A LEZIONE....DI VITA
Qualcuno ha
detto che la vera storia dell'umanità viene scritta dalle gesta degli eroi,
dalle scelte dei grandi statisti e dei
re, solo apparentemente. Tutti gli episodi altisonanti e le epopee famose, infatti, sono rese
possibili perché c'è sempre un universo di "piccoli" uomini e donne
che con il loro operato silenzioso, con la loro vita fatta di quotidianità
semplici ed umili permettono quel contesto, quelle condizioni, quelle
coordinate di spazio e tempo insomma, per cui possa emergere il grande
personaggio, che poi sarà ricordato dalle generazioni future. Sarebbe passato
Giulio Cesare a perenne ricordo senza il sacrificio silenzioso dei suoi
legionari che lo sostenevano? Napoleone Bonaparte! Che avrebbe mai fatto senza
le lacrime e il sangue dei suoi fanti della Grande
Armée? Che ci azzecca con il bollettino dei medici tutto questo, qualcuno a
questo punto potrebbe dire. Questa
introduzione, invece, mi serve perché è mia intenzione questa volta raccontare
una di queste storie minori, che forse ci azzeccherà anche poco in un
bollettino per medici, ma io sono fermamente convinto che qualche volta le
testimonianze di vita possano insegnare comunque qualcosa, forse anche a essere
dei dottori migliori.
Ho usato la
parola dottore non a caso. Dottore deriva dal verbo latino docere, che come tutti sappiamo, significa insegnare, far
apprendere agli altri e difatti, se ci pensiamo bene, quante volte ognuno di
noi durante una giornata di lavoro insegna qualcosa e impartisce istruzioni e
quasi mai accettiamo l'inversione dei ruoli, soprattutto nei confronti dei
nostri pazienti, ma qualche volta capita.
Giovanna è
una donna quasi novantenne, oramai ridotta......ma andiamo in ordine. E' mia
paziente dal 1980 e la prima volta che la conobbi, fu proprio in un'occasione
dolorosa: la certificazione di morte di suo marito. In tutti questi anni non le
ho mai chiesto come mai tutti in blocco vollero me come medico e proprio in
quella circostanza, forse avranno avuto qualche problema con il collega che mi
aveva preceduto e forse proprio a causa di quella morte prematura, ma non mi è
stato mai fatto un benché minimo accenno
a riguardo e io non ho mai indagato, ma mi ricordo tutto come se fossi ieri.
Varcai la soglia di quell'appartamento situato in una palazzina senza neanche dover bussare, perché la porta,
come usava allora in quelle circostanze, era obbligatoriamente aperta con a
fianco il tavolino coperto dal tovagliato purpureo con l'orlo dorato per accogliere il registro delle firme dei
partecipanti al lutto. Sfilai lungo il corridoio gremito di gente che si apriva
come un sipario al mio passaggio mentre sentivo un brusio di voci che
sussurravano l'uno con l'altro:" E' il dottore! E' il dottore". In
maniera quasi automatica seguendo la traccia della gente che mi faceva largo,
mi ritrovai nella camera matrimoniale stracolma, gli specchi tutti coperti da
lenzuola, sul letto matrimoniale la salma vestita in abito da cerimonia con i
piedi legati da un fazzoletto e con la mandibola serrata alla mascella
superiore da un fazzolettone annodato sopra il vertice a mo' di uovo di Pasqua:
un classico. Alla destra del letto, seduta su una poltrona, tutta vestita di
nero c'era lei con le braccia aperte, con i capelli grigio neri tutti legati a
cipolla come si usava nella vecchia cultura contadina umbra. Sapendo che era
stato dimesso dall'ospedale poche ore prima che spirasse in casa, per costatare
il decesso feci solo un atto formale e, mentre compivo gli adempimenti di rito,
avevo la chiara sensazione di essere giudicato atto per atto dal suo sguardo.
Mi rivolsi poi a lei senza proferir parola, mi venne istintivo poiché in quel
contesto il silenzio aveva un significato superiore alle parole. Le strinsi la
mano e lei sempre senza parole fece un cenno di apprezzamento: capii allora che
avevo superato l'esame.
