martedì 29 ottobre 2013

C’ERA UNA VOLTA……. Quale senso nella Medicina Narrativa? EDITORIALE DEL BOLLETTINO DELL'ORDINE DEI MEDICI DELLA PROVINCIA DI PERUGIA N.3/2013

C’ERA UNA VOLTA…….        Quale senso nella Medicina Narrativa?

Con l’espressione c’era una volta, la nostra mente rimanda a ricordi della nostra infanzia. A storie lette da un viso di donna ancor giovane che con amore e passione ci leggeva, ci entusiasmava, ci preoccupava,  ci rallegrava……. Passa il tempo e cambiano le situazioni. Passano eventi, passano uomini e fatti, ma in fondo in fondo se uno ci prova, se uno si mette in posizione d’ascolto le storie sortiscono  sempre lo stesso effetto.  Entusiasmano, preoccupano o  rallegrano, ma ora che siamo “dottori” adulti, mai vecchi, le storie aiutano a capire. Eccone una.
Sono oramai quasi le venti e se Dio vuole non c’è più nessuno.  Siamo a oltre un’ora di ritardo rispetto al previsto orario di chiusura dell’ambulatorio. Sono alle prese con gli invii telematici delle certificazioni di malattie e, come sempre accade quando hai fretta, sbagli qualche tasto e ti tocca ricominciare daccapo la procedura. Arriva, come se fosse la cosa più normale di questo mondo a quest’ora, il signor Ludovico di 80 anni che trovando la porta aperta, incurante di tutto, si siede e comincia a dire che ha una specie di nodo allo stomaco che da diverso tempo gli toglie del tutto l’appetito. Lo guardo, d’istinto vorrei rispondergli in malo modo, invece, vuoi per il rispetto della sua età, vuoi perché è rimasto vedovo da poco più di un anno e insieme abbiamo percorso  tutto il doloroso cammino della moglie morta di cancro, faccio al volo qualche domanda di rito: da quanto tempo precisamente, se è dimagrito e se ha nausea e vomito. Non aspetto nemmeno le risposte, gli stampo una richiesta di analisi del sangue vedendo che sono oltre tre anni che non le fa e lo licenzio a denti stretti per evitare che una sua ulteriore permanenza in studio mi faccia superare la soglia della buona creanza.
Passa qualche giorno e Ludovico ritorna con i risultati delle analisi e mentre le sto interpretando, mi dice: ”Sono molto preoccupato, pensi dottore, che per far passare il nodo allo stomaco che le dicevo l’altra volta, sono costretto a mangiare sempre qualcosa....” “ Aspetti, aspetti!” rispondo io “ ma la volta precedente mi aveva riferito che non aveva più appetito e ora invece mi dice il contrario? C’è qualcosa che non quadra! Facciamo una cosa, Ludovico, l’ambulatorio è quasi vuoto, abbiamo tanto tempo per cui mi racconti tutto per bene dall’inizio per farmi capire, mi dica tutto, anche i suoi stati d’animo e quello che pensa possa nascondere o essere questo sintomo che mi riferisce. Le analisi vanno bene, c’è  solo un pizzico di trigliceridi e qualche altra piccola sfumatura senza nessun significato”.
“ Dottore mio, lei sa bene che oramai è quasi un anno che sono rimasto vedovo. Mia figlia vive a Verona ed il figlio maschio è come se non ci fosse…passo la maggior parte del tempo da solo. Gli amici da vecchi non si fanno e quei pochi che sono rimasti stanno peggio di me. Ogni tanto provo a tornare al mio paese natale di Gualdo, dove ho ancora una casetta, ma è peggio!  E’ come se fossi uno straniero, non conosco più quasi nessuno e il nodo alla gola, allo stomaco aumenta. Tutte le volte la stessa storia . Quando si avvicina l’ora del pranzo e della cena, mentre mi trovo ai fornelli per cucinarmi qualcosa e parlo da solo o con la televisione, lo sento arrivare, è come un qualcosa che mi consuma, un groppo che mi logora e che passa per un po’ dopo che ho mangiato qualche boccone  e bevuto un bicchieretto di vino…..” Mentre parla lo osservo. Gli occhi sono lucidi ed evitano il contatto visivo con i miei, il tono della voce mesto, la mimica è rigida e la gestualità ridotta al minimo, la barba non fatta…….penso proprio che a questo punto la diagnosi del nostro nodo allo stomaco sia fatta.
