Il verbo divulgare ha per i più un significato
positivo: diffondere, far conoscere ad una vasta utenza nozioni e teorie che
sarebbero altrimenti dominio di una ristretta cerchia di specialisti. Senza
addentrarci in considerazioni di profonda semantica, facendo magari riferimento
all'etimologia, vediamo che divulgare
deriva dal latino dis-”da diverse
parti” e vulgare "diffondere, spargere alle moltitudini ", da vulgus" gente
comune, volgo” e da qui forse qualcuno potrebbe adombrare che non tutto sia
propriamente positivo, ma che ci possano essere anche delle criticità e degli
aspetti problematici. Premetto che non è mia intenzione, non
sarebbe tra l'altro nelle mie possibilità, affrontare l'argomento in maniera
esaustiva o arrivare a delle conclusioni, intendo invece aprire un dibattito ed
un confronto all'interno della nostra
professione, partendo come è mia abitdine,
dalla mia esperienza personale.
Due anni or sono la mia società
scientifica di cui ero presidente per la provincia di Perugia, insieme alla
Croce Rossa Italiana, organizzò a livello nazionale un fine settimana per promuovere e divulgare
la cultura della prevenzione del rischio
cardiovascolare: in quasi tutte le più importanti piazze d'Italia in una o più
autoambulanze, crocerossine e medici di famiglia avrebbero distribuito materiale
informativo ed intervistato i passanti, rilevato il peso, l'altezza e i valori
della pressione arteriosa e, quelli che accettavano, sarebbero stati punti per
un prelievo capillare per la determinazione all'istante di glicemia e
colesterolo totale per mezzo di un fotometro. Il reclutamento dei colleghi fu lavoro
improbo e dispendioso. A differenza infatti di un ospedale o di una clinica universitaria in cui una
volta che il primario ha deciso scatta un meccanismo gerarchicamente organizzato
per cui è cosa fatta, nel territorio è tutt'altra musica. Quanti messaggi di
posta elettronica ho inviato, quante ore ho passato al telefono per
sollecitare, convincere, trovare adesioni facendo leva maggiormente sul
rapporto personale che altro: chiedere di sacrificare il proprio tempo libero
probabilmente è oggi la richiesta più onerosa che possa essere fatta a un
medico. Alla fine però la spuntai, trovai un numero sufficiente di colleghi
che, ruotando in turni, avrebbero garantito
il presidio del centro operativo dell'evento e fu così che ci trovammo
all'inizio di una gelida mattinata di febbraio in Piazza della Repubblica a
Perugia davanti ad un ambulatorio mobile della Croce Rossa Italiana. Si
cominciò subito male, il Comune infatti non aveva rilasciato in tempo il
permesso di occupazione di suolo pubblico, per cui dopo una trattativa
concitata con gli ufficiali della polizia municipale riuscimmo ad ottenere solo
un'autorizzazione per sosta prolungata
come per scarico merci, senza la possibilità quindi di poter aprire la
tensostruttura a veranda facente parte dell'ambulatorio su ruote. Questo influì
molto negativamente sullo svolgimento dell'evento, in quanto tutta la logistica venne rivoluzionata:
spazio coperto ridotto al minimo, l'interno dell'autoambulanza riservato
ovviamente alle signore della Croce Rossa che con quella divisa, a metà strada
fra la suora e l'infermiera, non avrebbero potuto resistere alla fredda
tramontana che batteva Corso Vannucci in quel sabato mattina, quella
tramontanina che noi Perugini DOC impariamo a rispettare sin dalla nostra
infanzia. Alla fine, comunque, verso le ore nove l'evento iniziò: dentro le
crocerossine a misurare, pesare e pungere, fuori noi medici di famiglia ad
intervistare, motivare e convincere i passanti attirati dal volantino
distribuito dai volontari della Croce Rossa. Questi ultimi erano tre o quattro
marcantoni vestiti con tute sfavillanti che con fare fiero e sapiente facevano
da apripista con il materiale cartaceo che indicava gli obbiettivi e i motivi
di quell'iniziativa.
Come nei film dell'orrore, dove appena
cala la notte sbucano da ogni dove strane creature fra lo zombi ed il vampiro per concentrarsi nei pressi di una
luce o di un qualcosa che li attira, così accadde che in poco più di un quarto d'ora venimmo
quasi accerchiati da un discreto numero di soggetti materializzati dai vicoli circostanti il Corso: barboni,
eroinomani, donne anziane abbrutite dall'alcool e altri esseri avvolti in sudice coperte di lana che
con grande sforzo potevano chiamarsi umani. Chi chiedeva un pasto caldo, chi un
cappotto, chi una giacca …...non nascondo che rimasi stupito nel vedere quello
spettacolo che mai pensavo avrei visto nella mia città, mi sentii anche molto
impotente e per certi aspetti anche fuori luogo dal momento che avrei dovuto
parlare dei rischi di una dieta ipercalorica e di tutte quelle problematiche
legate alla cosiddetta civiltà del benessere. Comunque sia, come alla svelta
erano arrivati, una volta capito che le loro aspettative non sarebbero state
soddisfatte, alla svelta delusi si ritirarono, mimetizzandosi nelle vie
traverse da dove erano partiti.Venne poi la volta dei titolari e dei dipendenti
delle attività commerciali del centro storico, arrivarono tutti quelli con
delle precise caratteristiche comuni: ultracinquantenni, con episodi coronarici
alla anamnesi o con storia di ipertensione arteriosa o diabete mellito. Tutti
di fretta, con poca voglia di
“chiacchierare”, ma con l'obiettivo di farsi misurare la pressione e la
glicemia e il colesterolo....... avere una seduta ambulatoriale al volo, comoda
e senza tanta fila, prima di iniziare a lavorare, non capita tutti i giorni.
