mercoledì 20 luglio 2016

RECENSIONE A " I MEDICI SI RACCONTANO: VOCI DAI CONFINI DEL SAPERE" PUBBLICATA SU OMNINEWS IL GIORNALE ITALIANO DELLA MEDICINA NARRATIVA

Dopo quasi 40 anni di professione di medico di medicina generale uno è convinto che di storie di pazienti ne abbia sentite tante, forse troppe, e pensare di dover impiegare altro tempo per addirittura leggerne delle altre era un fatto che mi lasciava molto perplesso. Non nascondo, poi, che la lettura è cominciata con un vizio di fondo, anzi con un pregiudizio forzando Gadamer: quello di dover per forza e a ogni costo trovare una spiegazione, una causa ed un effetto, un insegnamento da ogni storia, da ogni paziente….poi. Poi non mi ricordo come è successo, ho iniziato a leggere non più con gli occhi di critico, con gli occhi di sta cercando motivi o annotazioni, anzi, ho cominciato a chiuderli gli occhi per stare invece ad ascoltare Marica, Sara, Giacomo e ho cominciato così a vederli a prendere vita, a diventare volti noti, pazienti noti……ogni medico di famiglia ha infatti un suo Giacomo e una sua Sara.
i medici si raccontanoPer comprendere a fondo il libro di Silvano Biondani, Paolo Malavasi e Sebastiano Castellano “I medici si raccontano. Voci dal confine del sapere” (Edizioni Angelo Guerini e Associati, 2016) consiglio proprio di fare così: partire come se si dovesse leggere un romanzo, una raccolta di novelle. Gustarsi l’immediatezza dei personaggi e delle loro vicissitudini, delle loro malattie e poi arrivare in modo quasi spontaneo a capire che cosa? Che come sempre, non esistono modi, regole, norme che riescano a spiegare in un’ottica scientifica quello o quell’altro comportamento di una persona e di un individuo.
Che aggiungere? Il libro viene concepito come una raccolta  diracconti di medici di famiglia che periodicamente si riuniscono in quel di Verona e di Carpi e riferiscono la storia di un paziente che in qualche modo li ha interessati o colpiti in quel periodo. In pratica, scrivono il caso, lo distribuiscono ai convenuti e tra loro lo discutono. Le storie sono state raggruppate in capitoli secondo un certo profilo che li accomuna: pazienti terminali, pazienti parenti, pazienti problematici, racconti di medici tirocinanti o altri curanti e al termine di ogni capitolo c’è una breve parte in corsivo che più che un commento è una messa in fila di spunti e sollecitazioni che emersi durante la discussione del caso.
Durante la lettura dei vari capitoli sorge spontanea la domanda: è medicina narrativa questa?Senza dubbio gli estensori del documento stilato dall’Istituto Superiore di Sanità dopo la Conferenza di consenso per le linee d’indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico assistenzialediranno di no: non emerge infatti da queste narrazioni una precisa metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. Sono storie. Sono dei vissuti incorniciati in maniera talvolta imprecisa da un punto di vista clinico, talvolta impietosa, talvolta angosciante… Pensiamo ai vari passaggi: il paziente narra la propria storia, il medico l’ascolta e la recepisce a suo modo, poi la scrive in base a quello che ricorda o che lo ha colpito, poi viene letta e discussa. Il medico dopo la discussione e le varie annotazioni ed appunti, ritorna in ambulatorio e quando rivede quel paziente lo approccia dopo tutta questa rielaborazione. Questo processo servirà a qualcosa? Porterà dei vantaggi nella cura? Io credo proprio di si! Chiamiamola Medicina NarrativaMedicina delle Storie, o come volete… ma quando il medico rivedrà il paziente dopo tutto questo percorso non sarà più un paziente, ma sarà Sara, Giacomo, Marica, e anche il medico avrà in sé qualcosa di ognuno di questi, non solo! Avrà in sé  anche qualcosa di ogni collega con cui ha convissuto questa storia. E’ proprio attraverso questa co-costruzione  di cura a due e di gruppo che si avranno,  secondo me, i risultati migliori e, delle “specifiche competenze comunicative”, forse, ne potremo fare anche a meno.
Prima di concludere mi piace ancora una volta chiudere gli occhi e ascoltare i racconti di questo libro. Per gli orecchi di un medico di famiglia sono storie conosciute, storie proprie, casa propria, dove c’è comprensione e condivisione di quelle che sono le nostre emozioni quotidiane: ansia, frustrazione, dolore, rammarico, fastidio e, soprattutto, il dubbio e l’incertezza. Il sottotitolo “Voci dai confini del sapere” è quello che meglio definisce la nostra posizione e situazione e pochi come questo libro sono capaci di illustrarlo: “…sono le persone con problemi di salute irrisolti quelle che ci coinvolgono maggiormente. Ci chiamano ad essere interpreti di malanni complessi, stagnanti o aggressivi, in cui molto spesso non ci sono risposte… Molto spesso le risposte mediche, diagnostiche e terapeutiche , sono prerogative degli specialisti… Quando le prognosi sono oscure tocca a noi, medici di famiglia, guidare i malati, insieme a chi è loro vicino, nel difficile percorso di adattamento ad una vita peggiore”. Grandissima verità! Un grazie agli autori e a tutti i colleghi di cui ho potuto ascoltare ad occhi chiusi le storie dei loro e miei pazienti.

