Dopo quasi 40 anni di professione di medico di medicina generale uno è convinto che di storie di pazienti ne abbia sentite tante, forse troppe, e pensare di dover impiegare altro tempo per addirittura leggerne delle altre era un fatto che mi lasciava molto perplesso. Non nascondo, poi, che la lettura è cominciata con un vizio di fondo, anzi con un pregiudizio forzando Gadamer: quello di dover per forza e a ogni costo trovare una spiegazione, una causa ed un effetto, un insegnamento da ogni storia, da ogni paziente….poi. Poi non mi ricordo come è successo, ho iniziato a leggere non più con gli occhi di critico, con gli occhi di sta cercando motivi o annotazioni, anzi, ho cominciato a chiuderli gli occhi per stare invece ad ascoltare Marica, Sara, Giacomo e ho cominciato così a vederli a prendere vita, a diventare volti noti, pazienti noti……ogni medico di famiglia ha infatti un suo Giacomo e una sua Sara.
Per comprendere a fondo il libro di Silvano Biondani, Paolo Malavasi e Sebastiano Castellano “I medici si raccontano. Voci dal confine del sapere” (Edizioni Angelo Guerini e Associati, 2016) consiglio proprio di fare così: partire come se si dovesse leggere un romanzo, una raccolta di novelle. Gustarsi l’immediatezza dei personaggi e delle loro vicissitudini, delle loro malattie e poi arrivare in modo quasi spontaneo a capire che cosa? Che come sempre, non esistono modi, regole, norme che riescano a spiegare in un’ottica scientifica quello o quell’altro comportamento di una persona e di un individuo.
Che aggiungere? Il libro viene concepito come una raccolta diracconti di medici di famiglia che periodicamente si riuniscono in quel di Verona e di Carpi e riferiscono la storia di un paziente che in qualche modo li ha interessati o colpiti in quel periodo. In pratica, scrivono il caso, lo distribuiscono ai convenuti e tra loro lo discutono. Le storie sono state raggruppate in capitoli secondo un certo profilo che li accomuna: pazienti terminali, pazienti parenti, pazienti problematici, racconti di medici tirocinanti o altri curanti e al termine di ogni capitolo c’è una breve parte in corsivo che più che un commento è una messa in fila di spunti e sollecitazioni che emersi durante la discussione del caso.
Durante la lettura dei vari capitoli sorge spontanea la domanda: è medicina narrativa questa?Senza dubbio gli estensori del documento stilato dall’Istituto Superiore di Sanità dopo la Conferenza di consenso per le linee d’indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico assistenzialediranno di no: non emerge infatti da queste narrazioni una precisa “metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa“. Sono storie. Sono dei vissuti incorniciati in maniera talvolta imprecisa da un punto di vista clinico, talvolta impietosa, talvolta angosciante… Pensiamo ai vari passaggi: il paziente narra la propria storia, il medico l’ascolta e la recepisce a suo modo, poi la scrive in base a quello che ricorda o che lo ha colpito, poi viene letta e discussa. Il medico dopo la discussione e le varie annotazioni ed appunti, ritorna in ambulatorio e quando rivede quel paziente lo approccia dopo tutta questa rielaborazione. Questo processo servirà a qualcosa? Porterà dei vantaggi nella cura? Io credo proprio di si! Chiamiamola Medicina Narrativa, Medicina delle Storie, o come volete… ma quando il medico rivedrà il paziente dopo tutto questo percorso non sarà più un paziente, ma sarà Sara, Giacomo, Marica, e anche il medico avrà in sé qualcosa di ognuno di questi, non solo! Avrà in sé anche qualcosa di ogni collega con cui ha convissuto questa storia. E’ proprio attraverso questa co-costruzione di cura a due e di gruppo che si avranno, secondo me, i risultati migliori e, delle “specifiche competenze comunicative”, forse, ne potremo fare anche a meno.
Prima di concludere mi piace ancora una volta chiudere gli occhi e ascoltare i racconti di questo libro. Per gli orecchi di un medico di famiglia sono storie conosciute, storie proprie, casa propria, dove c’è comprensione e condivisione di quelle che sono le nostre emozioni quotidiane: ansia, frustrazione, dolore, rammarico, fastidio e, soprattutto, il dubbio e l’incertezza. Il sottotitolo “Voci dai confini del sapere” è quello che meglio definisce la nostra posizione e situazione e pochi come questo libro sono capaci di illustrarlo: “…sono le persone con problemi di salute irrisolti quelle che ci coinvolgono maggiormente. Ci chiamano ad essere interpreti di malanni complessi, stagnanti o aggressivi, in cui molto spesso non ci sono risposte… Molto spesso le risposte mediche, diagnostiche e terapeutiche , sono prerogative degli specialisti… Quando le prognosi sono oscure tocca a noi, medici di famiglia, guidare i malati, insieme a chi è loro vicino, nel difficile percorso di adattamento ad una vita peggiore”. Grandissima verità! Un grazie agli autori e a tutti i colleghi di cui ho potuto ascoltare ad occhi chiusi le storie dei loro e miei pazienti.
Nessun commento:
Posta un commento