Mi perdonino i veri esperti del settore, ma questo è un piccolo esempio  su come un approccio narrativo riesca a far arrivare alla diagnosi senza dover ricorrere a tante tecnologie o ausili diagnostici. Oramai non ci sono più dubbi, a fianco dell’Evidence Based Medicine  (EBM )in maniera parallela, non alternativa, si colloca la Narrative Based Medicine. (NBM).L’origine della medicina basata sulla narrazione o medicina narrativa come preferisco chiamarla, di fatto, si perde nella notte dei tempi: Ippocrate nel V secolo avanti Cristo definisce un modello olistico di approccio al malato. Però, è alla fine degli anni ’70 che lo psichiatra statunitense George Limban Engel, forte dell’eredità di Martin Heidegger e della filosofia ermeneutica che sancisce l’inseparabilità fra Soggettività ed Oggettività, teorizza l’approccio biopsicosociale  da  affiancare a quello biomedico. Il passaggio successivo è quello dell’antropologo medico Byron Good che per primo parla di NBM come modello per interpretare il “ vissuto di malattia “ del paziente, per arrivare ai giorni nostri con Rita Charon che definisce  nello storico articolo del 2001 su JAMA gli obiettivi della medicina narrativa: “La Medicina Narrativa fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, intepretare ed essere sensibilizzati dalle storie della malattia: aiuta medici, infermieri, operatori sociali e terapisti a migliorare l’efficacia di cura attraverso lo sviluppo della capacità di attenzione, riflessioni, rappresentazione e affiliazione con i pazienti e i colleghi “ .  Da allora la Medicina Narrativa ha acquisito, soprattutto negli Stati Uniti, la piena dignità di disciplina scientifica e viene insegnata all’Università e anche da noi sta suscitando molto interesse con progetti finanziati dall’Istituto Superiore di Sanità, la nascita di una società scientifica e tante altre iniziative. Mi preme però porre l’accento come questa non debba essere considerata  solo un modo per facilitare una diagnosi, sarebbe troppo riduttivo. Mettere in pratica la narrazione significa per certi aspetti un rovesciamento di paradigma sulla possibilità della nostra stessa conoscenza: non più un soggetto ed un oggetto in un rapporto lineare, ma due soggettività in rapporto circolare. Ma c’è ancora di più. Come dice il mio amico Sergio Boria, psicoterapeuta sistemico-costruttivista,  autore del magnifico saggio:” Verso una Medicina della Complessità” che consiglio a tutti i medici di leggere,  la NBM diventa una “pratica di etica per eccellenza. Significa basare l'idea di rispetto sul riconoscimento dell'altro, e quest'ultimo sulla consapevolezza di sè, e di come ogni nostra descrizione del mondo diventi in sostanza un'autodescrizione.”  In parole più semplici con la Medicina Narrativa impariamo a riconoscere non solo le emozioni dell’umano che ci troviamo difronte, ma anche le nostre stesse emozioni, diventando di fatto degli esperti in “umanità”. Come dice ancora il mio amico Boria ” la medicina narrativa rappresenta un modo di procedere isomorfo al funzionamento dei sistemi viventi.
Quest'ultimi sono sistemi storico-evolutivi. Ciò che vive evolve, si trasforma ma sempre all’interno di precisi vincoli organizzativi, così come una storia si muove all'interno di vincoli narrativi.
In particolare ciò che evolve nei sistemi viventi (ad esempio una persona, o la sua famiglia d'appartenenza) è l'organizzazione interna al sistema e i suoi rapporti con l'ambiente.  Inoltre così come i sistemi viventi nascono, divengono e poi muoiono, così fanno anche le storie.
Cosa sto cercando di dire? Sto cercando di dire che  parlare il linguaggio della medicina narrativa (e cioè parlare per storie) probabilmente vuol dire parlare un linguaggio più in sintonia con il funzionamento della vita stessa (in salute e in malattia) e che permette al medico e al paziente di costruire/tessere percorsi terapeutici in grado di dare risposte più adeguate alla complessità del malessere che  si vuole curare”.
 E poi? Lasciatemi chiudere alla mia maniera. In maniera semplice, forse troppo lineare o istintiva, senza andare, apparentemente, tanto in profondità e complessità .
Ma se a Ludovico  avessi somministrato il questionario Hamilton o il test PRIME-Med  come sarebbe previsto per fare diagnosi di depressione. Se avessi usato tali strumenti al posto di ascoltare la sua storia. Chi si sarebbe emozionato? Chi rallegrato? Chi preoccupato? Quali immagini si sarebbero formalizzate nella nostra mente?....