domenica 17 luglio 2016

I MEDICI ITALIANI SONO ALLO SBANDO? (parte seconda) Editoriale pubblicato sul Bollettino dell'Ordine dei Medici di Perugia n.2/2016

I MEDICI ITALIANI SONO ALLO SBANDO?   (seconda parte)

Sono diversi giorni che sto provando a buttare giù questo editoriale, ma ogni volta mi fermo dopo le prime due o tre righe e ricomincio daccapo...il motivo? Forse perché parto con il presupposto di dover fare il contradditorio alle affermazioni   di Ivan Cavicchi come avevo promesso nell'ultimo Bollettino, ma evidentemente non è quello che dentro di me sento di poter fare.
Ho letto e riletto diverse pagine della "Questione Medica" e molte altre considerazioni fatte dal Nostro in diverse circostanze e devo ammettere, come asserisce anche il collega Hanke nello scritto che seguirà, che purtroppo molte sue affermazioni corrispondono a verità.
Le cause che stanno determinando l'esistenza della " Questione Medica" sono molteplici: dal tirare in ballo Zygmunt Bauman con la sua definizione di "società liquida" o parlare della crisi valoriale che sta spazzando via tutte quelle certezze che nel bene e nel male avevano guidato sino ad ora  la nostra società occidentale. Invocare la crisi economica che sta facendo maturare sempre più in maniera forte il concetto di  sanità come spesa piuttosto che come diritto. Sottolineare i cambiamenti di paradigma che di fatto hanno messo in crisi i fondamenti della scienza  positivista che ancora invece anima la medicina. Un nuovo concetto di salute che considera il paziente non più come un ricevitore passivo di consigli e terapie, ma come un soggetto attivo dotato di autodeterminazione, capacità di scegliere e portato all' empowerment.
Difronte a questo scenario quale è stata la risposta nostra? Dispiace dirlo, ma si è risposto ignorando il problema e allora le conclusioni di Cavicchi sono forse giustamente impietose "......Nel momento in cui il ruolo storico è liquidato ma non ridefinito, cioè non è rimpiazzato con un altro ruolo deciso volontariamente dal medico, nasce la questione medica. Il saldo tra vecchio medico e nuovo medico non è a vantaggio del medico nel senso che ad un certo tipo di medico oggi corrisponde solo la sua negazione il non medico ma non la sua riaffermazione". Ecco pertanto le responsabilità storiche della nostra categoria, soprattutto di chi istituzionalmente doveva essere in grado di anticipare il cambiamento prevedendo la complessità dei contesti, i cambiamenti in atto ed invece ha fatto finta di nulla o minimizzato la portata dei problemi. Ecco perché i medici sono "immanentisti": pensano cioè solo al problema del giorno, vivono alla giornata. Ed ecco perché "....Oggi i medici si trovano male (molto male):
· perché quel peso sociale che avevano una volta non ce l’hanno più;
· perché il consociativismo con la politica al quale erano abituati non c’è più;
· perché è stata superata financo la concertazione, cioè essi sono stati esclusi dalle scelte e dalle decisioni;
· perché è in atto una trasformazione politico-istituzionale in ragione della quale il governo tende a diventare sempre più autorevole e centralista, e i medici nelle diverse istituzioni non solo non possono fare niente ma alla fine devono allinearsi;
