Medico di
medicina generale, medico di famiglia, medico di base, medico generico.....di
solito, quando un qualcosa o un qualcuno può essere appellato in tanti modi
vuol dire che non è né carne né pesce.
Vuol dire che manca di una specificità, può essere inteso e interpretato in
tanti modi.
Ovviamente,
se l'attributo principale è generale, non possiamo aspettarci qualcosa di
diverso, se è generale, non può essere specifico o particolare.....ma giuochi
di parole e paradossi a parte, essere medico di medicina generale significa
essere medici in una modalità particolare, senz'altro diversa dal medico che
lavora in ospedale o da qualsiasi altro specialista.
Se
chiediamo a chicchessia chi è e che fa un cardiologo o un urologo abbiamo più o
meno delle risposte simili, tutte
centrate sull'organo del corpo umano di competenza e sulla disciplina che ne
deriva, ma se chiediamo a dieci persone chi sia e che faccia un medico di
famiglia avremo dieci risposte diverse. Perché questo?
Perché la
mia è una disciplina, se la vogliamo chiamare ancora così, che origina per una
parte da un paradigma scientifico codificato, ma per gran parte anche da una conoscenza e da un sapere
difficilmente codificabile in maniera univoca in quanto poggia sulla "
relazione". Appare pertanto scontato che ogni risposta che avremo
rifletterà il tipo di relazione, o meglio, come sarà stata vissuta la relazione
con il proprio medico di famiglia.
Non mi
piace di solito cercare di "ingabbiare" la relazione medico-paziente,
il rapporto che si instaura tra curante e curato in degli stereotipi
comportamentali che si ripetono in modo quasi fisso ed ossessivo....sappiamo
tutti troppo bene come ogni incontro, ogni consultazione rappresenti un
fenomeno irripetibile che si dà una volta sola, ma per comodità esplicativa
ricorrerò ad alcune esemplificazioni di massima che troviamo in letteratura. (
Tab.1)
MODELLI DI
RELAZIONE MEDICO-PAZIENTE ( Tab.1) (
Emanuel 1992)
MODELLI
|
PAZIENTE
|
MEDICO
|
modello
paternalistico
|
ha opinioni
e valori sulla salute analoghi a quelli proposti dal medico. Accetta o non
accetta tutto quello che gli viene proposto
|
E' un
controllore che viglia sulla salute del paziente stabilendo il suo percorso
motivandolo o meno
|
modello
informativo
|
ha i suoi
valori sulla salute e sulla malattia fissi e consapevoli , sceglie e
controlla le cure proposte dal medico
|
E' un
tecnico competente che informa adeguatamente sulle possibili scelte.
|
modello
interpretativo
|
E'
conflittuale sui propri valori di salute, si aspetta spiegazioni e
chiarimenti. Il pz deve acquisire autoconsapevolezza, altrimenti non segue il
percorso indicato
|
Interpreta
i valori di salute in cui crede il pz, porta alla luce conflitti e stimola la
presa di coscienza. E' consigliere e consulente ( counselor)
|
modello
deliberativo
|
E’ aperto
allo sviluppo ed alla revisione delle proprie credenze sulla salute e
malattia
|
Amico e
maestro, informa il paziente e discute con lui le scelte, ne indica i pro e i
contro, precisa la propria posizione senza imporla, ma sostenendola: accetta
le decisioni del paziente
|
Mi piace
pensare come questi modelli proposti non
siano dei copioni precedentemente
scritti ed individuati in maniera fissa, ma che siano
delle recite a soggetto che scaturiscono in maniera spontanea
dall'incrociarci delle dinamiche e dal relazionarsi dei nostri attori tenendo
conto poi di tutte la variabili che di solito intervengono.
CONFIGURAZIONI RELAZIONALI
LE TRE AREE D'INCONTRO
MEDICO-PAZIENTE
Mi piace sempre, poi, vedere come le aree
d'incontro e le configurazioni relazionali siano rappresentate dai dei cerchi
in continuo movimento per cui il terreno esplicito in cui viene esposto il
problema da parte del paziente e
quello preferenziale d'incontro cambino
continuamente, perché è proprio dalla rigidità e dalla fissità dei modelli e
delle configurazioni relazionali che può nascere un conflitto.
