sabato 27 ottobre 2018

QUADRETTI DI UN PICCOLO MONDO ANTICO Editoriale pubblicato sul Bollettino dell'Ordine dei Medici e Chirurghi della Provincia di Perugia n 3/2018

Quadretti di un piccolo mondo antico

Sono stato indeciso sino all'ultimo se pubblicare queste pagine. Per qualcuno potranno sembrare poco pertinenti, ma sto vivendo una fase della vita in cui i ricordi del passato, purtroppo, hanno molto più spazio dei progetti per il futuro e poi, con questo "amarcord", riaffiora un periodo della mia vita, anzi, della vita di molti di noi, medici con i capelli grigi e pertanto è un po' come un parlare di storia della medicina. Una storia della medicina minore, certo!  Storia di un periodo. Periodo del nostro inizio, periodo in cui andavamo con un passo più lento e che ricordiamo con un senso di nostalgia poiché coincide con la nostra giovinezza che non c'è più, come questo piccolo mondo antico.
Siamo a casa mia, alla fine di una cena consumata fra colleghi amici, coetanei. Come di solito accade, le mogli si alzano per collocarsi in una parte dell'ambiente per parlare di cose loro mentre noi restiamo ancora a tavola per parlare di cose nostre, magari davanti a qualche bottiglia di buon distillato. Si sa! Alla fine di un convivio, soprattutto se si è ben mangiato e ben bevuto lo scambio comunicativo è facilitato. Un collega prende il suo smartphone e ci fa vedere un filmato in cui ha ripreso un suo paziente  dentro il letto, durante una visita domiciliare. E' un ultranovantenne con il volto scarno che parla  gesticolando in un dialetto perugino stretto e con una mimica facciale che tradisce grande emozione per quello che racconta. Ha in testa quelle papaline bianche da notte che non vedevo più da decenni ed indossa, per quello che posso intuire , quei vecchi camicioni, anche questi divenuti rarità, tutti di un pezzo, senza bottoni, lunghi sino alle caviglie. Ecco! E' bastato questo filmato realizzato dal collega per documentare una realtà che sta sparendo, per far riaffiorare tutto un mondo che avevo  dimenticato.
Mi rivedo al volante della mia Fiat 127, obbligatoriamente vestito con giacca e cravatta, la borsa da medico che odora ancora di cuoio e che vado girando per Perugia, città e campagna. Alla fine degli anni'70 le visite domiciliari erano molte. La vaccinazione antinfluenzale era ancora un concetto astratto e pertanto nei mesi invernali con il picco epidemico, talvolta eri anche costretto a far saltare qualche seduta ambulatoriale...i malati a casa avevano la precedenza e nessuno si sognava di protestare se aveva fatto un viaggio a vuoto per venire a studio. Andavi per le scale e gli ascensori dei condomini dei nuovi palazzi di periferia. Percorrevi i vicoli dei rioni cittadini: allora il centro era abitato da famiglie "normali". Correvi lungo le strade bianche di campagna per arrivare ai casolari dove stava morendo l'ultimo sprazzo di civiltà contadina.
E' gennaio e m’inoltro preoccupato lungo una carrareccia che mi dovrebbe portare a casa di pazienti che non conosco, di un collega che sto sostituendo. La strada e tutti i campi circostanti sono ricoperti da una coltre di brina gelata tale da far sembrare che sia nevicato. Arrivo nell'aia di un tipico casolare umbro: edificio a corpo unico, senza terrazze, con le scale esterne che salgono alla loggia in cui un'anziana signora, vestita di scuro con il fazzolettone annodato intorno al collo che le copre la testa, guai a chiamarlo bandana, mi fa cenno di salire. Da qui accediamo all'ingresso dell'abitazione che è costituito dal classico cucinone immenso, con camino appoggiato alla parete capace di contenere al suo interno anche posti a sedere. Il fuoco è acceso, ma manca il paiolo annerito che di solito penzola dal gancio. Anche Il tavolo al centro dell'ambiente è grandissimo, ma le seggiole sono solo quattro o cinque. Il piano della vecchia madia dove una volta si faceva il pane  è ricoperto da una tovaglia di plastica con sopra il televisore: evidente segno che si era persa questa abitudine. Su una parete appesa al chiodo vedo la doppietta per la caccia con tanto di cartuccera e "catana". " Dottorino! Adesso le faccio strada per andare da mio marito che ha la febbre da diversi giorni. Poi ha tanta tosse che abbaia come un cane". Percorriamo un tratto di un lungo corridoio senza finestre che è completamente al buio, illuminato solo in questa parte iniziale da una fioca lampadina. Mi spiegò poi che, oramai erano rimasti solo loro due e non conveniva certo sprecare la luce per illuminare  zone che non usava più nessuno. Entriamo in camera da letto, gelida, senza riscaldamento di sorta. Mentre la donna apre gli scuri delle finestre per far luce  mi compare un mondo in cui sembra che il tempo si sia fermato. Il letto altissimo, con la testiera e pediera in ferro battuto nero intrecciato. Il pianale del comò, in marmo grigio come quello dei comodini, è occupato al centro da una scatola metallica lavorata sopra un centrino ricamato con punto francescano. Da un lato, una cornice con una vecchia foto di