Da quella
volta ogni tanto sono tornato in quella casa, ma il più delle volte per
visitare i suoi nipoti che la figlia e la nuora le parcheggiavano quando erano
febbricitanti poiché loro, non potendo assentarsi dal posto di lavoro, non
erano in grado di assisterli. Giovanna mi ha sempre accolto in casa con un
atteggiamento austero e poco incline all'aprirsi. Mi faceva visitare i
nipoti e si raccomandava che scrivessi
in bella grafia le eventuali prescrizioni con la posologia precisa in modo che
non avesse poi problemi nel trasferire le informazioni alle mamme. Poche volte
mi è capitato di essere chiamato per lei e quelle poche volte sempre per
problemi di febbre alta e infiammazioni delle vie aeree. In quelle occasioni
accedevo alla camera da letto che era una
vera testimonianza della civiltà contadina oramai estinta. Le lenzuola di quel
cotone bianco opaco, ruvido e al profumo di lavanda. Lei con indosso un
camicione da notte che dal collo arrivava sino ai piedi e con i capelli non
legati a cipolla ma talora raccolti in un unico treccione oppure completamenti
sciolti e non erano facile spostarli per visitare il torace. Le ricette le compilavo in piedi su di un alto comò, con
la lastra di marmo grigio azzurra che faceva da pianale, come da tipica arte
povera umbra, facendomi spazio fra una gondola di cartapesta, la palla di vetro
con liquido che agitandola liberava in sospensione "la neve" e la
classica foto di una coppia con i baffoni all'umbertina per il maschio e un
collettone di pizzo per la femmina, forse i genitori di lei. Con il trascorrere
degli anni, i nipoti sono cresciuti, i figli hanno costruito una villetta bifamiliare
in un altro comune limitrofo a Perugia e lei " è entrata in casa" con
il figlio maschio e la nuora. Oramai quelle volte che sono chiamato è quasi
sempre per i suoi problemi di salute: ischemia cerebrale cronica, parkinsonismo
senile abbastanza limitante, lieve scompenso cardiaco, ma quello che la
angoscia di più: una progressiva ipovedenza dipendente da molte cause e un quadro
di poliartrosi molto invalidante. Qualche mese fa, mi telefona la nuora
dicendomi che la Nostra aveva trascorso tutta la notte vomitando e con dei
forti giramenti di testa e, anche se per il momento stava un po'
"meglino", avrebbero gradito un controllo da parte mia. Ovviamente se
pure a malincuore, fra i tempi di percorrenza e la visita se ne vanno più di 90
minuti, mi sono recato dalla paziente appena ho potuto. Bussa e ribussa non mi
rispondeva nessuno, né nuora né figlia, sui familiari di genere maschile
nemmeno a pensarci. Mentre stavo a riflettere su come potevo fare ecco che mi
viene aperto il cancello e la porta di casa, proprio da Giovanna. Mi apre
seriosa come sempre, e mi fa accedere sul "rustico "del piano terreno
che, di fatto, ha vicariato il vecchio cucinone della casa contadina con tanto
di focolare, tavolone immenso: la vita in comune della famiglia, insomma, si
passa qui. " Lo avevo detto a mia nuora di non disturbarlo perché oramai
stavo meglio, ma sa dottore, pur di contraddirmi..." Dalla fretta non
parlo, quasi la costringo in poltrona, in silenzio raccolgo un sommario esame
obiettivo......nulla di nuovo. Sarà stata una sindrome vertiginosa posizionale
penso fra me e me...." Già che ci sono Giovanna facciamo le ricette che le
servono, così i suoi si risparmieranno un viaggio al mio ambulatorio"
rispondo. Si alza per andare a prendere i farmaci. Cammina molto lentamente e
con fare incerto, il mento quasi le tocca la pancia da quanto la colonna
vertebrale è curva, il respiro è affannoso. Raggiunte le scatole le dico di
leggermi i nomi. " Dottore! Ma in tutti questi anni non l’ha capito che
sono analfabeta?" mi risponde." No! Mi scusi, non l'ho mai sospettato....
evidentemente non ha mai trovato il tempo perché ha preferito andare a
divertirsi!" rispondo in modo molto infelice con le prime parole che mi
sono capitate. "Dottore! Beato lei che ci ha ancora la ruzza! Adesso se mi
ascolta le dico il perché!.. Lei sa che noi siamo originari di una frazioncina
che è in cima ai monti. In famiglia eravamo tutti contadini, il mio povero
babbo e la mia povera mamma si alzavano all'alba per andare a lavorare nei campi
ed io e tutti i mie fratelli li aiutavamo. Per questo non abbiamo mai trovato
il tempo per andare a scuola. Io andavo da piccola sempre dietro a mia madre
dai maiali, dalle galline e dalle oche. Quando sono diventata un po' più grande
mi hanno anche messo in mano la falce per mietere il grano e il fieno poiché la
terra che il padrone ci faceva coltivare, in alcuni punti era talmente ripida
che era impossibile usare trattori e persino i buoi ci andavano con difficoltà.
C'era poi la spannocchiatura del granturco, la vendemmia, la semina, la
raccolta delle olive. Poi quando sono cresciuta non ho più davvero trovato il
tempo per andare a scuola. Vede dottore, sa benissimo che quando si è giovani
si ragiona poco con la testa e, se ha
pazienza le racconto un altro po' della mia vita!" " Vada pure
avanti, Giovanna," rispondo convinto perché se all'inizio facevo attenzione
in maniera distratta, forse per farmi perdonare la mia uscita infelice, ora ero
veramente incuriosito dal poter sapere come una donna sempre seria ed austera,
per come la conoscevo, avesse potuto ragionar poco con la testa.
