Quadretti di un piccolo mondo antico
Sono stato indeciso sino all'ultimo se pubblicare queste
pagine. Per qualcuno potranno sembrare poco pertinenti, ma sto vivendo una fase
della vita in cui i ricordi del passato, purtroppo, hanno molto più spazio dei progetti
per il futuro e poi, con questo "amarcord", riaffiora un periodo
della mia vita, anzi, della vita di molti di noi, medici con i capelli grigi e
pertanto è un po' come un parlare di storia della medicina. Una storia della
medicina minore, certo! Storia di un
periodo. Periodo del nostro inizio, periodo in cui andavamo con un passo più
lento e che ricordiamo con un senso di nostalgia poiché coincide con la nostra
giovinezza che non c'è più, come questo piccolo mondo antico.
Siamo a casa mia, alla fine di una cena consumata fra
colleghi amici, coetanei. Come di solito accade, le mogli si alzano per collocarsi
in una parte dell'ambiente per parlare di cose loro mentre noi restiamo ancora
a tavola per parlare di cose nostre, magari davanti a qualche bottiglia di buon
distillato. Si sa! Alla fine di un convivio, soprattutto se si è ben mangiato e
ben bevuto lo scambio comunicativo è facilitato. Un collega prende il suo
smartphone e ci fa vedere un filmato in cui ha ripreso un suo paziente dentro il letto, durante una visita
domiciliare. E' un ultranovantenne con il volto scarno che parla gesticolando in un dialetto perugino stretto
e con una mimica facciale che tradisce grande emozione per quello che racconta.
Ha in testa quelle papaline bianche da notte che non vedevo più da decenni ed
indossa, per quello che posso intuire , quei vecchi camicioni, anche questi
divenuti rarità, tutti di un pezzo, senza bottoni, lunghi sino alle caviglie.
Ecco! E' bastato questo filmato realizzato dal collega per documentare una
realtà che sta sparendo, per far riaffiorare tutto un mondo che avevo dimenticato.
Mi rivedo al volante della mia Fiat 127, obbligatoriamente vestito
con giacca e cravatta, la borsa da medico che odora ancora di cuoio e che vado
girando per Perugia, città e campagna. Alla fine degli anni'70 le visite
domiciliari erano molte. La vaccinazione antinfluenzale era ancora un concetto
astratto e pertanto nei mesi invernali con il picco epidemico, talvolta eri anche
costretto a far saltare qualche seduta ambulatoriale...i malati a casa avevano
la precedenza e nessuno si sognava di protestare se aveva fatto un viaggio a
vuoto per venire a studio. Andavi per le scale e gli ascensori dei condomini
dei nuovi palazzi di periferia. Percorrevi i vicoli dei rioni cittadini: allora
il centro era abitato da famiglie "normali". Correvi lungo le strade
bianche di campagna per arrivare ai casolari dove stava morendo l'ultimo sprazzo
di civiltà contadina.
E' gennaio e m’inoltro preoccupato lungo una carrareccia
che mi dovrebbe portare a casa di pazienti che non conosco, di un collega che
sto sostituendo. La strada e tutti i campi circostanti sono ricoperti da una
coltre di brina gelata tale da far sembrare che sia nevicato. Arrivo nell'aia
di un tipico casolare umbro: edificio a corpo unico, senza terrazze, con le
scale esterne che salgono alla loggia in cui un'anziana signora, vestita di
scuro con il fazzolettone annodato intorno al collo che le copre la testa, guai
a chiamarlo bandana, mi fa cenno di salire. Da qui accediamo all'ingresso
dell'abitazione che è costituito dal classico cucinone immenso, con camino
appoggiato alla parete capace di contenere al suo interno anche posti a sedere.
Il fuoco è acceso, ma manca il paiolo annerito che di solito penzola dal
gancio. Anche Il tavolo al centro dell'ambiente è grandissimo, ma le seggiole
sono solo quattro o cinque. Il piano della vecchia madia dove una volta si
faceva il pane è ricoperto da una
tovaglia di plastica con sopra il televisore: evidente segno che si era persa questa
abitudine. Su una parete appesa al chiodo vedo la doppietta per la caccia con
tanto di cartuccera e "catana". " Dottorino! Adesso le faccio
strada per andare da mio marito che ha la febbre da diversi giorni. Poi ha
tanta tosse che abbaia come un cane". Percorriamo un tratto di un lungo corridoio senza
finestre che è completamente al buio, illuminato solo in questa parte iniziale
da una fioca lampadina. Mi spiegò poi che, oramai erano rimasti solo
loro due e non conveniva certo sprecare la luce per illuminare zone che non usava più nessuno. Entriamo in
camera da letto, gelida, senza riscaldamento di sorta. Mentre la donna apre gli
scuri delle finestre per far luce mi
compare un mondo in cui sembra che il tempo si sia fermato. Il letto altissimo,
con la testiera e pediera in ferro battuto nero intrecciato. Il pianale del
comò, in marmo grigio come quello dei comodini, è occupato al centro da una
scatola metallica lavorata sopra un centrino ricamato con punto francescano. Da
un lato, una cornice con una vecchia foto di un mezzo busto di un giovane con
cappello e baffi all'umbertina, con a fianco una donna con un colletto di pizzo
e i capelli acconciati a cipolla alla vecchia maniera. Sull'altro lato del comò
fanno bella figura: una foto con il volto di una neonata con davanti dei fiori
finti , la palla di vetro con neve con la miniatura di una basilica che non
riconosco, una spazzola per capelli con
infilato un pettine. Mi avvicino al letto, dove intanto il malato, che dormiva
profondamente, sbadigliando, sta prendendo contatto con la realtà. Appena mi
vede mi guarda sospettoso, d'altronde aspettava forse il suo medico, e mi dice
che quella di chiamarmi era stata un'idea della moglie perché lui non ne vedeva
la necessità. Man mano che mi avvicino a lui il profumo di spigo emanato dalle
ruvide lenzuola di flanella e dai copricuscini diventa più forte. Indossa la
papalina da notte e un pesante camicione di lana ruvida che tira su aiutato
dalla moglie che scuote la testa in senso di disapprovazione. Mentre mi
avvicino a lui per raccogliere l'esame obiettivo faccio attenzione a non urtare
il comodino sopra il quale fa bella mostra una dentiera completa di tutte e due
le arcate a bagno dentro un bicchiere d'acqua. Completo la visita misurando i valori
pressori:170 su 90.." benissimo" mi dice " 100 più gli
anni...per me che ne ho più di 80, va alla grande!".