A ben
pensarci, infatti, riflettendo anche in maniera abbastanza superficiale su questi modelli relazionali, vengono
facilmente desunti i motivi e le occasioni di contrasto e conflitto tra medico
e paziente. Si pensi ad un medico che con modalità paternalistica tenti di
gestire un paziente acculturato, malfidato
e che vuole essere documentato su qualsiasi atto. Oppure un altro paziente
che riferisce un problema da lui ritenuto di area clinica e il medico risponde
con l'area psicologica...
Questi
aspetti possono riguardare più o meno tutte le categorie di medici che
pratichino attività di cura, ma in medicina generale il problema è molto più
pressante in quanto entrano in giuoco delle problematiche che non esito a
definire "strutturali" della relazione.
Un paziente
acuto, pensiamo ad un soggetto ricoverato in unità coronarica per un infarto
del miocardio o in degenza postoperatoria per un intervento chirurgico, ha
poche possibilità di relazione in quanto di solito la terapia è di breve
durata, nelle acuzie lo stile di vita è
coinvolto per poco tempo, richiede una minima consapevolezza in quanto la
responsabilità quasi totale della cura spetta al medico. Il rapporto medico-paziente che si instaura è quello del
genitore-bambino. Il percorso di cura è centrato sulla malattia ed il medico
assume più o meno consapevolmente una modalità prescrittiva, direttiva, paternalistica
se non autoritaria e il suo approccio è quello bio-medico classico. Il paziente
recita di fatto un ruolo passivo e completamente dipendente dal medico anche se
per legge, è di norma informato con tanto di consenso scritto.
In medicina
di famiglia, di solito, si respira tutt’un’altra atmosfera. Noi non abbiamo
pazienti, ma assistiti e già il cambiamento
di nome è inferente. Assistiti che possono essere malati, ma non
necessariamente, e che vengono nel nostro ambulatorio portando tutto il loro
bagaglio di conoscenza profana sulle
malattie derivante dalla loro
famiglia, dalle loro esperienze indirette di patologia di colleghi, parenti,
amici. Aggiungiamo che sono, siamo, figli del nostro tempo con tutte le virtù e
vizi : la cultura giovanilistica della vita con la rimozione della vecchiaia e
persino della morte che spesso inculca la pretesa di voler guarire tutto e subito
e l'idea di una medicina totipotente che sia in grado di trovare una pillola
per la risoluzione di qualsiasi problema. In Medicina Generale, inoltre, la
relazione di tipo asimmetrico che si deve instaurare comunque nel rapporto
medico-paziente, non è per nulla scontata per una serie di motivi. Primo fra
tutti è l'assistito che sceglie il
medico secondo dei principi che non sono stati mai studiati, ma che hanno senza
dubbio la loro importanza. E' sempre poi l'assistito
che decide quando, come e perché
consultare il medico. Durante la visita, poi, è sempre l'assistito che decide che
cosa riferire e che cosa enfatizzare o minimizzare dei propri problemi e poi
è sempre l'assistito che può rispettare o meno le indicazioni
ricevute.
Il rapporto
medico paziente nella patologia cronica: un setting specifico della medicina di
famiglia come intervento nel cambiamento degli stili di vita e l'autogestione
della propria malattia nel senso dello sviluppo dell'empowerment e resilienza.
Nell'accezione della psicoterapia, Empowerment
significa incremento delle proprie competenze mediante l'esperienza di sé e
delle proprie potenzialità (learning by experience). L'empowerment si
consegue con l'attivazione del processo di conoscenza dell'altro basato sul
coinvolgimento, la comprensione empatica e il senso di responsabilità. E’ mutuato dalla psicologia sociale,
di comunità e del lavoro, e rappresenta una proposta innovativa nel campo della
learning organization, basata sulla responsabilizzazione individuale, sulla
capacità attiva di ciascun individuo di solving problem, sulla partecipazione,
sul realizzare una organizzazione "a misura d'uomo", per promuovere
il "fattore umano", dando a ciascuno ampie possibilità di realizzare
il proprio potenziale.
