A. F. T. Community
Care, Approccio Sistemico: sogni
e utopie o realtà dietro l'angolo?
Il mese di Luglio u.s. la Regione dell'Umbria ha deliberato
il nuovo accordo integrativo regionale, la: " Riorganizzazione della
Medicina Generale e Continuità Assistenziale H24: l'Aggregazione Funzionale
Territoriale ( AFT)".
Tale accordo è la normale evoluzione della legge Balduzzi
del 2012, del Patto della Salute siglato dallo Stato e dalle Regioni nel 2014,
dei piani nazionale e regionali della cronicità:
tutta una serie di normative, insomma, nate per
garantire la sostenibilità del SSN di fronte alle sfide che ci stanno aspettando. Dovremmo
essere, infatti, tutti consapevoli dei problemi che derivano dall'invecchiamento
generale della popolazione, dai costi sempre più crescenti dell'assistenza e dalla necessità di dover tendere sempre più a
una medicina umanizzata e che tenga il malato al centro di tutto il sistema. Sarebbe
piuttosto inutile dover ripercorrere ora l'intero iter legislativo ed entrare
nei particolari dell'accordo, quello che mi preme è di sviluppare una sintesi
per ipotizzare degli scenari che
potrebbero essere realizzati partendo da questo contesto.
Cerchiamo di
immaginare la solita "rete" i cui nodi sono costituiti da queste AFT
che altro non sono che una ventina di medici, generali e di continuità
assistenziale, che avendo a disposizione un sistema informativo con la condivisione
dei dati clinici, assistono circa 30.000 cittadini 24 ore al giorno 7 giorni su 7. Ogni medico e medicina di
gruppo mantiene il proprio studio e la titolarità dei propri. Sono previsti
almeno 2 infermieri e è prevista anche
una reperibilità ambulatoriale h12 dalle 8 alle 20 e dalle 8 alle 14 di sabato in ogni AFT .In maniera più
specifica i compiti dell’AFT sono:
assicurare, a tutta
la popolazione in carico ai MMG i livelli essenziali ed uniformi di assistenza
(LEA), partecipare all’implementazione di attività di prevenzione sulla
popolazione, favorendo l’engagement
della persona con cronicità e la promozione di corretti stili di vita che coinvolgano
tutta la popolazione, aderire ai programmi di sanità d’iniziativa organizzati a
livello di Distretto, Azienda, USL e Regione. Si dovrà contribuire alla
diffusione e all’applicazione delle buone pratiche cliniche sulla base dei
principi della evidence based e slow medicine. Si dovrà promuovere e
diffondere l’appropriatezza clinica e organizzativa nell’uso dei servizi
sanitari, anche attraverso procedure sistematiche ed autogestite di peer review e Audit.
Nelle AFT si
dovranno inoltre promuovere modelli di comportamento nelle funzioni di
prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione ed assistenza orientati a
valorizzare la qualità degli interventi e al miglior uso possibile delle
risorse alla luce dei principi di efficienza e di efficacia.
Detto in altre
parole, con quest’organizzazione il territorio dovrà assumere quella visibilità
e quella capacità di rispondere alla patologia cronica come fa l'ospedale per
la patologia acuta e grave. Spero che tutti colleghi si rendano conto che
accettare questa sfida e vincerla è uno dei pochi modi per poter garantire la
sostenibilità e la salvezza del Servizio Sanitario Nazionale e della nostra stessa
figura. Mi sono pertanto risultati incomprensibili tutti i timori e le
perplessità che hanno fatto seguito alla sottoscrizione di tale accordo.
Il mondo e la
società stanno continuamente cambiando a un ritmo vertiginoso e le innovazioni
e lo sviluppo della tecnologia in generale e della ICT (Information Communications Tecnology) in particolare, stanno
creando scenari che sino a pochi anni fa sembravano da film di fantascienza.
La robotica, i Big Data, l'ecommerce,
stanno per mandare in pensione intere categorie professionali: gli anatomopatologi,
gli specialisti nella diagnostica delle immagini e i chirurghi saranno i primi.
I farmacisti...questi hanno perfettamente capito che con l'avvento di Amazon
sulla distribuzione e la legge sulla concorrenza hanno oramai le ore contate e
pertanto stanno disperatamente cercando sotto il cappello della Farmacia dei Servizi,
dei nuovi spazi che sono propri della medicina generale come: gli screening,
l'aderenza alla terapia dei pazienti, l'educazione sanitaria e tanti aspetti di
medicina preventiva. I miei colleghi di medicina generale dovrebbero tenere,
poi, ben presente quello che sta accadendo in Lombardia con l'appalto della
patologia cronica a 219 gestori privati che rischia di pensionare a breve tutti
i medici di famiglia. Cerchiamo pertanto di considerare in maniera pragmatica questa
AFT! Cerchiamo di valutarla come un'occasione per dare finalmente un volto e
una connotazione precisa a questo benedetto territorio che scompare sempre di fronte
ad un ospedale organizzato verticalmente e con ruoli e funzioni oramai ben
definiti. Anzi cerchiamo di rilanciare! Cerchiamo di aumentare le potenzialità
assistenziali di queste nuove aggregazioni individuando metodi e obiettivi che
in questo momento potrebbero sembrare fantascientifici se non dei veri e propri
sogni. Lancio per il momento un'idea che porterò poi come proposta dopo averla
discussa con tutta la categoria e poi come progetto presso i nostri
amministratori e politici: le AFT diventino il perno, il tessuto connettivo
delle cosiddette Community Care. Che
intendo con questo termine?
