domenica 8 ottobre 2017

Intervento alla presentazione de "IL NOSTRO OSPEDALE IN FOTOGRAFIA : policlinico di Monteluce Perugia 2007/2008" 8 ottobre 2017



Quando Paolo Menichetti mi ha contattato per partecipare alla presentazione di questo libro fotografico sull' ospedale di Monteluce ho subito accettato, onorato per questo invito, ma poi ho iniziato a provare un certa difficoltà in quanto io non ho mai lavorato dentro questa struttura e forse qualsiasi figura che a qualsiasi titolo vi  abbia operato sarebbe in grado di produrre ricordi e testimonianze più significative della mia. A tal proposito, proprio i giorni scorsi, nel mio ambulatorio è venuto uno dei vecchi portieri in pensione, quelli che stavano alla sbarra che  regolava  l'ingresso delle auto all'interno del nosocomio e che all'occorrenza facevano di tutto,  gli ho chiesto di raccontarmi quello che a suo giudizio di più curioso e simpatico gli fosse capitato. Mi ha raccontato, sghignazzante, che senza dubbio era stato quando gli fecero trasportare per una mattinata intera pacchi di documenti dal meccanografico alla ragioneria con la "Carolina", l'auto dei servizi funebri per chi non la conoscesse con questo nome. Mentre svolgeva questo compito  e percorreva le vie all'interno dell'ospedale tutti quelli che lo  incrociavano e conoscevano facevano l'italico scongiuro.
Il Policlinico di Monteluce! Che valore e che significato ha avuto per Perugia e per tutti noi Perugini? E ' facile in queste situazioni perdersi in rievocazioni nostalgiche dal sapore dell'Amarcord, se non altro perché per molti di noi coincide con la nostra gioventù o con un periodo significativo della propria vita...per me, come per moltissimi di noi, il proprio corso di formazione universitaria, per chi l'inizio della propria vita professionale. Per molti rievoca occasioni felici di nascite di familiari, per altri, momenti tristi o drammatici di malattie e lutti.
La mia posizione è abbastanza neutra nei ricordi: per fortuna nessun episodio di particolari crisi di salute mia o della mia famiglia e anche il percorso universitario è stato tranquillo e tutto sommato  anche abbastanza monotono. Negli anni '70 la goliardia era finita e salvo qualche screzio con qualche professore universitario in occasione di un paio di esami non mi vengono in mente particolari ricordi.
A vedere queste foto ti vengono spontanee alcune considerazioni. La prima dal  punto di vista dell' edilizia sanitaria . Di come Monteluce  rispecchiasse l'idea della sanità , dell'assistenza sanitaria di quei  tempi, una sanità, cioè, che nasceva e poggiava sulle  discipline scientifiche e sui dettami dei relativi primari. Una sanità per certi aspetti anche chiusa e protetta verso il territorio e la città, per cui  c'era quasi l'esigenza di munirsi di mura di recinzione e con le varie cliniche paragonabili a dei castelli, a dei feudi, governate, passatemi la metafora ma poi non  tanto pellegrina, dai vari feudatari  o baroni che dir si voglia. Non fraintendetemi, per carità! La mia non vuole essere un'affermazione polemica, che esprime giudizi di merito, ma solo una constatazione e  sarà poi la storia che ci dirà se il periodo dei baroni  sia stato migliore o peggiore di quello attuale. Ma come sarebbe possibile pensare l' ematologia perugina separandola dal suo fondatore professor  Larizza o la nostra diabetologia senza il professor Brunetti? Molto spesso le cliniche venivano chiamate con il nome dei primari o dei direttori stessi e  queste foto dei loro studi rendono bene l'idea dell'importanza austera  e quasi regale di chi vi abitava...incutono quasi timore e mi rimandano allo stato d'animo che provavo quando da studente dovevo andare a parlare con qualcuno di loro.
Quale è stato il mio personale rapporto con l'ospedale di Monteluce, come medico di famiglia? Come l'ho vissuto? Se devo essere sincero, devo rispondere in maniera ambivalente, il classico " odi et amo", da una parte è stato un punto di riferimento obbligato, volente o nolente ci dovevo fare continuamente i conti anche talora  in modo sofferto...la medicina specialistica si è sempre rapportata con il territorio in modo gerarchico dall'alto verso il basso. Quando sei giovane e si rapportano con te i tuoi maestri, alla fine è anche abbastanza naturale adeguarsi, ma quando avviene il cambio generazionale e al posto dei tuoi vecchi maestri ti ritrovi specialisti coetanei o più giovani, diventa meno facile. Comunque sia, il Policlinico ha rappresentato e  ancora rappresenta un punto di indiscutibile riferimento per tutti noi medici del territorio: riferimento culturale, riferimento assistenziale soprattutto quando, passatemi la metafora, non abbiamo più cartucce da sparare.
 Dice il padre della fotografia giornalismo Henri Cartier Bresson:"La fotografia non è come la pittura. Vi è una frazione creativa di un secondo quando si scatta una foto. Il tuo occhio deve vedere una composizione o un'espressione che la vita stessa propone, e si deve intuire immediatamente quando premi il clic della fotocamera. Quello è il momento in cui il fotografo è creativo. Oop! Il momento! Una volta che te ne accorgi, è andato via per sempre" . Questa considerazione probabilmente  è  valida per scatti dinamici, per le foto che fissano un movimento, una espressione del volto di un soggetto, un sorriso di un bimbo,  forse è meno valida per queste fotografie statiche che fissano delle stanze e dei percorsi oramai vuoti. Forse, però, a ben riflettere  è valida anche per queste. Queste aule, quegli ambulatori, quelle cliniche e quelle strade e quei corridoi oramai svuotati rendono bene lo stato di abbandono, lo stato di fine imminente e Nicolini è stato veramente bravo nel cogliere e nel dare questa emozione.
Ma lasciatemi però fare un'altra citazione, di un altro artista, questa volta della penna, una citazione che forse per qualcuno potrà risultare troppo forzata ed esagerata , ma a me viene bene così: Marcel Proust  quando nel suo " Le temps retrouve' " afferma:
"Basta che un rumore, un odore, già udito o respirato altra volta, ( o un'immagine aggiungo io)  lo siano di nuovo, a un tempo nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l'essenza permanente e ordinariamente nascosta delle cose venga liberata, e perché il nostro vero 'io', che talvolta sembrava morto da un pezzo, ma che non lo era interamente, si desti, si animi, ricevendo il celeste nutrimento che gli viene offerto. Un attimo affrancato dall'ordine temporale ha ricreato in noi, per percepirlo, l'uomo affrancato dall'ordine temporale."