Il Programma di Autogestione delle Malattie Croniche nasce
in California a metà degli anni ’70. L’educazione dei pazienti cronici sta
iniziando a muovere i primi passi per darsi una base teorica e metodologica,
sulla spinta di una rivendicazione di partecipazione e autonomia nelle scelte
riguardanti il corpo e la salute, promossa dai movimenti che animano la società
statunitense, primo tra tutti il movimento femminista. Solo il malato può
essere esperto nel valutare le conseguenze della malattia nella sua vita e gli
effetti delle cure, osservare la propria condizione e riferirne dettagliatamente
al medico (Kate Lorig). Kate Lorig, all’epoca all’inizio
della sua carriera universitaria a Berkeley, sviluppa un Programma per
l’Autogestione dell’Artrite, con l’obiettivo di fornire ai pazienti strumenti
per gestire l’impatto della malattia sulla propria vita.
L’empowerment, è concetto e
pratica la cui complessità non può essere trascurata in quanto richiede un
cambiamento di paradigma rispetto al modo in cui la medicina viene
tradizionalmente praticata. Aujoulat, d’Hoore,
and Deccache hanno identificato due dimensioni chiave necessarie allo sviluppo
dell’empowerment del paziente: una trasformazione personale del paziente
e una relazione interpersonale di co-creazione con gli operatori sanitari. In
altri termini coinvolgere i pazienti nella loro cura richiede di più che
fornire materiale e suggerire che facciano domande, richiede una trasformazione
della dinamica personale tra paziente ed operatore, oltre che del
sistema di offerta.
I principi fondamentali dell’empowerment
• La
relazione tra medico e pz è basata sul principio di libertà e di
responsabilità.
• Il pz è
colui che risolve i problemi e decide la cura,
• il curante
è una risorsa al suo servizio e lo aiuta in questo compito.
• I
cambiamenti non realizzati non vengono considerati degli insuccessi,ma come
mezzo di apprendimento.
Nella Conferenza di Varsavia del
settembre 2011, Wonca Europa ha deciso di includere fra i compiti del medico di
famiglia l’empowerment del paziente
Caratteristiche della malattia
cronica sono che non guarisce, necessita di una terapia continua che comprende
di solito moliti farmaci. Lo stile di vita viene radicalmente sconvolta,
richiede molta consapevolezza e il responsabile della cura è il paziente
stesso. Nella malattia cronica il rapporto medico-paziente è quello di
adulto-adulto. Vi è una partnerschip ed una strategia che deve essere condivisa
e partecipata. Il ruolo del paziente è attivo ed in dipendente ed il ruolo del
medico deve assomigliare molto a quello dell'educatore, consulente e
facilitatore. Il medico oltre che di una competenza scientifica necessita
anche quella psicosociale e pedagogica
poiché il suo approccio non è più bio-medico in senso stretto ma bio-psico-sociale.
La malattia cronica deve
necessariamente prevedere la presa in carico del paziente con la disponibilità
ad utilizzare la relazione come strumento per facilitare la sua autonomia e
responsabilizzazione nella cura ( se ciò e possibile).
Sono
convinto che questa realtà "strutturale" non sia ben chiara a molti
colleghi che per formazione ricevuta
all'Università sono abituati a interagire con i pazienti in modo del tutto
impersonale e tecnico, come coloro che si occupano della riparazione di una
macchina, pertanto la possibilità di conflitto è sempre dietro l'angolo. Il conflitto, pertanto, quasi sempre deriva
dalle criticità relazionali: il non capire i bisogni e le aspettative dei
pazienti, il fallimento nel riconoscere i loro aspetti simbolici o
fenomenologici ( Anstett 1980). Il medico in generale, ma soprattutto il medico
di famiglia, deve imparare a ragionare con il proprio assistito in un'ottica di
complessità reciproca ( aspetti relazionali, irrazionali, motivazionali) e
metabolizzare il concetto che il
conflitto
è un
aspetto che è sempre presente nelle relazioni umane e che se individuato e
gestito può diventare un volano per il cambiamento e diventare "
generativo" come è nell'accezione etimologica: cumfligere che significa
soffrire insieme e pertanto rimanda ad un incontro che ricerca attraverso un
travaglio reciproco la risoluzione del problema.
I motivi di
conflitto sono tanti a partire, come abbiamo visto, da una differente opinione sulla
malattia e sulla salute. Il consumismo sanitario crescente che vuole essere
sempre soddisfatto, la diversa valutazione sui tempi di un processo di cura, un
atteggiamento aggressivo e pretenzioso. Il non dare il giusto valore agli atti
medici: una per tutti, la completa ignoranza da parte dei pazienti sulla
valenza legale delle certificazioni ( sono solo pezzi di carta), sino ad
arrivare ad un vero e proprio conflitto di "potere" allorché il
paziente " vuole " dettare ordini ed esige obbedienza.