" Poco
prima dei vent'anni quell'essere che poi è diventato mio marito ha cominciato a
venirmi dietro. Ha cominciato ad aspettarmi quando venivo via dal lavatoio dove
andavo a lavare i panni, ha cominciato a sorridermi per strada quando andavo a
fare la spesa alla bottega. Mia madre che se ne era accorta subito mi
supplicava e mi scongiurava di lasciare perdere perché era un carbonaio. Figlia
mia, mi diceva, tu non sai chi sono i carbonai e che vita ti aspetta se ti
confondi con loro. A forza di stare in mezzo alla macchia per mesi e mesi
diventano selvatici come gli animali del bosco. Non sopportano più gli ambienti
chiusi e non vogliono stare mai in casa, anzi tutto quello che ha a che fare
con la casa dopo un po' li infastidisce. Non ti aiutano in niente e quel poco
tempo che stanno in famiglia ti fanno rimpiangere i periodi che non ci sono.
Sono senza regole, facili al bere, spesso diventano violenti. Li hai sentiti
quando litigano fra loro in mezzo al bosco come le urla e le bestemmie arrivano
anche in paese e troppe volte i carabinieri devono correre prima che si
prendano a colpi di accetta. Lascia stare! Figlia mia, sposa un contadino che è
sempre un uomo, ma almeno ha un minimo senso della famiglia e della casa e
quasi tutte le sere ci puoi parlare dei
problemi. Ma io dottore dura! Anzi le parole di mia madre sortivano l'effetto
opposto. Sotto sotto, me lo facevano ammirare di più, pertanto un po' per
dispetto e un po' per l'incoscienza dei venti anni l'ho sposato, ma subito dopo
il viaggio di nozze a Venezia tutto quello che aveva detto la mia povera mamma
si è avverato. Per farla breve io da sola ho dovuto tirare sui i miei due
figli, perché lui non si è mai fatto carico di nulla, non è nemmeno venuto
all'ospedale quando la femmina a 10 anni ha fatto l'appendicite. Io da sola, se
volevamo mangiare perché i soldi del carbone non erano mai sufficienti, ho
preso in affitto un campetto vicino alla casa dove ho realizzato un orto da cui
ci tiravo fuori ogni bene di Dio: patate, pomodori, insalata e tutti gli
ortaggi possibili. Ho messo su un pollaio, una conigliera, ho allevato il
maiale e anche una mucca per il latte, nonostante mio marito mi rimproverasse
perché sottraevo spazio a muli che servivano per il suo lavoro. C'è stato un
periodo che persino avevo preso in affitto per un prezzo ridicolo, poiché
essendo talmente ripido non lo voleva nessuno, un campo dove ci ho piantato il
grano....e lo aravo da sola con queste braccia, facendomi prestare i buoi dai
miei fratelli. La cosa però che più mi dava fastidio era durante l'estate. In
quella stagione le cotture della legna erano ripetute e pertanto spesso
trascorrevano anche diversi giorni prima che mio marito tornasse a casa. Verso
mezzogiorno, dovevo lasciare tutto quello che stavo facendo per portargli il
pranzo su per le creste dei monti. Il più delle volte dovevo correre perché i
figlioli molto spesso erano da soli o affidati a qualche vicino. Arrivavo tutta
sudata e senza fiato, mai un grazie, invece ogni tanto dovevo sorbirmi qualche
rimprovero o lamentela sulla qualità della cucina dei pasti del giorno
precedente o peggio ancora, se era molto tempo che non rincasava, ogni tanto
pretendeva di soddisfare anche altri
appetiti. Lì in mezzo al bosco, come le bestie.. Per fortuna, poi, con i
termosifoni, il carbone di legna non lo comprava più nessuno e quindi ci siamo
trasferiti in città dove ci siamo messi a fare le pulizie per i condomini, i
figli hanno potuto studiare e la vita è cambiata.......quindi caro dottore,
questa è la mia storia, le chiedo scusa se l'ho annoiato, ma ora che sto per
morire mi ha conosciuto veramente".
Mentre mi diceva queste ultime parole ho firmato le ricette che erano
rimaste incompiute. Mi sono alzato in silenzio, le ho stretto la mano come la
prima volta e lei come allora senza parole ha fatto un cenno di apprezzamento.
Ancora una volta, nonostante tutto, avevo superato l'esame. Sono salito
nell'auto completamente assorto nei pensieri: la donna di allora, le donne di
adesso, gli uomini di sempre. Quante Giovanne ci saranno state in Italia!
Quante donne come lei avranno retto il tessuto sociale di questa nostra Italia?
Non lo so. Io so solo che quel giorno ho avuto una lezione importante, una
testimonianza di vita che ho voluto raccontare per suo valore che lascio a voi quantificare.