irreale e sfinito.....Mi
ritornano le immagini di mia moglie e i miei figli, ma perché non riesco a pregare?
Ci sto provando, ci devo riuscire! Tra i volti dei miei cari e le parole
pensate di una preghiera arriva finalmente il sonno.
E’ un sonno strano con sogni caotici,
prendono forma per un attimo, ma poi si dissolvono, cambiano senza mantenere
una traccia, senza una logica per sparire del tutto appena comincia a filtrare
la luce del giorno.
E’ l’alba di un nuovo giorno. Questo potrebbe
essere il titolo di qualche film o libro, non ricordo bene, che parla
dell’inizio di una giornata ricca e radiosa, ma non è più certo il caso mio. Mi
sento come Cristo in croce.
Ho un introduttore sull’arteria femorale
destra, ho un cateterino venoso nel braccio sinistro dove sono collegati due
bocce di fisiologica con medicamenti e non posso pertanto muovermi più di
tanto: le spalle sembrano non far più parte del mio schema corporeo, la colonna
lombare è dolente in maniera sorda e continua, ma quello che sta più male è il
mio morale. Mi sento a terra, stordito, avvilito, ho paura di morire, ma non
tanto per me! Quello che mi assilla è il pensiero di mia moglie e dei miei
figli…… che faranno senza di me? Come potranno andare avanti poiché lavoro solo
io? Chi si prenderà cura di loro? Per fortuna sono iscritto da sempre
all’ONAOSI e ho un’assicurazione sulla vita, è senz’altro qualcosa, meglio di
niente!
“Buongiorno, le chiedo scusa, ma devo farle
un’ecocardiografia” dice un giovane medico spingendo il carrello con
l’ecografo. Rispondo positivamente con lo sguardo, viene tirata la tenda scura
alla finestra per fare un po’ di buio per vedere meglio le immagini ed il mio
torace viene spalmato con quel gel
dove poi viene appoggiata la sonda. Il collega borbotta tra sé e sé, non mi
degna di uno sguardo mentre guarda il mio cuore e alla mia domanda se poi vada
tanto male mi risponde in maniera evasiva con un giro di parole la cui sintesi
è che poteva andare peggio, e va via. A questo punto credo sia giunto il
momento di telefonare a casa…..mamma mia……come faccio? Mi faccio coraggio e con
il mio cellulare chiamo:” Ciao Isa ti devo dire una cosa……sono ricoverato in ospedale
a Firenze perché ho avuto un problema al cuore…no, non sto scherzando è la
verità….” e mi metto a piangere “ Comunque stai tranquilla, il peggio è
passato, ma mi faresti veramente contento se venissi…….organizzati come puoi..
credo che potrai alloggiare nell’albergo dove tra l’altro ho lasciato
l’automobile e la valigia….avvisa anche le mie sorelle che telefonassero ai
miei vecchi”. Mia madre…. Fino ad ora non mi era venuta in mente e al suo
pensiero piango ancora più forte.
“Tiziano! Per favore non fare così altrimenti
non riesco a combinare nulla….. Cercherò di fare il mio meglio, cerca di stare
tranquillo, però, ti raggiungerò il più presto possibile, non ti preoccupare..”
ma mentre mi parlava sentivo che stava a stento trattenendo le lacrime.
Adesso
devo pensare ad informare la mia società scientifica che non posso tenere il
mio intervento, devo pensare a trovare un sostituto devo…… ma basta non ho
voglia di fare proprio un bel niente. “Eccolo il nostro collega ” entra dicendo
così un medico di qualche anno più vecchio di me accompagnato dal giovane cardiologo che poco
prima mi aveva fatto l’eco cuore. Insieme a loro ci sono due infermiere
che spingono il carrello con le cartelle ed altro. “
Dunque, fai il medico mutualista vero? Allora ti spiego quello che abbiamo
fatto…..” Comincia così a farmi una lezione di fisiopatologia coronarica, di
cardiologia interventistica come se a me importasse qualcosa di quelle
informazioni. Probabilmente dovrei dare la sensazione di essere interessato,
perché seguita a parlare imperterrito, parla di trombi e di cateteri senza
minimante preoccuparsi delle mie emozioni e del mio stato d’animo. Seguita a
parlare, a parlare, ma oramai non lo sento più. Non si rende conto che oramai è come se per me non
esistesse. Anzi, a dire il vero, è come si mi fossi staccato dal mio corpo e
riuscissi a vedermi e a vederlo
dall’alto, come in un fumetto in cui il malato sulla propria nuvoletta ha tanti
“punti interrogativi” ed il dottore
tanti “bla,bla, bla”.
