martedì 18 giugno 2013

PERDONATEMI PERCHE' HO PECCATO Editoriale del Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia N. 3/4 2011


“No dottore! La terapia non me la segni che andrò in erboristeria a farmela dare…” mi disse G.C., donna di 32 anni dopo avermi mostrato l’urinocoltura che documentava l’ennesimo episodio di cistite.  “ Da quando l’omeopata ha prescritto a mio figlio quei granuli da sciogliere sotto la lingua, l’allergia non si è vista più”. “ Dottore! Per fortuna  ho smesso la sua cura a base di antiinfiammatori che mi avevano tutta intossicata. L’omeopata con delle goccioline che vanno prese dopo averle agitate per un numero preciso di volte, mi ha risolto per il momento tutti i problemi….”.
Potrei andare avanti per molto con questo tipo di affermazioni che ho sentito nel mio studio da parte dei miei pazienti. Dapprima erano episodi sporadici, circoscritti,  ascrivibili ad una tipologia di pazienti abbastanza omogenea e costante: donne dai 30 ai 50 anni, di solito molto acculturate, di ceto sociale medio alto e con il proprio stato civile che cambiava  ogni tanto.
Poi gli episodi sono diventati più frequenti ed anche la tipologia dei pazienti  ha iniziato ad essere meno omogenea, più variegata. Allo stato attuale, infatti, posso affermare che la schiera dei consumatori delle terapie non convenzionali comprende tutte le categorie sociali e culturali, è distribuita in ugual misura fra i due sessi, solo l’età molto avanzata è scarsamente rappresentata. Sembra paradossale, ma nell’era dell’informatica, della telematica,  della robotica e dell’ingegneria genetica, dei grandi interventi chirurgici, della pillola per tutto.. tutto c’era da aspettarsi, ma non certo questa esplosione, come la vogliamo chiamare, di alternativo? Di naturale? Di magico?......Non nascondo che alle parole di G.C. ho provato un profondo senso di stizza:” Ma guarda ‘sta tipa! Viene da me per farsi fare una diagnosi e poi mi tradisce con l’erborista”. La stizza andava man mano aumentando mentre aumentavano le celebrazioni dei presunti successi terapeutici delle “altre terapie”  a scapito di quelle  mie, “scientifiche” e di documentata efficacia da tanto di lavori e ricerche controllate.
A tanto risentimento che dentro di me covava, dovevo porre rimedio. La formazione psicoterapica che ho avuto mi ha insegnato, infatti, che l’aggressività che circola dentro se stessi va in qualche modo affrontata, pena somatizzazioni anche molto pericolose, pertanto  l’ho dapprima lasciata fluire libera per rintuzzare in maniera energica e talora anche scortese le affermazioni dei miei pazienti. Dopo un po’, però, ho ritenuto opportuno “sublimare” tale aggressività, d’altronde sempre dalla psicoterapia s’impara a uscire dai ruoli e dagli  stereotipi,  pertanto è venuto quasi automatico e spontaneo che quella stizza si trasformasse in curiosità e voglia di conoscere e studiare. Non mi sembra certo il caso di stare ora a raccontare il mio percorso formativo in omeopatia, ma credo sia molto più utile dire quello che si prova quando a più di 50 anni di età un medico si affaccia all’universo della Medicina “alternativa”.  Come di fronte a tutti gli universi sconosciuti si prova: smarrimento, perplessità, insicurezza e voglia di scappare. Viene spontaneo arroccarsi in maniera scettica sulla propria posizione oramai consolidata di conoscenze e di operatività, ma la curiosità ha prevalso e sono andato avanti.  Quando si parla di medicina alternativa, la maggior parte dei medici pensa ad una cura con un po’ di erbe non meglio identificate che tutt’al più male non fanno, ma è un riduzionismo incompleto e sbagliato. Non a  caso ho usato la parola “universo”, perché ci troviamo davvero in mezzo a mille galassie con i propri mondi e i propri pianeti: omeopatia,agopuntura,omotossicologia,fitoterapia,metalloterapia,aromaterapia,
ayurveda e mille altri. Parlando ad esempio di omeopatia, tutti conoscono l’aforisma: “ Similia similibus curentur”, ma solo gli addetti ai lavori sanno che sarebbe più corretto parlare al plurale di omoeopatie in quanto esiste quella unicista, quella pluralista, quella complessista, quella ortodossa di Hahnemann, quella di Kent, la scuola francese, la scuola argentina…..ed altre ancora. Il disorientamento massimo lo abbiamo poi, quando dalla fase cognitiva e teorica si passa alla fase pratica ed operativa in cui tutta la metodologia ed il ragionamento derivante  dalla fisiopatologia che ti è familiare viene abbandonato in nome della repertorizzazione, vale a dire la scelta di un rimedio in base ai sintomi che vengono indotti sperimentalmente da quello o quell’altro principio attivo, somministrato secondo certe diluizioni e dinamizzazioni.
