SCIENZA O UMANITA'?
Questa mattina, mentre
ero intento a leggere una lettera di dimissione dall'ospedale di una mia
paziente...." Certo dottore che nel reparto dell'ospedale dove sono stata
ricoverata, i pazienti sono del tutto trasparenti!". Ho allora alzato gli
occhi dal foglio e le ho chiesto che cosa volesse dire con quelle parole.
"Voglio dire che è come se fossimo invisibili, come se non ci vedesse
nessuno! Arrivano... ti levano il sangue senza guardarti o dirti qualcosa, ti
ficcano quasi le pillole in gola, i medici ti visitano in silenzio e non ti
degnano nemmeno di uno sguardo....come se fossimo del tutto trasparenti...che
roba però!" L'ho guardata in silenzio e devo dire che fino a quando non
aveva detto quello che aveva appena detto, forse anche per me era trasparente!
Questo corsivo è un post tratto dal mio profilo FaceBook
che a mia insaputa è stato letteralmente copiato, con tanto di grafica
originale, e inserito in un manifesto in occasione di un congresso nazionale
sulla comunicazione medico-paziente. Ne è anche stata realizzata una
diapositiva che compare spesso in presentazioni su convegni di Medicina
Narrativa o che hanno per oggetto la relazione di cura. Perché mi è tornato in
mente questo episodio? L'occasione che ha riattivato questo ricordo è stata la
lettura recente di un articolo pubblicato sul sito
www.saluteinternazionale.info del collega pneumologo e bioeticista Andrea Lopes
Pegna dal titolo:" Il conflitto tra razionalità e umanità in
Medicina". Tale articolo prende lo spunto a sua volta da un saggio del BMJ, How medicine has exploited
rationality at the expense of umanity di Iona Heath che ha presieduto dal 2009 al 2012 l’Associazione dei
Medici di Medicina Generale del Regno Unito (Royal College of General
Practitioners) che evidenzia come la medicina abbia sempre privilegiato la
razionalità a spese dell'umanità. Iona esordisce con:"I medici devono
ascoltare e vedere i loro pazienti nella completezza della loro umanità allo
scopo di diminuire le loro paure, di dare spazio alla speranza (anche se
limitata), di spiegare i sintomi e le diagnosi in un linguaggio adatto al
particolare paziente, per testimoniargli coraggio e resistenza e per
accompagnarlo nella sofferenza”. Poichè, però nessun medico è
stato mai formato all'ascolto e nessuna evidenza medica aiuta in questa
competenza si viene a creare di fatto una frattura nel momento della visita col malato tra la medicina delle evidenze e il
ruolo dell’umanità. È compito del medico quello di colmare questa frattura come
tutte le altre fratture che si possono presentare durante il colloquio con il paziente
per cui devono essere creati dei ponti fra questa separazioni che sono diverse:
• Malattia oggettiva (Disease) contro malattia soggettiva
(Illness)
• Obiettività contro
Soggettività
• Tecnico contro
esistenziale
• Popolazione contro
individuo
• Utilitarismo contro
deontologia
• Normativo contro
descrittivo
• La mappa contro il
territorio
• I numeri contro le
parole
• Quantitativo contro qualitativo
• Razionalità contro emozione
• Scienza contro poesia
Mi piace soffermarmi sulla frattura che esiste "tra i numeri che hanno bellezza
seduttiva e purezza, che suggerisce solidità e certezza, e le parole, che sono
infinitamente malleabili e adattabili, ma che possono comunicare molto di più. A. R. Feinstein ricorda a
questo proposito che “la maggior parte della ricerca rivolta alla cura del
paziente è stata
più matematica che clinica”. Abbiamo invece necessità delle parole per
conoscere e per
rispondere alle emozioni, che sono egualmente importanti quando ci si prende
cura del paziente.
Questo è il motivo per cui i medici necessitano sempre di conoscenze che
scaturiscono
da ricerche non solo quantitative ma anche qualitative e che quindi affrontino entrambi
gli aspetti."
Mi piace anche evidenziare quello che ha scritto sulla scienza
contro la poesia:
" H.
Auden ha scritto molti anni fa
...la poesia non si preoccupa di indicare alle
persone cosa fare, ma di aumentare la loro conoscenza tra il bene e il
male… solo portandoci al punto dove ci è possibile fare una scelta morale
razionale. Questo autore offre così un altro ponte per
colmare la frattura esistente tra la scienza e la poesia, che rappresenta però anche una difesa
contro la maggior parte di coloro che vogliono dire al paziente e ai professionisti cosa devono fare. Le poesie ci
chiedono di pensare e molti di noi,
quando siamo malati, vogliamo proprio un medico che sia abituato a pensare.
Health afferma che vorrebbe
vedere un giorno in cui i medici, invece di offrire linee guida, diano
semplicemente
il sommario delle evidenze, con chiare indicazioni e limiti, parlando anche delle
incertezze e facendo sempre conoscere i possibili pericoli. Questo incoraggia i
clinici a pensare, senza dire loro cosa devono fare.