Soddisfatto, mia stringe la mano e passa
all’altro letto mentre le infermiere mi sorridono dolcemente e lo seguono
spingendo il carrello. E pensare che avrei voluto chiedergli tante cose: se ce
la potevo fare, che ne sarebbe stato del mio lavoro, della mia famiglia…….ma
possibile nessuno si rende conto che in questo momento non sono più un medico,
ma semplicemente un essere umano con le proprie ansie ed angosce, con delle
richieste normali…che me ne importa sapere dove hanno messo e che tipo di “stent” mi hanno messo?
Io voglio sapere se mi sarà più possibile
correre per la città a fare le visite domiciliari, se potrò più affrontare la
fatica e lo stress delle mie sedute ambulatoriali, se potrò più inquietarmi con
i miei figli quando non danno retta, se potrò più amare mia moglie…..Ah!
Eccola.
“Allora?...Che è successo?” Mi dice tanto per dire qualcosa in maniera
apparentemente decisa, ma non è la solita Isabella. Trucco quasi inesistente,
occhiali da sole per nascondere gli occhi che dovrebbero aver pianto per gran
parte del tempo, le sue mani stringono
in maniera esageratamente forte la mia
mano del braccio libero da aghi e deflussori.
“ Ciao
Isa “ ma non riesco a dire altro in quanto le mie parole vengono strozzate dai
singhiozzi di un pianto che oggi definisco “liberatorio”.
“ Se
fai così…..vado via! Ho parlato con un medico di qui che mi ha rassicurato, ha
detto che ti ha informato su tutto e che, anche se è ancora presto per poterlo
dire, è andato però tutto bene, ha parlato di danno minimo senza tante
conseguenze, sono cose d’altronde che
dovresti conoscere benissimo!”
E già!
Dovrei tutto conoscere benissimo, si dice presto, ma questa volta è capitato a
me e non sono abituato a stare dall’altra parte, poi se permetti perché non ho
il diritto di lagnarmi, di piangere, di voler essere rassicurato e anche
coccolato? Perché per me deve essere tutto scontato e superfluo? Mentre mi sta
raccontando come si è organizzata con la casa ed i figli, come i miei colleghi
amici stanno provvedendo a trovarmi un sostituto smetto di ascoltarla per
osservarla, mi sembra ancora più bella del solito, nonostante tutto! Mi vengono
in mente tante idee: mi vorrà più? Mi accetterà ora che sono cardiopatico e
malato? Chissà?
“ Ma
mi ascolti?” esclama rendendosi conto che con la testa sono da un’altra parte”
Ma non t’importa di sapere come sto sistemando tutto?” E si mette a piangere sommessamente.”
Ti prego, Tiziano, reagisci che da sola, senza di te, non ce la faccio a fare
niente! Fammi un cenno, dimmi qualcosa!” Mentre dice queste parole, mi sto
rendendo conto che qualche parte di me
quasi è contenta di farla soffrire un po’, come se fosse possibile
trasferire il proprio carico di angoscia su di lei. Ma che sto pensando? Devo proprio essere impazzito per comportarmi
in modo così cattivo ed egoista…
” Scusa Isa, è un momento, vedrai che passerà
tutto!” dico a parole, mentre da dentro penso che oramai sia tutto finito.
Le ore
passano fra un prelievo di sangue, il cambio di una flebo, l’infermiera che
spinge il carrello delle terapie, i bisbigli e le parole che provengono dal mio
compagno di sventura che si trova dietro la tenda che ci separa. La mia
permanenza nel letto dell’Unità Coronarica
trascorre così, con i ritmi cadenzati dai turni del personale infermieristico
che si avvicenda, la distribuzione del vitto…..piuttosto quanto tempo è che non
tocco cibo? Oramai sono due giorni, è come se non ricordassi più di avere fame,
per me che sono sempre stato una buona forchetta sembra quasi impossibile.
“ Ecco per lei un bello yogurt magro, se lo
desidera ne appoggio uno sul suo comodino.” Mi dice l’infermiera, la stessa che
faceva la notte quando mi ero ricoverato.
“Lo prendo, però lo mangerò quando arriverà
qualcuno per imboccarmi” .
“ Se lo scordi, lei non ha bisogno di essere
imboccato, è in grado di farlo da solo, non creda che non la osservi…. È ora
che la smetta di piangersi addosso e di autocommiserarsi. Va bene, ha avuto un
infarto, come la maggior parte di quelli che passano in questo reparto, ma è
tempo che asciughi le lacrime, rimbocchi le maniche e cominci a riprendere
contatto con la realtà, caro mio dottorino! Alzi il culo, si giri sul fianco
sinistro, allunghi il braccio libero e cominci a mangiare questo benedetto
yogurt “Mi sorride e se ne va.
Mamma mia, e chi sarà mai questa che si permette
di trattarmi così, ma non si rende conto che sto male? Che non ce la faccio più
a fare niente! L’unica persona al mondo in grado di capirmi sarebbe senz’altro
mia madre,…mia madre, ma perché mi viene in mente tanto poco, adesso la chiamo.