· perché, come è stato già detto, le ragioni dell’economia ormai a proposito di
sovrastruttura non guardano in faccia più nessuno, medici compresi, cioè soprattutto con la crisi economica del paese, i giochi sono diventati altri".
Tutto perduto? Tutto andato? Forse no! Lo stesso Cavicchi individua la causa che potrà determinare lo sblocco: l'immobilismo e il malessere della categoria medica non va certo a vantaggio del cittadino, ma determina uno svantaggio sociale a tutti i cittadini. Condizione indispensabile, però, è che i medici non indirizzino le loro energie e rivendicazioni per invocare il ripristino del ruolo e della modalità dell'essere medico di una volta, riproporre cioè dei modelli oramai superati e sepolti. La carta vincente è quella di una svolta, di una ridefinizione della propria figura alla luce dei nuovi modelli relazionali, gestionali e alla fine ontologici. Ne saremo in grado? Spero, anzi credo di si dopo che ho vissuto in quel di Rimini la 3° Conferenza Nazionale sulla Professione Medica ed Odontoiatrica dal titolo:" Guardiamo al futuro: quale medico, quale paziente, quale medicina nel SSN?" dal 19 al 21 maggio u.s. organizzata dalla FNOMCeO. Io stesso ho tenuto un intervento dal titolo:" Costruzione complessa della relazione di cura in medicina di famiglia" nella sessione Relazione di Cura e Gestione della Complessità, il cui testo può essere consultato nel mio blog: www.tizianoscarponi.blogspot.it.
In estrema sintesi estrapolo alcune considerazioni dal documento finale della conferenza che delinea il medico come: " Un medico leader in una sanità complessa in cui il medico è chiamato a sfide future in un sistema di collaborazione con altre figure professionali, maturando caratteristiche diverse in particolare per fronteggiare le innovazioni tecnologiche che connoteranno il futuro assetto della medicina. Dovrà ricoprire il ruolo di garante e artefice della salute, gestendo la propria leadership in un sistema sempre più complesso e di fronte a una richiesta di salute e di risultati......  Il medico in Italia nei prossimi anni dovrà essere:
1) proattivo nell'affrontare l'innovazione, partendo dalle proprie radici.
2) detentore di competenze professionali che continuamente sviluppa e mantiene aggiornate;
3) detentore di un metodo scientifico e attento alla produzione di nuove conoscenze;
4) capace di ascoltare e comunicare con la persona nel bisogno;
5) capace di tener conto della dialettica tra risposta alla singola persona e quella alla comunità;
6) attento alla dimensione etica quotidiana della professione, partendo dall'adesione alle pratiche raccomandate e sostenute da evidenze scientifiche;
7) capace di esercitare una leaderschip professionale rispetto a colleghi, professionisti, pazienti e persone assistite;
8) cosciente del proprio ruolo sociale e politico: il fatto di poter intervenire sulla salute e sulla vita conferisce un potere di advocacy;
9) cosciente di essere un attore economico: determina e gestisce risorse economiche ingenti;
10) attento a perseguire il migliore continuo proprio e dell'organizzazione in cui è inserito, oltreché a dimostralo".
Sarà solo una declinazione di buoni intenti? La storia lo dirà.