Al termine della lettura di questo articolo mi è tornato alla
mente l'ultimo saggio che ho letto sulla rivista "Riflessioni
Sistemiche" della mia amica Antonia Chiara Scardicchio, ricercatrice in
pedagogia sperimentale presso l'Università degli Studi di Foggia. Il titolo di
questo saggio è : " Lo strano caso delle competenze mediche fuori dalla
lista. Interrogazioni ispirate dalla Ministra della Salute, a proposito di
formazione scientifica-ed umana- in medicina". Come dice l'autrice stessa,
l’ispirazione per questo saggio è derivata dalle parole proferite dalla nostra
Ministra della Salute Beatrice Lorenzin in occasione della 3° Conferenza
Nazionale della Professione Medica e Odontoiatrica organizzata dalla FNOMeCEO
nel giugno 2016, allorché a proposito della formazione in medicina ha
dichiarato:" E' fondamentale la vostra formazione continua. Ovviamente,
però, mi riferisco solo a quella relativa alle specializzazioni disciplinari
perché quella che riguarda le vostre competenze umane....quelle o le avete o
non le avete. L'umanità non si può imparare". La Scardicchio da questa
involontaria provocazione ha costruito il suo saggio, dimostrando in maniera
mirabile come tale affermazione comporti una serie di inferenze che rimandano a
riflessioni sulla conoscenza, sul metodo scientifico di operare e lavorare del
medico e sul ruolo dell'osservatore nel determinismo di un fenomeno: la malattia nel nostro caso.
Tutta la nostra formazione, tutta la nostra preparazione
poggia di fatto su delle "liste" di categorie "..Dentro ad una
interrogazione che riguarda la scienza medica, mi ritrovo a esplorare questa
particolare attitudine: la volontà di chi conosce un paziente cercando nella
sua lista (reale, attingendo
alle banche EBM e virtuale, mediante il ricorso alla propria conoscenza ed
esperienza professionale) l’item a cui ricondurlo, il punto dove inquadrarlo affinché senza errore possa leggerne sintomo,
malattia, cura. Con competenza.
Non per ispirazione né per sciamanica intuizione, no: con fondamento e rigore
condiviso e condivisibile… grazie ad una stringa di indici, indicatori,
parametri oggettivi: dentro la
lista, insomma."
Tutto quello pertanto che
non è oggettivamente misurabile, tutto quello che è fuori dalle liste viene
escluso, ma qualsiasi medico ben presto sperimenta su di sé come questa " matematizzazione della competenze" non sia sufficiente a garantire i risultati
della cura, come avviene anche quando si
parla di aggiungere competenze umane o umanità del medico.." il punto è che quella “umanità”, utilizzata
per fare sintesi delle competenze comunicative e relazionali altrettanto
fondamentali in medicina, finisce così, con questa scelta lessicale, in quella
sfera delicatissima… sovente fraintesa, dell’aleatorio, sfumato,
indefinibile….e persino per taluni in-insegnabile".
Probabilmente fino a quando
non verranno cambiati i punti di osservazione anche tutti i percorsi formativi
per una umanizzazione della medicina resteranno un qualcosa di impalpabile e di
non scientifico.
Non si può più concepire un metodo di cura che perpetui
fedelmente la scissione cartesiana per cui io tengo separati dalla mia osservazione
e dalla mia valutazione una tumefazione
del collo di chi sto visitando dalla sua
paura e dalla sua perdita di speranza, oppure un dolore addominale di un mio
paziente con la sua preoccupazione per la perdita del proprio posto
di lavoro. Non è più concepibile un metodo che tenga separati la nostra
attività dalla nostra sensibilità e dai nostri desideri o dai nostri
fantasmi:" ....Qual è il
mio modello di paziente? Di
malattia? E qual è il modello di me-in-relazione a questo paziente? Lo scrivo ancora: quello che abbiamo appreso
dalle scienze della complessità è che la neutralità nei processi di conoscenza
non esiste. Non esiste paziente neutro. Esiste un paziente interpretato. Non
esiste un medico neutro. Esiste un medico interpretante. E non v’è natura che non sia ineludibilmente cultura. Sicché ho bisogno di
osservare sempre due mondi anzi, tre: quello del paziente, il mio stesso e
quello, inedito, della relazione/contesto che si crea tra me e quell’altro
mondo."
Approccio complesso, quindi,
nel senso etimologico originario della
parola: legato, unito. Approccio complesso che unisce competenza epistemica,
filosofica, ermeneutica " e persino
estetica nel quadro di competenze per formare un medico non già all’umanità ma... alla complessità dell’umano che lo
accomuna all’umano che vuole curare".
Non si tratta quindi solo di
formarsi ad una psicologia dell'ascolto e della relazione come una dimensione
etica senza dubbio necessaria, ma di disporsi all'ascolto accettando il principio di indeterminazione di
Heisenberg, accettando la dimensione dell'incertezza e il superamento del
cosiddetto " demone di
Laplace": la convinzione che sarebbe possibile, conoscendone le cause,
prevedere qualsiasi situazione o problema.
Partendo da questi
presupposti, da questa cornice ecco che l'umanità entra dentro il processo
scientifico della conoscenza stessa e la mia paziente smetterebbe di essere
trasparente e invisibile.
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