Prendo il cellulare dal cassetto, lo accendo e faccio il numero della mia casa
paterna, dopo solo due o tre squilli sento: ”Pronto?” E riconosco la sua voce
inconfondibile .” Ciao, mamma, non ti preoccupare perché ora sto bene, non
posso parlare a lungo, ricordati che ti voglio tanto bene…..” e comincio a
singhiozzare.
“Anch’io
te ne voglio, ti aspetto presto a casa e
piangendo riattacca.
E sì. Sono proprio messo male. Le spalle e la
schiena mi fanno impazzire, l’arto inferiore dx, quello con l’introduttore
sulla femorale è talmente intorpidito che sembra una protesi. Provo a contrarre
in maniera ritmica i muscoli dei glutei per cercare di far respirare il sacro e
provare un temporaneo senso di sollievo, ma la crisi maggiore è quando devo
usare “ il pappagallo e la padella”. Sono convinto che non esista al mondo
umiliazione peggiore.
“Coraggio dottorino, i suoi colleghi ci hanno
incaricato di liberarlo! Lo trasferiamo dalla terapia intensiva alla corsia
normale perché tutto sta filando per il verso giusto”. Per fortuna ci sono le
infermiere che ti sorridono, che t’incoraggiano, ti sollevano il morale perché
i colleghi! Li ho sempre visti molto sfuggenti, saranno bravissimi tecnicamente
parlando ma quanto ad empatia e solidarietà conviene stendere un velo
pietoso. La maggior parte di loro quando
ti parla evita di guardarti negli occhi, cerca di limitare il contatto al
minimo indispensabile, forse sono inconsciamente turbati dal trovare un loro
collega quasi coetaneo malato, steso sul
letto. Sempre forse, da qualche parte sfuggono all’angoscia derivante da una
loro probabile immedesimazione nella mia condizione e per questo se non scappano,
si nascondono dietro ad un mero ruolo tecnico: ogni visita termina con una
lezione di cardiologia…. Chissà? Finalmente mi posso muovere rigirarmi su me
stesso, riassaporo il gusto di poter cambiare posizione e postura se pure da
sdraiato. Via l’introduttore femorale,
via i deflussori delle flebo, mi ritrovo in una camera con altri due pazienti
che discutono di calcio, l’atmosfera è decisamente cambiata. Finalmente posso
rialzarmi, infilare le pantofole e tornare al bagno in maniera umana, ma
l’entusiasmo sparisce subito. Come provo infatti a tirarmi su, la testa
comincia a girare, un’astenia profonda come quella provata la notte dell’infarto
mi assale e non ce la faccio a mettermi in piedi. Mio Dio sono proprio finito,
non c’è proprio niente da fare. “ Oh! Senza furia” mi dice un infermiere con
spiccato accento toscano
” ‘osa pretende dopo esser stato steso per
quattro giorni….. faccia adagio adagio!”
Seguo il suo consiglio. Dapprima seduto con
il dorso appoggiato al muro, quando la testa smette di girare metto i piedi in
terra, ma ricomincia il vortice. Resisto. Quando cessa, mi tiro su
appoggiandomi con le mani sulla parete ed aspetto. Dopo qualche minuto,
sentendomi stabile comincio a muovere i primi
timidi passi verso la porta della camera, sempre appoggiandomi alla
parete. Che fatica, le gambe mi tremano, la testa non gira più ma sembra
evanescente. Riesco comunque a uscire dalla stanza e a strisciare come uno
zombi lungo il corridoio del reparto.
“ Forza dottorino, vede che cominciamo a
ripartire, mi raccomando sia deciso e se cerca il bagno lo trova in fondo a
sinistra” mi dice la solita infermiera che mi aveva
“ strapazzato” quando volevo essere
imboccato. Si fa presto a dire di essere decisi quando si sta bene, ma quando
si sta male come me è tutta un’altra
musica. Adesso poi mi tocca attraversare il corridoio senza che mi possa appoggiare
alla parete, e se cado? Via lasciamo perdere e comincio a tornare indietro. Ma
devo allora usare ancora il pappagallo! A no! Preferisco piuttosto rischiare di
cadere, ma che strazio! Con questo mio contraddittorio mentale arrivo alla
porta del gabinetto da dove sta uscendo un paziente attempato che traffica in
maniera quasi furtiva sulle tasche della vestaglia che indossa. Attraverso
l’antibagno e già comincio a sentire un odore che mi è familiare. Entro dentro
il bagno e l’odore del fumo di sigaretta appena fumata è fortissimo, neanche la
finestra lasciata completamente spalancata riesce a smaltirlo, come se
evidentemente si fossero avvicendati diversi fumatori. Mi sembra di essere
tornato ai tempi del liceo, quando la pausa fumo dentro i gabinetti per non
farsi vedere dai professori era regola quotidiana. Ma guarda un po’! Mi ero
completamente dimenticato delle sigarette, adesso quasi mi sta tornando la
voglia, in quale camera starà il paziente che mi ha preceduto per farmene dare una?