I conflitti
qualche volta possono derivare anche da noi stessi medici. Anche noi siamo
emotivamente coinvolti e abbiamo preferenze, simpatie ed antipatie nei
confronti dei nostri assistiti. Il rapporto è sempre bidirezionale e le ansie,
le angosce dei pazienti, soprattutto se non sono decodificati e metabolizzati
generano a loro volta in noi ansia, irritazione e talora vera e propria rabbia.
I pazienti che ci sono sempre molto difficili da "digerire" sono
quelli che non sono capaci di assumersi alcun tipo di responsabilità nella
gestione dei propri problemi di salute e non riescono ad adattarsi ai
cambiamenti derivanti dalla loro patologia. Gli eterni immaturi, che hanno
sempre paura, sempre fretta e che negli altri individuano la causa dei loro
problemi, ma allo stesso tempo sempre
dagli altri ne aspettano la risoluzione. Il grande problema è che molto spesso
noi medici non siamo sempre consapevoli dei nostri sentimenti nei confronti dei
pazienti ma questa consapevolezza è fondamentale per capire ed orientare il
conflitto e fino a quando questo non avviene, rischiamo di reagire in maniera
compulsiva o accettando passivamente qualsiasi pretesa o rifiutando in maniera
aggressiva qualsiasi tentativo di conciliazione e negoziazione.
E' quindi
chiaro come soprattutto in Medicina Generale il conflitto sia inevitabile, pena
diventare degli acritici esecutori degli ordini dei propri pazienti.
L'importante è riuscire a non trasformarlo in contrasto distruttivo mantenendosi
in una posizione di confronto corretto con una giusta dose di riflessività e flessibilità. La parola d'ordine dovrà essere:" Dal conflitto alla negoziazione".
Per creare
le opportune condizioni di una buona attività negoziale:
1) Il
capire che il paziente non ha sempre ragione, ma ha senz'altro le sue
motivazioni ed il suo sapere profano che devono essere riconosciute.
2)
riconoscere che comunque la relazione è asimmetrica sia in termini di
conoscenza e soprattutto di responsabilità.
3) il
rispetto del punto di vista dell'altro contemporaneamente alla consapevolezza
del proprio punto di vista.
4) la
possibilità di avere come obiettivo significativo quello che è possibile
raggiungere ( politica del minor danno)
La
negoziazione in medicina generale prevede inoltre una consapevolezza non
richiesta alla maggior parte delle altre figure mediche: essere empatici, fare
della soggettività dell'altro un punto di riferimento privilegiato. Significa
ribaltare completamente i paradigmi della clinica, la definirei la conoscenza
dell'altro, cui siamo stati formati e preparati, il paziente, cioè, come puro
oggetto che si sottopone al nostro esame. Fondamentale quindi la consapevolezza
che ci allontaniamo in una modalità di non ritorno da un metodo che se pure
spesso difficile e tortuoso restava per noi comunque un
metodo rassicurante e non emotivamente coinvolgente. Essenziale è il
capire che questo nuovo metodo deriva da :" ....un talento che parte dall'attitudine a sentire e osservare dentro di sé
prima che negli altri e cresce attraverso capacità che vanno coltivate".
( G.Cataldi,F.Benincasa ).
Storie di conflitto
Qualche settimana
fa è venuta in ambulatorio la signora Aurelia per la prima volta. E ‘una 76enne
che si è presentata dicendomi che mi aveva scelto come medico, "perché le stavo comodo", essendosi
trasferita da pochi giorni in questa zona della città. Alla mia domanda se
aveva qualche problema di salute: "...allora,
il fegato me lo ha rovinato il dottor Rossi con tutti gli antibiotici che mi
dava, i reni me li ha distrutti il dottor Bianchi con tutte le medicina per le
ossa, lo stomaco me lo ha distrutto il dottor Verdi sempre con le medicine per
le ossa". Siamo andati avanti con un discreto elenco di organi "assassinati" dalle cure
somministrate dai colleghi che conosco personalmente, tutti professionisti
validi e preparati. Mentre parlava la osservavo....tipico esempio di paziente
francamente antipatica: eloquio da soprano penetrante con modalità tendente al
lagno, mimica e gestualità vorticosa, mentre parla a getto continuo non lascia
spazi e possibilità di inserimento a qualsiasi interlocutore. L'ho lasciata
arrivare sino alla fine dei suoi discorsi in silenzio, le ho chiesto se le
occorreva allora qualche ricetta per i farmaci che assumeva in maniera cronica e,
mentre gliele consegnavo, l'ho congedata dicendo:" Sono fortunato signora!
