sabato 4 marzo 2017

SCIENZA O UMANITA? Editoriale pubblicato sul Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia n.4/2016-01/2017

SCIENZA O UMANITA'?


Questa mattina, mentre ero intento a leggere una lettera di dimissione dall'ospedale di una mia paziente...." Certo dottore che nel reparto dell'ospedale dove sono stata ricoverata, i pazienti sono del tutto trasparenti!". Ho allora alzato gli occhi dal foglio e le ho chiesto che cosa volesse dire con quelle parole. "Voglio dire che è come se fossimo invisibili, come se non ci vedesse nessuno! Arrivano... ti levano il sangue senza guardarti o dirti qualcosa, ti ficcano quasi le pillole in gola, i medici ti visitano in silenzio e non ti degnano nemmeno di uno sguardo....come se fossimo del tutto trasparenti...che roba però!" L'ho guardata in silenzio e devo dire che fino a quando non aveva detto quello che aveva appena detto, forse anche per me era trasparente!
Questo corsivo è un post tratto dal mio profilo FaceBook che a mia insaputa è stato letteralmente copiato, con tanto di grafica originale, e inserito in un manifesto in occasione di un congresso nazionale sulla comunicazione medico-paziente. Ne è anche stata realizzata una diapositiva che compare spesso in presentazioni su convegni di Medicina Narrativa o che hanno per oggetto la relazione di cura. Perché mi è tornato in mente questo episodio? L'occasione che ha riattivato questo ricordo è stata la lettura recente di un articolo pubblicato sul sito www.saluteinternazionale.info del collega pneumologo e bioeticista Andrea Lopes Pegna dal titolo:" Il conflitto tra razionalità e umanità in Medicina". Tale articolo prende lo spunto a sua volta da un saggio del BMJ, How medicine has exploited rationality at the expense of umanity di Iona Heath che ha presieduto dal 2009 al 2012 l’Associazione dei Medici di Medicina Generale del Regno Unito (Royal College of General Practitioners) che evidenzia come la medicina abbia sempre privilegiato la razionalità a spese dell'umanità. Iona esordisce con:"I medici devono ascoltare e vedere i loro pazienti nella completezza della loro umanità allo scopo di diminuire le loro paure, di dare spazio alla speranza (anche se limitata), di spiegare i sintomi e le diagnosi in un linguaggio adatto al particolare paziente, per testimoniargli coraggio e resistenza e per accompagnarlo nella sofferenza”. Poichè, però nessun medico è stato mai formato all'ascolto e nessuna evidenza medica aiuta in questa competenza si viene a creare di fatto una frattura nel momento della visita  col malato tra la medicina delle evidenze e il ruolo dell’umanità. È compito del medico quello di colmare questa frattura come tutte le altre fratture che si possono presentare durante il colloquio con il paziente per cui devono essere creati dei ponti fra questa separazioni che sono diverse:
 • Malattia oggettiva (Disease) contro malattia soggettiva (Illness)
 • Obiettività contro Soggettività
 • Tecnico contro esistenziale
 • Popolazione contro individuo
 • Utilitarismo contro deontologia
 • Normativo contro descrittivo
 • La mappa contro il territorio
 • I numeri contro le parole
• Quantitativo contro qualitativo
• Razionalità contro emozione
• Scienza contro poesia
Mi piace soffermarmi sulla frattura che esiste "tra i numeri che hanno bellezza seduttiva e purezza, che suggerisce solidità e certezza, e le parole, che sono infinitamente malleabili e adattabili, ma che possono comunicare molto di più. A. R. Feinstein ricorda a questo proposito che “la maggior parte della ricerca rivolta alla cura del paziente è stata più matematica che clinica”. Abbiamo invece necessità delle parole per conoscere e per rispondere alle emozioni, che sono egualmente importanti quando ci si prende cura del paziente. Questo è il motivo per cui i medici necessitano sempre di conoscenze che
scaturiscono da ricerche non solo quantitative ma anche qualitative e che quindi affrontino entrambi gli aspetti."
Mi piace anche evidenziare quello che ha scritto sulla scienza contro la poesia:
 " H. Auden ha scritto molti anni fa ...la poesia non si preoccupa di indicare alle
persone cosa fare, ma di aumentare la loro conoscenza tra il bene e il male… solo portandoci al punto dove ci è possibile fare una scelta morale razionale. Questo autore offre così un altro ponte per colmare la frattura esistente tra la scienza e la poesia, che rappresenta però anche una difesa contro la maggior parte di coloro che vogliono dire al paziente e ai professionisti cosa devono fare. Le poesie ci chiedono di pensare e molti di noi, quando siamo malati, vogliamo proprio un medico che sia abituato a pensare. Health afferma che vorrebbe vedere un giorno in cui i medici, invece di offrire linee guida, diano
semplicemente il sommario delle evidenze, con chiare indicazioni e limiti, parlando anche delle incertezze e facendo sempre conoscere i possibili pericoli. Questo incoraggia i clinici a pensare, senza dire loro cosa devono fare.

