mercoledì 19 giugno 2013

AL MIO VERO MAESTRO: GIULIO DEL SINDACO (1928-2008) Pubblicato sul Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia N. 6/2011


Caro Giulietto,
penso che sia capitato anche a te , magari dopo aver trascorso una giornata di lavoro in maniera frenetica, di rincasare e trovare la casa vuota. I figli chissà dove, la consorte dalla sorella, te lo aveva detto ma lo avevi  dimenticato, cena fredda sul tavolo con il bigliettino accanto con le sue raccomandazioni di rito.  Mangi in maniera quasi automatica e per non rovinare il silenzio inusuale, una volta tanto eviti di accendere il televisore che oramai fa da sottofondo alle nostre scene domestiche. Ti siedi in poltrona con l’obiettivo di rilassarti, ma ecco che nella mente cominciano a formalizzarsi delle immagini che impediscono il rilassamento, di solito sono fatti accaduti durante il giorno che sta volgendo al termine, altre volte sono episodi lontani, volti conosciuti, anche familiari un tempo, ma che oramai fanno parte della nostra storia.
Chissà perché, ieri sera, mi sei tornato in mente tu. Come in un film che guarda a ritroso, mi sono rivisto giovane, appena laureato dentro il tuo ambulatorio che mi davi le istruzioni , come veramente è accaduto, per la “sostituzione” che avrei dovuto farti lì a pochi giorni.
“ Vedi Tiziano, la medicina di famiglia è molto diversa da quella ospedaliera, qui non abbiamo a che fare con le malattie, ma con persone che possono anche essere  malate”.
Allora mi sfuggiva il vero significato di questa affermazione, ma senza che me ne rendessi conto mi avevi trasmesso l’essenza della medicina generale: non numeri di letto, non casi clinici, non malati anonimi, ma persone vere con la propria vita, il proprio volto e la nostra storia in comune. Mi ricordo  come nel congedarmi, mi dicesti anche :”Ecco la burocrazia “ e mi affibbiasti un pesante pacco con i ricettari, uno per Cassa Mutua come si faceva allora; un ricettario per l’INAM, uno per l’ENPAS………mia avevi già trasmesso anche l’altra faccia della Medicina Generale: il fardello burocratico.
Questo episodio che ieri sera si è riaffacciato alla memoria ha evocato  immagini e ricordi a cascata: il tuo aspetto all’apparenza burbero, la tua camminata lievemente zoppicante, i tuoi occhi che da dietro le immancabili lenti non capivi mai se ti rimproveravano o ti prendevano in giro. Quante volte dopo cena ,alla fine della mia giornata, mentre mi recavo al bar Mokambo di via dei Filosofi per incontrare gli amici, ti vedevo uscire da casa con la borsa da medico che andavi per le ultime visite domiciliari. Quante volte, uscendo dal tuo studio dove avevo appena ultimato la mia seduta ambulatoriale contavo oltre venti clienti che stavano impassibili, senza segni di insofferenza ad aspettarti, mentre avrebbero potuto tranquillamente venire da me senza code ed attese. Non nascondo che questa “fede” nei tuoi confronti da qualche parte mi disturbava, mi dava fastidio, ma ero troppo giovane per capire ed i giovani si sa, sono sempre impazienti, hanno sempre fretta di arrivare.
“ La fiducia della gente si guadagna lentamente, giorno dopo giorno” mi ripetevi” Stai tranquillo che per come ti vedo, non ti manca niente per fare la tua carriera, soprattutto se imparerai a metterti nei panni di chi ti sta davanti”. “ Ricordati che con il tempo i pazienti ti racconteranno tutto di loro, ti sbatteranno in faccia le loro situazioni talora paradossali, incomprensibili da capire usando i tuoi parametri mentali di persona razionale e normale. Non ti permettere mai di giudicarli, non dare risposte in quanto non ne vogliono….”.
Queste affermazioni che oggi  definisco empatia, terapia centrata sul cliente di tipo Rogersiano  a te venivano naturali, erano modalità operative innate e spontanee.
Quando ci incontravamo, spesso, ti facevo il resoconto delle visite effettuate: i miei sospetti diagnostici, le mie terapie e tu, con quell’ironia di cui eri capace, commentavi sempre in maniera quasi goliardica in modo tale che anche le rare disapprovazioni erano risolte in maniera bonaria e senza colpevolizzare.
Era logica che la differenza di età, la diversa esperienza formativa ogni tanto facesse capolino, pertanto qualche diversità operativa emergeva: un maggiore ricorso alla tecnologia diagnostica da parte mia, diversa opinione sulla terapia farmacologica, una mia maggiore richiesta di consulenza specialistica, ma mai queste diverse valutazioni hanno costituito occasione per diverbi o contrapposizioni. A differenza, infatti, di molte altre “associazioni fra medico ultra massimalista e medico giovane per il rientro nei massimali “ non si è consumata nessuna grave difficoltà di rapporto; ognuno nella propria specificità e perché no, anche ognuno curando i propri legittimi interessi, la nostra associazione è andata avanti nel rispetto e nella comprensione reciproca e quando è arrivato il momento in cui le nostre strade si sono separate, tutto è avvenuto senza particolari traumi o disappunto.
Mi ricordo anche le occasioni in cui ci si vedeva al di fuori del lavoro. Sapessi, quanto mi rendeva orgoglioso l’essere ammesso nel “tuo salotto” a chiacchierare alla pari con i tuoi amici: il professor Angeli, primario ginecologo d’Assisi, il dottor Migni, responsabile del laboratorio analisi di Foligno, il dottor Radicchia, psichiatra dell’SPDC ed altri. Mi sovvengono le tue battute, il tuo modo ironico e scanzonato di affrontare gli argomenti, anche quelli con contenuto serio e drammatico e soprattutto la tua calma. “ Che ci posso fare se sono innamorato del mio lavoro?” Mi dicevi quando ti chiedevo se non avevi le tasche piene di correre per la città dietro alle malattie della gente. “Se trovi la voglia ed il tempo di ascoltarli, i pazienti la diagnosi te la servono sul piatto d’argento, la visita e l’esame obiettivo il più delle volte servono per una conferma dell’idea che ti sei fatto” . Sono queste  le parole che mi sono rimaste dentro e che mi hanno accompagnato e mi accompagnano nella mia attività e mi vergogno di me stesso perché sino ad ora non ho mai trovato l’occasione per ringraziarti di tutto dal profondo. Forse per distrazione? Forse per una mia inconscia supponenza? Forse perché da perugino verace sono un po’ orso e poco abituato ai convenevoli? Non lo so. Provo a rimediare ora: grazie Giulietto.

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