Mentre questi non avevano tempo da perdere, tutta altra cosa fu con quelli che
vennero dopo: pensionati, giovani nulla
facenti, frequentatori abituali del
“passeggio” del Corso. Anche di costoro
arrivarono tutti quelli con delle caratteristiche comuni: tanto tempo a
disposizione, tanta voglia di parlare e
di tirare fuori le proprie ansie ed angosce, tanta solitudine da dover
riempire. Qui non ci furono problemi di reclutamento, si avvicinavano
spontaneamente, accaparravano tutto il materiale informativo possibile ed una
volta usciti dall'autoambulanza con il dito avvolto dal cotone idrofilo in
bell'evidenza ritornavano a commentare il risultato della glicemia o del
colesterolo. Era l'occasione per poter tirare fuori tutti i propri problemi di
salute presunti o veri, per potersi confrontare
con dei medici che non conoscendoti si relazionavano non in maniera
preconcetta, non ti liquidavano con la solita etichetta del depresso e
dell'ansioso.
In tarda mattinata cominciò l'affluenza variegata: la casalinga con le
borse della spesa che era interessata non tanto per se stessa quanto per il
marito,l'insegnante che da poco tempo era diventato iperteso,la signora con
lieve iperglicemia che era al centro per acquisti e così via......... si
avvicinarono senza dubbio quasi tutte le
categorie sociali e i livelli culturali, qualcuno, avendo letto nei giornali
dell'iniziativa, aveva con sé persino le “ analisi” fresche di laboratorio.
Quello che mi preme sottolineare è che
tutti quelli che si erano presentati
avevano comunque un problema di salute e la maggior parte faceva già
terapia, i soggetti, insomma, da
prevenzione vera, quasi nessuno. Si potrà ribattere che comunque è stata
un'esperienza valida:rafforzato il concetto sulla prevenzione secondaria,
pescati diversi pazienti al di fuori dei parametri di normalità, sensibilizzata
e rassicurata molta gente, bella figura della medicina di famiglia e della
Croce Rossa Italiana ed è da questa ultima affermazione che voglio proseguire.
All'inizio della mia attività
professionale, oramai fine anni 70, di Medicina si parlava quasi esclusivamente
fra gli addetti ai lavori e le esternazioni ai profani, anche se non veniva
detto, erano viste quasi” tradimento dei
chierici”, come se il parlare in pubblico di tali argomenti sminuisse il valore
del medico e della Medicina stessa.
Con il diffondersi della cultura di
massa, dello sviluppo dell'informazione e della comunicazione, della pletora medica e per tanti altri motivi, questa situazione
si è completamente ribaltata. Ogni quotidiano o rivista ha dedicato uno spazio
all'informazione sanitaria, rubriche televisive con argomento medico sono
spuntate come i funghi ed ogni capitolo, ma che dico, ogni pagina di
patologia ha la propria associazione di
pazienti che organizza avvenimenti,incontri ed iniziative sotto la regia più o meno occulta di
qualcuno.
Sono quindi nate le giornate dell'ipertensione
arteriosa, della fibrosi cistica, dell'osteoporosi e della cefalea e tante
altre; le giornate si sono trasformate in settimane passando dalla semplice
raccolta di fondi finalizzati all'assistenza ed alla ricerca a delle vere e
proprie maratone di tavole rotonde, conferenze, presentazione di libri e
periodici con tanto di rinfresco e punto di vista dell'eminenza clinica di
turno.
A questo punto penso sia legittimo
chiederci se tutte queste occasioni di divulgazione di argomenti medici siano
realmente utili alla popolazione, servano veramente a promuovere educazione
alla salute o tutto sommato realizzino altri obiettivi. Perdonatemi la malizia,
ma dietro a tanti buoni propositi spesso
si nascondono interessi commerciali di case farmaceutiche ed aziende
produttrici di ausili ed articoli legati alle malattie, mania di protagonismo
di giornalisti e clinici, modalità autoreferenziale di questa o quella
disciplina medica. E' questo il modo di promuovere la salute dei cittadini? Il
motto che tutto fa spettacolo deve valere anche in sanità?Parliamone insieme.
ottimo
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