IO SONO UN MEDICO LENTO..........
L.C. è una signora di 90 anni
che vive al sesto ed ultimo piano di un palazzo senza ascensore insieme a suo
figlio non sposato di 66 anni. E' affetta da molteplici quadri patologici tra
cui una demenza in fase avanzata a suo tempo inquadrata come tipo Alzheimer. Il
mese scorso, di notte, a causa di una crisi respiratoria, è stata ricoverata in
ospedale dal 118 e dopo pochi giorni è stata dimessa con la prescrizione di
ossigeno liquido accompagnata da queste testuali parole riferitemi dal
figlio:" Siamo consapevoli della difficoltà di questa terapia, ma secondo
le linee guida la concentrazione dell'ossigeno nel sangue era tale da imporci
questa scelta".
" Vede dottore!" mi
dice il figliolo" Adesso dovrò trovare qualcuno che si alterni con me in
modo continuo, per far tenere la mascherina dell'erogatore a mia madre, che
continuamente se la strappa e toglie di dosso.......E' proprio un bel
guaio....se i suoi colleghi non mi avessero inchiodato con il rispetto delle
linee guida, ne avrei fatto a meno......e poi? Servirà a qualcosa?".
G.U, uomo di 87 anni è oramai
in fase terminale per una carcinosi peritoneale. E' ridotto ad un'ombra di se
stesso, ma uno dei figli che vive a Milano e che non si era mai fatto vedere
prima, anzi, ne ignoravo l'esistenza, ha ritenuto opportuno chiamare a mia
insaputa un illustre clinico in pensione che ha consigliato di somministrare
eparina a basso peso molecolare per prevenire l'embolia polmonare da immobilizzazione
ed un'emocoltura per capire da quale agente patogeno fossero dovute le continue
crisi febbrili che il Nostro presentava. I familiari mi chiedevano come poter
far fare il prelievo durante il rialzo termico e se potevano avere pertanto un
prelevatore disponibile a stare al capezzale del paziente in attesa che si
presentasse il momento opportuno " per prendere il sangue".
T.M. 35 anni è una paziente che ho visto nascere e
che ho seguito sin da quando ancora non era normata la pediatria di libera
scelta. Si presenta a studio per la prescrizione delle analisi previste al
terzo mese di gravidanza e con tono di disappunto, mi riferisce come la sua
ginecologa l'abbia apostrofata per il fatto che lei non aveva nessuna
intenzione di fare amniocentesi o qualsiasi altro accertamento legato alla eugenetica
in quanto poi lei, per nessuna ragione al mondo, avrebbe interrotto la
gravidanza:" Mi ha detto che sono un'incosciente ed una egoista! Che se ci
fosse stato qualche problema avrei scaricato il peso delle mie decisioni sulla
collettività e che così non si faceva!".
Come possiamo commentare
tutto ciò? Che risposte avreste dato? Sono consapevole che questi casi hanno
anche una inferenza bioetica, ma comunque sia sono la logica evoluzione di un certo modo di concepire e
vivere la Medicina.
Non manca occasione,
navigando su social network o incrociando colleghi in riunioni istituzionali o
private che il discorso scivoli sulla lamentela e sulla critica di come sia
diverso il modo di fare il medico rispetto a quando abbiamo cominciato a
lavorare: la medicina sta impazzendo, tutti pretendono tutto, ieri mi è morto
un paziente di 94 anni e i familiari mi chiedevano il perché, un mio paziente ultraottantenne
vuole fare il PSA ogni tre mesi e così via....Penso che ognuno di noi abbia ben
presente questi "vissuti" che oramai fanno parte della nostra
quotidianità e che oltre ad infastidirci su di un piano personale ci
preoccupano fortemente per le ricadute sul sistema sanità che queste comportano. E' una moda? E'
una consuetudine? E' il normale pedaggio da pagare per il progresso e la
modernità della scienza medica? Non sono in grado di specificarlo, ma quello
che deve essere chiaro per tutti, che è in giuoco la sostenibilità di tutto il
servizio sanitario nazionale con la inevitabile implosione verso cui stiamo
inesorabilmente andando, se non intervengono alcuni cambiamenti.
Prima cosa da fare è quella di
smettere l'inutile piagnisteo e smettere di
aspettare la "mano santa" che dall'alto risolva i problemi per
tutti. E' ora di dare contenuto e forma alle nostre lamentele trasferendole in
posizioni mature, creative e propositive.
Io ho aderito al movimento
"Slow Medicine" che può essere considerata la risposta italiana alla
campagna " Choosing Wisely" ( scegliere con saggezza) dell'American
Board of Internal Medicine Foundation che
insieme ad altre numerose società scientifiche ha stilato una lista di
pratiche mediche inutili se non dannose invitando a discutere insieme medici e
pazienti in merito all'appropriatezza ed utilità di indagini diagnostiche e
procedure terapeutiche.
Slow Medicine si definisce un
movimento per una medicina sobria:
fare di più non vuol dire fare meglio.
Giusta: cure appropriate e garantite per tutti. Rispettosa: valori, desideri ed aspettative delle persone sono
inviolabili.
Date queste premesse ogni
volta che prescriviamo un accertamento od una terapia, dovremo sempre cercare
di capire quale sia l'appropriatezza, se il paziente ne tragga un vero
vantaggio oppure se i benefici siano rivolti verso qualcun altro che in modo
più o meno palese lucra sulle "pelle" degli altri.
Come dice Giorgio Bert, uno
dei fondatori del movimento, dichiararsi di praticare una Slow Medicine
significa di prevedere un atteggiamento mentale aperto, di avere come proprio bagaglio
culturale ed operativo:" il counselling; la medicina narrativa;
l’analisi e la valutazione della qualità degli interventi; la prevenzione e
l’educazione terapeutica del paziente; l’esperienza autobiografica e la
conoscenza di sé da parte del medico; le medical
humanities; l’invenzione e l’uso nella pratica professionale di
determinate strutture linguistiche come ad esempio la metafora. Slow Medicine
insomma è un metodo, o per meglio dire un’epistemologia che ci unisce senza tuttavia omologarci: l’omologazione
infatti, in quanto cancellazione della diversità, è una scorciatoia mentale,
una arbitraria semplificazione di ciò che è complesso e, in quanto tale, è
sempre fast.
Perché un’epistemologia? Perché
Slow Medicine è una teoria della conoscenza: non solo della conoscenza
scientifica (ovviamente necessaria) ma della conoscenza di uomini e donne in
quanto persone oltre che medici e pazienti… “Medici”? Sì, anche medici! La
conoscenza è prima di tutto conoscenza di sé, dei propri pregiudizi, della
proprie convinzioni, delle proprie presunte certezze. Il medico slow conosce, o si sforza di conoscere, innanzi tutto se
stesso".
Mi piace
chiudere questo editoriale con l'elenco dei sette veleni del pensiero medico:
le false certezze che in questo momento vanno tanto alla grande.
NON E' VERO CHE......
·
Nuovo è meglio.
·
Tutte le procedure utilizzate nella pratica clinica sono efficaci e
sicure.
·
L'uso di tecnologie sempre più sofisticate risolverà ogni problema di
salute.
·
Fare di più aiuta a guarire e migliora la qualità della vita.
·
Scoprire una malattia prima che si manifesti attraverso i sintomi è
sempre utile.
·
I potenziali "fattori di rischio" devono essere trattati con
i farmaci.
·
Per controllare meglio le emozioni e gli stati d'animo è utile
affidarsi alle cure mediche.
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