Come sempre capita da un
po’ di anni a questa parte, l’autunno propone una miriade di eventi ECM. Quasi
ogni sabato, infatti, l’agenda offre corsi e congressi di diversi argomenti e
discipline che, oltre a costituire dei validi momenti formativi, sono occasione
per incontrare colleghi che non vedi magari da qualche tempo. Sono di solito colleghi
che operano in comuni abbastanza lontani dal capoluogo, in realtà rurali e di
piccolo paese e che ti danno la possibilità pertanto di poter tastare il polso
a quello che accade e su che tipo di
aria si respira in periferia.
“Caro Tiziano, se Dio
vuole fra due anni, andrò in pensione. Perché vedi questa di adesso, non è più
la mia medicina! La medicina per la quale avevo studiato, la medicina di famiglia
per la quale a suo tempo avevo scelto di lasciare la città per trasferirmi
quasi sulle creste dell’Appennino. Fino a qualche anno fa ero il Dottore del
paese, tutto mi veniva detto. Ero chiamato dalla gente per risolvere problemi
di salute, per sedare liti familiari e persino per dare consigli su acquisti
importanti. Se arrivavo a domicilio del malato durante l’ora del pranzo, era quasi
obbligo mettersi a tavola con loro, ed ora? La mia preoccupazione più grossa è
come difendermi da loro, è come evitare di incappare in eventuali denunce o
maldicenze, ma si può andare avanti così?”
Non nascondo di essere rimasto perplesso nel
sentire queste parole proferite da un collega che ricordavo, ai tempi
dell’università, brillante e preparato. Che per di più lavora in “campagna”
dove davo per scontato la persistenza di certi rapporti e relazioni umane, ma
evidentemente la globalizzazione travolge tutto e tutti.
Anche questo medico di
medicina generale pertanto, va ad accrescere la schiera di quelli che affermano
che ormai la medicina di famiglia non è più quella di una volta, che non ne
vale più la pena, che per colpa di qualcuno la nostra professione è screditata
e oramai non ci resta che piangere. Le
colpe di tale trasformazione sono addossate alle sigle sindacali che non hanno
avuto la fermezza nelle trattative, all’Ordine dei Medici che non è stato in
grado di vigilare, alle Società Scientifiche che hanno proposto modelli
assistenziali ed operativi che di fatto stanno “prostituendo” la professione…..
Ed io stesso che in un certo qual modo rivesto od ho rivestito tutti questi
ruoli istituzionali sono spesso guardato
con sospetto e vengo “recuperato” solo a livello personale.
Non mi sento assolutamente
sul banco degli imputati e non ho certo bisogno di arringhe difensive, mi
piace, però, lasciarmi andare ad alcune considerazioni fatte un po’ a ruota
libera.
La medicina di famiglia di
adesso non è più quella di una volta. Senza dubbio è vero, ma invertiamo i
termini: la famiglia di adesso è più quella di una volta? Da quando quelli
della mia generazione hanno iniziato a lavorare, fine anni ’70, quanto è
cambiata la nostra società, la nostra città, la nostra comunità? Non sono in
grado di analisi e studi sociologici o antropologici, ma basta riportare degli spaccati
di vita quotidiana, che sembrano banali, ma per un occhio più attento, possono
costituire dei campioni rappresentativi del cambiamento dei tempi.
E’ l’inizio di una
domenica pomeriggio come tante e sono seduto sulla mia poltrona rilassato e
appisolato davanti ad un televisore acceso che trasmette un programma che
assolutamente non seguo. Arriva mia figlia quattordicenne con il “tablet” aperto
che mi chiede di acquistarle con la mia carta di credito il biglietto di un
film che fra un’ora circa sarà proiettato presso la multisala cinematografica
di Ellera di Corciano. Faccio tale prenotazione potendo scegliere anche la
poltrona vicina a quella prenotata dalla sua amica e fra uno sbadiglio ed una
raccomandazione l’accompagno con l’auto alla sopraddetta struttura. Durante il
tragitto è tutto uno “smessaggiamento” con il suo telefonino per radunare la
tribù degli amici e mentre mi saluta e scende dall’auto la osservo confondersi
con la folla variegata e multicolore degli adolescenti.
Mentre ritorno, rifletto su
come sia mutata la modalità dell’andare al cinema rispetto ai miei tempi,
perché è vero che mia figlia va al
cinema come facevo spesso anche io di domenica pomeriggio, ma quante cose sono
cambiate? Innanzitutto il ruolo del centro storico della nostra città. La
tecnologia che permette di sapere quali film siano in programmazione e la
possibilità dell’acquisto del biglietto che eviti le code al botteghino. Il
modo di fissare l’incontro con gli amici ed altro. Io andavo al centro con
l’autobus o a piedi, il più delle volte ignorando quale film avrei visto perché
sarebbe stato deciso insieme al gruppo di amici, dopo una lunga trattativa, nel
luogo d’incontro usuale: davanti al bar Medio Evo di Corso Vannucci.
L’inferenza di tali
cambiamenti si commenta da sola. Allora
io chiedo e domando soprattutto ai colleghi di medicina generale che accusano
il sindacato, l’ordine dei medici e le società scientifiche di non essere state
in grado di “impuntare i piedi “per impedire la deriva o meglio, impedire che
cosa? Il cambiamento dei tempi? L’evoluzione della società e del mondo?
Perché troviamo normale il
cambiamento che c’è stato in questi ultimi trenta anni quando entriamo in una
banca, in un ufficio postale, all’anagrafe o semplicemente nel vedere il cruscotto della nostra auto ma si urla
al sacrilegio se si deve cambiare il nostro ambulatorio ed anche il nostro modo
di lavorare? Ed il peggio ( o il meglio) poi deve ancora venire!
L’onorevole Barani,
relatore alla camera del decreto che
porta il nome del nostro ex ministro della salute Balduzzi, nel commentare
l’articolo 1 che prevede il riordino dell’assistenza primaria, ha usato queste
parole: “……Quindi, con queste
riorganizzazioni noi crediamo di aver portato avanti una rivoluzione
copernicana nella sanità, nel senso che non vi è più un rapporto
paziente-medico, ma un rapporto paziente-strutture multidisciplinari,
aggregazioni” che pone la parola Fine sul rapporto medico paziente spostando la
scelta del medico non più ad personam ma vs. struttura. “.
Rinuncio a commentare tale proposizione con la speranza che si possa
sviluppare un dibattito vero sulle conseguenze di tale affermazione di
principio, mi preme, però, porre l’accento su due punti tralasciando di
proposito gli aspetti economici, di risorse, di organizzazione che per assurdo
considero risolti.
1) E’ pensabile
perdere la propria identità individuale uniformandosi ad una struttura e
rimanere liberi professionisti?
2) La perdita
del rapporto paziente-medico non potrà provocare anche la perdita del rapporto
medico-paziente come è tradizionalmente inteso?
Quello che è certo che questa rivoluzione copernicana dovrà
comportare una completa riscrittura della medicina generale da come viene praticata oggi e se questa
porterà ad un miglioramento, come al solito solo il tempo potrà dirlo. Il
tempo………ma che è il tempo?
“Quid ergo est tempus? Si nemo ex me
quaerat, scio; si quaerenti esplicare velim,nescio”
(S. Agostino, Confessioni, libro XI, 14,17)
"Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so, se qualcuno mi
chiede di spiegarlo lo ignoro".
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