Io non ho più organi da rovinarle, in quanto ci hanno pensato colleghi che mi
hanno preceduto, credo che sarà veramente soddisfatta di me!" L'ho vista
un po' spiazzata, e mi ha dato la mano per salutarmi abbozzando un mezzo
sorriso senza replicare. Vedremo come andrà a finire.
Lunedì sono
arrivato in ambulatorio e la signora Bruna ( 84 anni) era già seduta in sala
d'aspetto e nonostante l'ambiente fosse
quasi in penombra inforcava un paio di
occhiali da sole veramente grandi rispetto al volume della sua testa. E' mia
paziente da 33 anni, sin da quando dirigeva in maniera decisa la sua famiglia
composta dal marito, il primogenito maschio e due figliole femmine.
Tanto per
inquadrarla i suoi familiari ed amici la chiamavano la " colonnella".
Eccetto il figlio maschio che quasi subito si è trasferito a Roma ho seguito
tutto il nucleo familiare e la sua evoluzione. L'ictus del marito che è
deceduto da diversi anni. Una figliola sposata, divorziata, tumore alla
mammella attualmente in remissione. L'altra figlia sposata, anche lei tumore alla
mammella attualmente in chemioterapia.
" Dottore, l'altro ieri sono salita
sull'autobus e il getto dell'aria condizionata a palla mi dovrebbe aver
lesionato l'occhio sinistro e pertanto voglio andare dall'oculista!"
Siamo andati avanti per diversi minuti con la minuziosa descrizione sul perché
aveva preso l'autobus, l'itinerario percorso, la noncuranza dell'autista che
insensibile alle sue lamentele non abbassava l'intensità dell'aria, su chi
aveva incontrato una volta discesa.....Nel frattempo io " friggevo"
pensando alla sala d'aspetto che di lunedì è sempre stracolma, ma....ma non
potevo fare diversamente. Ho ascoltato pazientemente, poi l'ho fatta accomodare
nella saletta da visita sotto la lampada a luce fredda e non ho fatto altro che
diagnosticare un orzaiolo in fase iniziale. Le ho detto quello che avevo visto
e, mentendo, ho affermato che poteva essere stato causato dall'aria
condizionata. L'ho congedata con la ricetta di un collirio e di farmi sapere
come sarebbe andata, solo allora avrei attivato la consulenza dell'oculista. Se
ne andata via, sorridendo e con gli occhiali da sole in borsetta.
Conflitto, negoziazione,
generatività ( considerazioni a ruota
libera)
Senza
dubbio è quasi impossibile separare quello che sei nell'attività professionale
da quello che sei come uomo. Con il tempo però, con l'esperienza e "le
battute di muso" una certa pratica nel gestire i conflitti, arrivare ad
una concertazione e negoziazione diventa realtà quotidiana, anche perché il
ruolo del medico e del paziente almeno sulla carta è tracciato e abbozzato. Il
discorso diventa più impegnativo quando indossi altre maschere: coniuge, padre,
fratello, figlio o tutti gli altri copioni che durante la giornata di fatto
reciti.
La
difficoltà del gestire una relazione conflittuale è direttamente proporzionale a
quanto per te quella relazione conta e quanto importa il dover convincere alle
tue idee o propositi il tuo interlocutore. Anche se sono perfettamente
consapevole dell'inferenza etica di tali affermazioni, ben presto qualsiasi
medico capisce dove arriva il confine del proprio intervento, quale è il limite
oltre il quale spingersi sarebbe infruttuoso
se non addirittura pericoloso.
Stiamo
parlando ovviamente di relazione che co-costruisce nel tempo, non
ovviamente all'atto medico dovuto in
senso deontologico.....diagnosi, terapia farmacologica, chirurgica dovuta a
tutti.
La mia
personale esperienza rimanda comunque a delle scelte se intervenire o meno in senso relazionale che ogni medico di fatto
fa come storicamente facevano i medici militari dell'esercito napoleonico allorché
venne pensato e istituzionalizzato il "triage".
P
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