Lo rassicuro sul fatto che non ho riscontrato nulla di
preoccupante. Per fraternizzare gli chiedo come va la caccia e lui mi risponde
che oramai si limita a tirare a qualche merlo intorno a casa perché le gambe
non lo assistono...tanto per passare un po' il tempo. Mi congedo da lui
seguendo la moglie in cucina che mi offre un telino anche esso di ruvida
flanella insieme ad una profumata e verde saponetta " Palmolive" per
lavarmi le mani direttamente sullo "sciacquaio" del cucinone. Mentre
mi accingo a scrivere le ricette le chiedo come era la vita lì e mi racconta
come in quella casa vivessero sino a non tanto tempo prima tre fratelli con le
rispettive famiglie insieme ai vecchi genitori e come suo marito fosse l'ultimo
dei tre, i primi due erano oramai morti. La casa, in passato, risuonava di
grida ed urla in quanto ogni famiglia aveva messo al mondo tre o quattro figli
ora sparsi per quasi tutta l'Umbria. Erano una delle famiglie di mezzadri più
importanti della zona che arrivava a produrre oltre 100 quintali di grano. Non
si poteva fare il conto delle mucche e dei vitelli che erano capaci di
allevare, per non parlare dei maiali e degli animali da cortile, ma la vita
cambia e i giovani avevano preferito studiare o lavorare in fabbrica e così
tutto era finito. " Siamo rimasti solo noi due, aspettiamo serenamente la
morte che non starà tanto a venire". Mi ha congedato con queste parole,
mentre mi allungava una busta con le uova fresche, chiedendomi scusa per il
fatto che erano poche, ma: “Con questo freddo le galline non
"fetano!" Non ho saputo più nulla di loro. Mentre stavo rivedendo
questo film le risa e le esclamazioni dei colleghi mi hanno riportato al
presente. Ognuno stava dicendo la sua. " Vi ricordate quando andavamo a
domicilio di notte e non si vedeva un tubo perché sul lampadario era accesa solo
una lampadina in quanto le altre erano state lievemente svitate per non far
fare contatto e risparmiare così energia
elettrica? Per poter vedere qualcosa, dovevamo spesso salire sul letto, magari
anche togliendoci le scarpe per avvitarle perché facessero contatto!". "
Vi ricordate quando visitavamo qualche ragazzino cui non avevano fatto la
doccia o il bagno perché febbricitante e per questo era stato tutto "imborotalcato" come un pesce
da friggere in padella? Oppure quando andavi al bagno di una famiglia e per
lavarti le mani e ti allungavano la saponetta del bidet piena di peli? E quando
trovavi un fiocchetto rosso cucito sulle canottiere o magliette a significare
che erano andati dalla fattucchiera per farsi togliere il malocchio?
I ricordi e gli
aneddoti si susseguono fra l'ilarità e l'allegria del gruppo. Poi cominciano a
rallentare, le pause si fanno più frequenti e prolungate e piano piano senza
rendersene conto all'inizio, a questa atmosfera
festaiola subentra una nuova aria, una nuova emozione.....la tristezza per
questo piccolo mondo antico che è sparito, come a breve spariremo anche noi.
Caro Tiziano, pur essendo più giovane di te questo racconto mi ha fatto venire in mente la mia infanzia. I miei genitori vennero ad abitare a Perugia in centro in via dei Priori all'inizio degli anni 60. Venivano dalla campagna, dalla zona del Marscianese. La domenica mattina mio padre con una mitica Fiat 500 di colore beige mi portava dalla nonna a San Valentino della Collina. Quella casa e quelle abitudini le ho vissute anch'io .... bello! Ti confesso che ho fatto solo un po' di fatica a capire cosa era lo spigo e poi mi sono ricordato di quei sacchettini di cotone dove la nonna metteva la lavanda e poi li metteva nei cassetti del comò.
RispondiEliminaGrazie Luca!
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