un mezzo busto di un giovane con cappello e baffi all'umbertina, con a fianco una donna con un colletto di pizzo e i capelli acconciati a cipolla alla vecchia maniera. Sull'altro lato del comò fanno bella figura: una foto con il volto di una neonata con davanti dei fiori finti , la palla di vetro con neve con la miniatura di una basilica che non riconosco,  una spazzola per capelli con infilato un pettine. Mi avvicino al letto, dove intanto il malato, che dormiva profondamente, sbadigliando, sta prendendo contatto con la realtà. Appena mi vede mi guarda sospettoso, d'altronde aspettava forse il suo medico, e mi dice che quella di chiamarmi era stata un'idea della moglie perché lui non ne vedeva la necessità. Man mano che mi avvicino a lui il profumo di spigo emanato dalle ruvide lenzuola di flanella e dai copricuscini diventa più forte. Indossa la papalina da notte e un pesante camicione di lana ruvida che tira su aiutato dalla moglie che scuote la testa in senso di disapprovazione. Mentre mi avvicino a lui per raccogliere l'esame obiettivo faccio attenzione a non urtare il comodino sopra il quale fa bella mostra una dentiera completa di tutte e due le arcate a bagno dentro un bicchiere d'acqua. Completo la visita misurando i valori pressori:170 su 90.." benissimo" mi dice " 100 più gli anni...per me che ne ho più di 80, va alla grande!".
Lo rassicuro sul fatto che non ho riscontrato nulla di preoccupante. Per fraternizzare gli chiedo come va la caccia e lui mi risponde che oramai si limita a tirare a qualche merlo intorno a casa perché le gambe non lo assistono...tanto per passare un po' il tempo. Mi congedo da lui seguendo la moglie in cucina che mi offre un telino anche esso di ruvida flanella insieme ad una profumata e verde saponetta " Palmolive" per lavarmi le mani direttamente sullo "sciacquaio" del cucinone. Mentre mi accingo a scrivere le ricette le chiedo come era la vita lì e mi racconta come in quella casa vivessero sino a non tanto tempo prima tre fratelli con le rispettive famiglie insieme ai vecchi genitori e come suo marito fosse l'ultimo dei tre, i primi due erano oramai morti. La casa, in passato, risuonava di grida ed urla in quanto ogni famiglia aveva messo al mondo tre o quattro figli ora sparsi per quasi tutta l'Umbria. Erano una delle famiglie di mezzadri più importanti della zona che arrivava a produrre oltre 100 quintali di grano. Non si poteva fare il conto delle mucche e dei vitelli che erano capaci di allevare, per non parlare dei maiali e degli animali da cortile, ma la vita cambia e i giovani avevano preferito studiare o lavorare in fabbrica e così tutto era finito. " Siamo rimasti solo noi due, aspettiamo serenamente la morte che non starà tanto a venire". Mi ha congedato con queste parole, mentre mi allungava una busta con le uova fresche,  chiedendomi scusa  per  il fatto che erano poche, ma: “Con questo freddo le galline non "fetano!" Non ho saputo più nulla di loro. Mentre stavo rivedendo questo film le risa e le esclamazioni dei colleghi mi hanno riportato al presente. Ognuno stava dicendo la sua. " Vi ricordate quando andavamo a domicilio di notte e non si vedeva un tubo perché sul lampadario era accesa solo una lampadina in quanto le altre erano state lievemente svitate per non far fare contatto e risparmiare così  energia elettrica? Per poter vedere qualcosa, dovevamo spesso salire sul letto, magari anche togliendoci le scarpe per avvitarle perché facessero contatto!". " Vi ricordate quando visitavamo qualche ragazzino cui non avevano fatto la doccia o il bagno perché febbricitante e per questo era stato  tutto "imborotalcato" come un pesce da friggere in padella? Oppure quando andavi al bagno di una famiglia e per lavarti le mani e ti allungavano la saponetta del bidet piena di peli? E quando trovavi un fiocchetto rosso cucito sulle canottiere o magliette a significare che erano andati dalla fattucchiera per farsi togliere il malocchio?
 I ricordi e gli aneddoti si susseguono fra l'ilarità e l'allegria del gruppo. Poi cominciano a rallentare, le pause si fanno più frequenti e prolungate e piano piano senza rendersene conto all'inizio,  a questa atmosfera festaiola subentra una nuova aria, una nuova emozione.....la tristezza per questo piccolo mondo antico che è sparito, come a breve spariremo anche noi.




2 commenti:

  1. Caro Tiziano, pur essendo più giovane di te questo racconto mi ha fatto venire in mente la mia infanzia. I miei genitori vennero ad abitare a Perugia in centro in via dei Priori all'inizio degli anni 60. Venivano dalla campagna, dalla zona del Marscianese. La domenica mattina mio padre con una mitica Fiat 500 di colore beige mi portava dalla nonna a San Valentino della Collina. Quella casa e quelle abitudini le ho vissute anch'io .... bello! Ti confesso che ho fatto solo un po' di fatica a capire cosa era lo spigo e poi mi sono ricordato di quei sacchettini di cotone dove la nonna metteva la lavanda e poi li metteva nei cassetti del comò.

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