Ma che sto pensando? Mi gira la testa per camminare figuriamoci se riprendo anche
a fumare…..Dio che fatica a stare in piedi, non vedo l’ora di tornarmene in
camera. Mentre “rincaso” lentamente, strisciando lungo la parete del corridoio,
incrocio un collega che mi saluta con un rapido buongiorno e fugge via. Arrivo
a letto che sono completamente esausto, è veramente impossibile tornare come
ero prima e mentre penso questo mi giro verso la parete voltando le spalle ai
miei due compagni perché non voglio farmi vedere che sto piangendo. Non c’è
niente da fare sono proprio diventato un invalido, un peso per la società e per
la mia famiglia. Sonnecchio un po’ e mi alzo nuovamente facendo finta di
sbadigliare per evitare di ricominciare a piangere. Le gambe tremano, ma la
testa non gira più come prima. Vado alla finestra della camera. Siamo
all’ultimo piano, quasi a sotto tetto. La primavera non è ancora finita sul
calendario, ma di fatto è già estate. Un sole abbagliante picchia e riscalda
tutto quanto. All’orizzonte le sagome sfumate di montagne che non riesco a
censire: Alpi Apuane? Appennino? Non mi rendo conto in che direzione sono
orientato. Qua e là s’intuiscono agglomerati urbani avvolti da una sottile
cappa grigia: probabilmente per l’inquinamento. Più vicina la pianura anch’essa
sotto la cappa grigia. Chissà quanta gente in questo momento sta correndo in
questo pezzo di mondo, si sta affannando per qualcosa che nemmeno saprebbe
definire e poi, con quale scopo? Ne vale la pena? Corri, ti agiti, cerchi di
costruirti uno spazio e poi? Arriva una mazzata com’è arrivata a me e finisce
tutto…..Mi stanno per tornare le lacrime. Non me la sento proprio di seguitare
a lottare, sono stanco, malato, con le gambe che quasi non mi reggono. Come
sono disgraziato….quasi quasi…. volo
giù, sono veramente in alto, più in alto delle chiome dei pini marittimi che
fanno ombra al piazzale di sotto. Il parapetto della finestra è veramente
basso, non mi arriva all’ombelico e se mi appoggio e mi sbilancio in avanti
precipito senza neanche sforzarmi più di tanto. E’ un attimo e mi tolgo il
pensiero…chi ha voglia di ricominciare?
Basta! Ma chi è che si è alzato in piedi dalla panchina giù in basso sul
piazzale? I rami degli alberi che si
interpongono fra noi impediscono di vedere bene. Sta sorridendo e sta
sbracciando verso di me e sta chiamando qualcuno poco distante. Ma è mio figlio
Emanuele, il più grande dei tre e subito arriva anche mia moglie che agita la
mano per salutarmi, sorride e si guardano e sorridono. Perché tanta felicità?
Ma certo, mi vedono in piedi, alla finestra pensano che sono guarito……Mi
vengono le lacrime, senza singhiozzi però, ma che stavo pensando? E loro? In pochi attimi rivedo tutta la mia
vita. Rivedo anche l’altro figlio e l’altra figlia…… non posso certo
arrendermi. Devo andare avanti e mi rendo conto che sto piangendo di nuovo, ma
di gioia.
Sono passati 13 anni da allora, ma mi ricordo
tutto come se fosse accaduto ieri. Lo confesso, non ho idea di come sarebbe
andata a finire se quella mattina non avessi incrociato con gli occhi i miei cari. Probabilmente non
sarei comunque volato giù, ma la tentazione è stata forte.
In questi 13 anni ho fatto e ho ricevuto
tanto, non mi piace fare l’elenco delle soddisfazioni professionali ed
esistenziali che ho avuto, ma quello che mi preme sottolineare è il fatto come da
un’esperienza drammatica e negativa come quella di una malattia si possa trarre un bilancio molto positivo.
Ancora mi commuovo al ricordo di come piangevano i miei pazienti nel sentire la
mia voce quando ho ripreso a rispondere al telefono, le lettere e i biglietti
di auguri e di solidarietà che ho avuto da loro, da amici e colleghi. Quanta
gente mi è stata vicina e quanta gioia e quanto calore mi hanno dato. Quanto ho
imparato! Quanto è cambiato il mio modo di valutare e giudicare la vita, ma soprattutto ho imparato quello che a voce tutti
dicono, ma che nessuno capisce fino a quando non ci batti il muso di persona:
le battaglie più dure da combattere non sono contro gli altri, ma con se
stessi.