Al termine della lettura di questo articolo mi è tornato alla mente l'ultimo saggio che ho letto sulla rivista "Riflessioni Sistemiche" della mia amica Antonia Chiara Scardicchio, ricercatrice in pedagogia sperimentale presso l'Università degli Studi di Foggia. Il titolo di questo saggio è : " Lo strano caso delle competenze mediche fuori dalla lista. Interrogazioni ispirate dalla Ministra della Salute, a proposito di formazione scientifica-ed umana- in medicina". Come dice l'autrice stessa, l’ispirazione per questo saggio è derivata dalle parole proferite dalla nostra Ministra della Salute Beatrice Lorenzin in occasione della 3° Conferenza Nazionale della Professione Medica e Odontoiatrica organizzata dalla FNOMeCEO nel giugno 2016, allorché a proposito della formazione in medicina ha dichiarato:" E' fondamentale la vostra formazione continua. Ovviamente, però, mi riferisco solo a quella relativa alle specializzazioni disciplinari perché quella che riguarda le vostre competenze umane....quelle o le avete o non le avete. L'umanità non si può imparare". La Scardicchio da questa involontaria provocazione ha costruito il suo saggio, dimostrando in maniera mirabile come tale affermazione comporti una serie di inferenze che rimandano a riflessioni sulla conoscenza, sul metodo scientifico di operare e lavorare del medico e sul ruolo dell'osservatore nel determinismo  di un fenomeno: la  malattia nel nostro caso.
Tutta la nostra formazione, tutta la nostra preparazione poggia di fatto su delle "liste" di categorie "..Dentro ad una interrogazione che riguarda la scienza medica, mi ritrovo a esplorare questa particolare attitudine: la volontà di chi conosce un paziente cercando nella sua lista (reale, attingendo alle banche EBM e virtuale, mediante il ricorso alla propria conoscenza ed esperienza professionale) l’item a cui ricondurlo, il punto dove inquadrarlo affinché senza errore possa leggerne sintomo, malattia, cura. Con competenza. Non per ispirazione né per sciamanica intuizione, no: con fondamento e rigore condiviso e condivisibile… grazie ad una stringa di indici, indicatori, parametri oggettivi: dentro la lista, insomma."
Tutto quello pertanto che non è oggettivamente misurabile, tutto quello che è fuori dalle liste viene escluso, ma qualsiasi medico ben presto sperimenta su di sé come questa " matematizzazione della competenze" non sia sufficiente a garantire i risultati della cura, come avviene anche  quando si parla di aggiungere competenze umane o umanità del medico.." il punto è che quella “umanità”, utilizzata per fare sintesi delle competenze comunicative e relazionali altrettanto fondamentali in medicina, finisce così, con questa scelta lessicale, in quella sfera delicatissima sovente fraintesa, dell’aleatorio, sfumato, indefinibile….e persino per taluni in-insegnabile".
Probabilmente fino a quando non verranno cambiati i punti di osservazione anche tutti i percorsi formativi per una umanizzazione della medicina resteranno un qualcosa di impalpabile e di non scientifico.
Non si può più  concepire un metodo di cura che perpetui fedelmente la scissione cartesiana per cui io tengo separati dalla mia osservazione e dalla mia valutazione  una tumefazione del collo di chi sto visitando  dalla sua paura e dalla sua perdita di speranza, oppure un dolore addominale di un mio paziente con  la sua  preoccupazione per la perdita del proprio posto di lavoro. Non è più concepibile un metodo che tenga separati la nostra attività dalla nostra sensibilità e dai nostri desideri o dai nostri fantasmi:" ....Qual è il mio modello di paziente? Di malattia? E qual è il modello di me-in-relazione a questo paziente? Lo scrivo ancora: quello che abbiamo appreso dalle scienze della complessità è che la neutralità nei processi di conoscenza non esiste. Non esiste paziente neutro. Esiste un paziente interpretato. Non esiste un medico neutro. Esiste un medico interpretante. E non v’è natura che non sia ineludibilmente cultura. Sicché ho bisogno di osservare sempre due mondi anzi, tre: quello del paziente, il mio stesso e quello, inedito, della relazione/contesto che si crea tra me e quell’altro mondo."
Approccio complesso, quindi, nel senso etimologico  originario della parola: legato, unito. Approccio complesso che unisce competenza epistemica, filosofica, ermeneutica " e persino estetica nel quadro di competenze per formare un medico non già all’umanità ma... alla complessità dell’umano che lo accomuna all’umano che vuole curare".
Non si tratta quindi solo di formarsi ad una psicologia dell'ascolto e della relazione come una dimensione etica senza dubbio necessaria, ma di disporsi all'ascolto  accettando il principio di indeterminazione di Heisenberg, accettando la dimensione dell'incertezza e il superamento del cosiddetto  " demone di Laplace": la convinzione che sarebbe possibile, conoscendone le cause, prevedere qualsiasi situazione o problema.
Partendo da questi presupposti, da questa cornice ecco che l'umanità entra dentro il processo scientifico della conoscenza stessa e la mia paziente smetterebbe di essere trasparente e invisibile.