mercoledì 19 giugno 2013

IL NOSTRO...BURNOUT.Editoriale del Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia n2/2009


Dottore! sono oramai cinque giorni che sento un dolore sulla fronte ...”. “dottore! ieri ho scoperto che mio marito ha il vizio del giuoco.....” . “ dottore hanno chiamato dalla radiologia dicendo che prima di domani neanche a parlarne...”. “ Ha telefonato il commercialista ......”. Penso che sia esperienza quotidiana di tutti noi il sentir ripetere affermazioni di tale tenore, magari fra uno squillo del cellulare e l’altro. Dapprima si risponde concentrati sull’interlocutore, poi, qualcuno con il passare del tempo perde la concentrazione; può succedere di ascoltare in maniera distratta. Anzi, quelle domande e quelle parole cominciano a risuonare come una cantilena ossessiva, a tratti fastidiosa e possono far venire alla mente pensieri strani: “ Chi è questo che mi sta parlando davanti? Ma che cosa vuole da me?..........” Può capitare allora di finire la seduta ambulatoriale o il turno all’ospedale con la testa o troppo piena o troppo vuota, di avere voglia di dormire, no!....Forse di fuggire. scusate i toni un po’ troppo intimistici, che forse potrebbero apparire fuori luogo in questo bollettino, ma io condivido con Binswanger l’opinione che si possa capire a fondo “l’altro da me” solo attraverso la comprensione della sua soggettività. Credo inoltre sia giunto il momento di affrontare il problema del burnout non come un capitolo di patologia di un tratta- to medico o una relazione di un convegno, come se si parlasse della displasia dell’anca o dell’anemia megaloblastica, ma di affrontarlo come un qualcosa di nostro, di una nostra parte....... il nostro burnout.
L’altro giorno ho chiesto a mio figlio, medico da poco più di un anno, che cosa pensasse della sindrome da burnout e lui dopo avermi guardato con un’espressione stupita mi ha risposto di ignorare completamente di che cosa stessi parlando. Mi sono guardato bene dal replicare, fra me e me ho pensato che era giusto che anche lui facesse la propria esperienza professionale..... Fa parte infatti della propria esperienza professionale il sentire quel fastidio che comincia ogni tanto a prenderti, lo senti crescere dentro di te, dapprima non sai che cosa sia, non riesci ad individuarlo. l’entusiasmo del lavoro, la sensazione di essere il deus ex machina per tanta gente fanno in mo- do di passarci sopra, poi qualche conto comincia a non tornare: un’incomprensione con un paziente, una diagnosi ignorata, la morte prematura di quella ragazza ed altri fatti ancora. l’entusiasmo cala, il senso d’inadeguatezza può arrivare e con esso l’insoddisfazione, l’idea di essere sfruttati e non ripagati nella giusta maniera.
Che si fa allora? Jean Paul Sartre dice: “Noi siamo le nostre scelte”ed infatti qualcuno “sceglie”di passare in un comportamento aggressivo, di contestazione di tut- to e di tutti; altri, da questa fase calda, “scelgono”di passare ad una fase fredda, in cui l’indifferenza e il distacco affettivo ed emotivo regnano sovrani. Certo che Sartre fa presto a parlare di scelte che condizionano l’esistenza, ma quante volte queste scelte sono consapevoli? Quante volte al contrario è il caso, il contesto, qualcuno lo chiama inconscio che determina la scelta? Non è semplice dare risposte. Quello che mi preme è di rendere reale, concreta e tangibile la sindrome da burnout. Avrei potuto parlare in termini asettici di esito patologico di processo stressogeno che colpisce i soggetti che esercitano una professione d’aiuto. Mi sarei potuto soffermare sulle quattro fasi, iniziando con l’entusiasmo idealistico per arrivare all’apatia passando per la stagnazione e la frustrazione, ma credo di averle illustrate in maniera adeguata non come concetti o categorie nosografiche, ma come categorie esistenziali.
Quanti sono i colleghi con questa problematica? A mio giudizio tanti. lo si capisce dal tipo di discorsi che vengono fuori ogni qualvolta ci si incontra: la lamentazione continua, l’insofferenza riferita verso i pazienti e verso qualsiasi istituzione ed innovazione, l’ossessivo conto alla rovescia per il pensionamento, oppure il disertare in maniera sistematica qualsiasi momento relazionale fra colleghi.
A questo punto ovviamente si impongono delle risposte, anche se ho detto prima che non è semplice, la mia idea è quella di provare ad affrontare il problema in maniera concreta. Prima di tutto conviene, sotto l’egida ed il sostegno dell’ordine dei Medici, dar vita ad un gruppo di studio di addetti ai lavori per una ricognizione ed un progetto operativo. la ricognizione serve per valutare quante risorse umane ed economiche occorrono, per stabilire quali canali culturali e istituzionali vanno percorsi, quale strategia adottare per la prevenzio- ne e la terapia. Po si vedrà.
Per il momento faccio appello a chi ha esperienza e si sente in grado di dare un contributo a tal proposito, di mandarmi per posta elettronica la propria disponibilità e relativi recapiti. vediamo di costituire questo gruppo operativo. sono graditi anche commenti e valutazioni in me- rito a tale iniziativa.

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