Questa emozione e sensazione, questo affrancamento temporale l'ho avuto nel vedere, anzi nel rivedere l'immagine del corridoio mediano che originava nel lato sinistro del piazzale d'ingresso, a fianco della Clinica Medica. Si allungava per un discreto tratto al chiuso e poi continuava  in un portico che costeggiava la Chirurgia "nuova" che non lo era più da un pezzo, ma  era chiamata così per distinguerla da quella vecchia, e poi la particolare Cappella  Salus  Infirmorum affrescata dal nostro Gerardo Dottori.  Orbene ,questo corridoio ho cominciato a vederlo animato. L'ho visto popolarsi di tanta gente: parenti dei ricoverati con gli immancabili pacchi e pacchetti per i ricambi e i vettovagliamenti, studenti allegri con i libri sottobraccio, infermieri che fumavano e scherzavano, degenti incappottati con sotto il pigiama che tornavano dal bar con fare furtivo forse dopo aver acquistato qualche pasterella o sigaretta proibita, medici con passo svelto, allieve ostetriche, manutentori dal viso annoiato e così via. Ho sempre visto quel corridoio come l'aorta pulsante del nostro organismo, l'arteria principale in cui transitava tutta l'umanità per distribuirsi poi in tutti i luoghi del nostro ospedale.
Una delle ultime foto riporta una scritta: " Addio, caro vecchio policlinico! Chissà se il peggio verrà dopo?" Sarà la storia che potrà rispondere a questa domanda, per il momento però cerchiamo assolutamente di essere ottimisti, lasceremo ai nostri figli e nipoti. quando noi non ci saremo più, il compito di commemorare l'attuale Policlinico Silvestrini quando sarà dismesso.