Chiedo scusa ai “veri” omeopati di questa mia sintesi, ma non ho certo l’obiettivo di illustrare in due pagine l’omeopatia o le altre medicine non convenzionali, di sostenerne la validità scientifica o meno, ma volevo esporre alcune mie riflessioni di ordine generale per poi confrontarle con chi ne è interessato.
Da uomo e da medico ho sempre evitato di esprimere giudizi di condanna su ciò che non conosco. Potremmo discutere e dissertare una vita sulla memoria dell’acqua, sull’influenza dei campi magnetici, sulla potenza della suggestione e del placebo senza arrivare mai ad una conclusione, d’altronde sono perfettamente d’accordo con Thomas Kuhn e con il principio della incommensurabilità delle teorie, quando affermano che è  impossibile confrontare teorie se queste non si basano su di un comune riferimento concettuale,  dal momento che il significato delle affermazioni varia con il variare del contesto nel quale sono inserite. Come potremmo mai  far dialogare il metodo positivista della medicina sperimentale di Claude Bernard con Vata, Pitta e Kapha vale a dire i tre dosha (energie vitali) dell’Ayurveda? Quale confronto possibile fra un antidepressivo inibitore della ricaptazione  della serotonina e il fiore di Bach agrimony? Mi sembra giusto a questo punto ricordare come le lezioni più noiose e penose che mi sia sorbito siano state quelle in cui i docenti pretendevano di dimostrare la scientificità della psicoterapia prima e dell’omeopatia dopo. Non c’è niente da fare, a mio giudizio, i paradigmi sono diversi, i criteri e le ipotesi di partenza sono diverse, impossibile la conciliazione: come si fa a parlare in maniera scientifica dell’Es di Freud o dell’archetipo di Jung? Come è possibile parlare di principio attivo, secondo la farmacologia  scientifica, quando un rimedio omeopatico può essere somministrato ad una diluizione tale che non lascia traccia di sé ad un’analisi chimica? Come comportarsi allora, che fare? Io faccio così. Per quello che mi riguarda, non parlo assolutamente di medicina alternativa, ma di medicina complementare o integrata; non mi sognerei mai di sospendere l’insulina ad un diabetico o di non spedire un
paziente dal chirurgo  nel sospetto di un addome acuto, ma lasciando questi casi limite, in mille altre situazioni non ho nessuna difficoltà o remora mentale a prescrivere rimedi omeopatici od omotossicologici se i miei pazienti lo desiderano. I risultati ci sono, non chiedetemi il perché, ma ci sono.
Tutti ci domandiamo come mai la medicina alternativa abbia tanto consenso tra la gente comune  e come mai si stia diffondendo nonostante alla medicina ufficiale vengano richieste sempre più le  prove di efficacia e sempre più dei lavori condotti in maniera rigorosa? Senza dubbio una risposta viene dal fatto che “noi “medici scientifici abbiamo abbandonato degli spazi che la medicina non convenzionale ha di fatto mantenuto. Forse più che di spazi conviene parlare di dimensioni, anzi, di quella dimensione terapeutica che permette lo svolgimento della terapia stessa ancor prima di considerarne l’ efficacia, mi riferisco alla dimensione relazionale e quella simbolica. Il prendersi cura  nel senso etimologico della parola, la capacità di ascolto, la comprensione olistica del paziente sono già terapia e certe ritualità, basti pensare alle succussioni, rimandano a certi vissuti ancestrali e a certi spazi simbolici che sono dentro ognuno di noi. Permettetemi poi, prima di chiedere perdono del mio peccato di eresia nei confronti sia della medicina scientifica sia della medicina alternativa, di rivisitare alcuni concetti dell’epistemologia “moderna” e precisamente del filosofo della scienza cui mi sento particolarmente vicino :Paul Feyrabend. Non esiste un metodo scientifico universalmente valido, atemporale ed apodittico. Nella realtà assistiamo di fatto ad un’anarchia metodologica in quanto  la scienza procede e va avanti utilizzando tutto quello che crede più opportuno anche le pratiche più diverse ed in conflitto teorico fra di loro. “Qualsiasi cosa va bene, l’importante che funzioni”.  E’ inutile cercare una logica sui modi in cui la scienza progredisce, una sua storia, la storia della scienza in quanto “ la storia della scienza è un aspetto di quella storia più grande che è la storia umana, la quale non ha una logica propria, perché ha sempre utilizzato e continua ad utilizzare qualsiasi ingegnosità e qualsiasi follia dell’uomo”.




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