Non è certo un
concetto nuovo e potrete trovarne un'interessante descrizione e
contestualizzazione nel documento della sociologa Luciana Ridolfi
visualizzabile nel link http://www.clitt.it/contents/scienze_umane-files/sociologia/60017_CommunityCare.pdf
da cui ho rubato definizioni e indicazioni.
Nell'accezione
originale Community Care stava a
significare un modo di organizzare le cure assistenziali a favore delle
categorie sociali più deboli, ponendo come esigenza fondamentale la possibilità
per queste persone di continuare a condurre la propria vita entro i confini
della comunità di appartenenza dove sono sempre vissute, anziché rivolgersi a
strutture residenziali. Il nuovo concetto invece
è più ampio e rimanda ad " un
approccio teorico-pratico che prova a ripensare il sistema dei servizi come
reti di intervento che si basano sull’incontro creativo e collaborativo fra
soggetti del:
“settore informale” (vicinato, gruppi amicali,
famiglie, associazioni locali)“ settore formale”
(organizzazioni sanitarie pubbliche, private e non profit) mediante relazioni
di reciprocità sinergica. Un intreccio tra reti formali ed informali, tra
professionalità e figure non specialistiche, tra pubblico e privato…, che ha
come obiettivo il coinvolgere nelle attività di cure tutte le risorse presenti
all’interno della comunità." Nella Community Care viene realizzato il passaggio da un
concetto di comunità intesa come luogo fisico (territorio) destinatario di
prestazioni socio-sanitarie, ad un’immagine della stessa comunità come rete di relazioni sociali significative".
Massima integrazione quindi con il sociale!
Anche questo deve essere un concetto chiaro, poiché l'assistenza al paziente
cronico, anziano e complesso necessita di supporto e di cura non solo da parte
degli operatori sanitari, ma molto spesso di " assistenza integrata,
incentrata
sulla famiglia e sulla comunità, finalizzata a pratiche di
autocura, di cure a domicilio, di mutuo aiuto e con obiettivi di cambiamento
partecipato da parte dei cittadini"
Sono
perfettamente consapevole che questa "visione" comporta un'attenta
mappatura del territorio, cercando di superare l'ottica di orti ed orticelli,
di autoreferenzialità, di sospetti e diffidenze, ma lasciatemi concludere con la descrizione del
sogno che ho fatto questa notte.
Paolo 84 anni è sposato con Giulia di
81 anni che è affetta da una grave forma di artrosi dell'anca dx, della
colonna, dei ginocchi come conseguenza anche di una poliomielite contratta da
ragazza che ha sconvolto la sua dinamica
scheletrica. Vive senza uscire di casa da molti anni in un appartamento al
terzo piano senza ascensore, non hanno figli e i parenti più prossimi sono un
fratello che vive in un comune delle Marche a 80 km di distanza. Per i lavori
domestici hanno una donna che viene 2 volte la settimana per 2 ore il
mattino e i contatti con il mondo
esterno sono tenuti da il signor Paolo che mantiene un discreto stato di
autosufficienza: va alle poste, in banca e fa la spesa, guida ancora
l'automobile per i percorsi noti e che usualmente percorre.
Mi chiamano un lunedì mattina disperati: Paolo è bloccato a
letto con un terribile attacco di sciatalgia e mi chiedono che in poche ore sia
rimesso in piedi perché deve essere fatta la spesa, devono essere pagate le
bollette e si deve passare in banca ...il frigorifero è vuoto, mi fanno
"intuire" che non hanno contanti per pagare...Che posso fare?
Innanzitutto pratico una fiala intramuscolo di Diclofenac che tengo in borsa,
conosco il paziente e posso permettermi questa scelta anche rischiosa.
Prescrivo poi un ciclo di terapia farmacologica e telefono subito alla farmacia
che è dotata del servizio di consegna dei farmaci a domicilio dicendo che poi
dall'ambulatorio avrei messo le ricette in rete. Altra telefonata al servizio
sociale per illustrare il problema e mi viene risposto che nel giro di due o
tre ore avrebbero mandato un volontario accreditato a casa dei pazienti per
prendere le bollette, la lista della spesa e l'assegno bancario che Paolo
avrebbe fatto, per permettere all'operatore di fare tutto il giro: banca,
posta, supermercato. Giunto poi in ambulatorio scrivo nella cartella clinica
elettronica condivisa il caso di Paolo, lasciando in consegna al collega della
Continuità Assistenziale il problema aperto per poter rispondere con cognizione
di causa ad una sua eventuale chiamata......No! mi sono inventato tutto... nel
sogno diventato quasi un incubo, sono stato costretto a ricoverare in ospedale
tutti e due, non esistendo nulla che potesse rispondere in modo sistemico.
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