Caro Giulietto,
penso che sia capitato anche a te , magari dopo aver
trascorso una giornata di lavoro in maniera frenetica, di rincasare e trovare
la casa vuota. I figli chissà dove, la consorte dalla sorella, te lo aveva
detto ma lo avevi dimenticato, cena
fredda sul tavolo con il bigliettino accanto con le sue raccomandazioni di
rito. Mangi in maniera quasi automatica
e per non rovinare il silenzio inusuale, una volta tanto eviti di accendere il
televisore che oramai fa da sottofondo alle nostre scene domestiche. Ti siedi
in poltrona con l’obiettivo di rilassarti, ma ecco che nella mente cominciano a
formalizzarsi delle immagini che impediscono il rilassamento, di solito sono
fatti accaduti durante il giorno che sta volgendo al termine, altre volte sono episodi
lontani, volti conosciuti, anche familiari un tempo, ma che oramai fanno parte
della nostra storia.
Chissà perché, ieri sera, mi sei tornato in mente tu. Come
in un film che guarda a ritroso, mi sono rivisto giovane, appena laureato
dentro il tuo ambulatorio che mi davi le istruzioni , come veramente è
accaduto, per la “sostituzione” che avrei dovuto farti lì a pochi giorni.
“ Vedi Tiziano, la medicina di famiglia è molto diversa da
quella ospedaliera, qui non abbiamo a che fare con le malattie, ma con persone
che possono anche essere malate”.
Allora mi sfuggiva il vero significato di questa
affermazione, ma senza che me ne rendessi conto mi avevi trasmesso l’essenza
della medicina generale: non numeri di letto, non casi clinici, non malati
anonimi, ma persone vere con la propria vita, il proprio volto e la nostra
storia in comune. Mi ricordo come
nel congedarmi, mi dicesti anche :”Ecco la burocrazia “ e mi affibbiasti un
pesante pacco con i ricettari, uno per Cassa Mutua come si faceva allora; un ricettario
per l’INAM, uno per l’ENPAS………mia avevi già trasmesso anche l’altra faccia
della Medicina Generale: il fardello burocratico.
Questo episodio che ieri sera si è riaffacciato alla memoria
ha evocato immagini e ricordi a cascata:
il tuo aspetto all’apparenza burbero, la tua camminata lievemente zoppicante, i
tuoi occhi che da dietro le immancabili lenti non capivi mai se ti
rimproveravano o ti prendevano in giro. Quante volte dopo cena ,alla fine della
mia giornata, mentre mi recavo al bar Mokambo di via dei Filosofi per
incontrare gli amici, ti vedevo uscire da casa con la borsa da medico che
andavi per le ultime visite domiciliari. Quante volte, uscendo dal tuo studio
dove avevo appena ultimato la mia seduta ambulatoriale contavo oltre venti clienti
che stavano impassibili, senza segni di insofferenza ad aspettarti, mentre
avrebbero potuto tranquillamente venire da me senza code ed attese. Non
nascondo che questa “fede” nei tuoi confronti da qualche parte mi disturbava,
mi dava fastidio, ma ero troppo giovane per capire ed i giovani si sa, sono
sempre impazienti, hanno sempre fretta di arrivare.
“ La fiducia della gente si guadagna lentamente, giorno dopo
giorno” mi ripetevi” Stai tranquillo che per come ti vedo, non ti manca niente
per fare la tua carriera, soprattutto se imparerai a metterti nei panni di chi
ti sta davanti”. “ Ricordati che con il tempo i pazienti ti racconteranno tutto
di loro, ti sbatteranno in faccia le loro situazioni talora paradossali,
incomprensibili da capire usando i tuoi parametri mentali di persona razionale
e normale. Non ti permettere mai di giudicarli, non dare risposte in quanto non
ne vogliono….”.
Queste affermazioni che oggi
definisco empatia, terapia centrata sul cliente di tipo Rogersiano a te venivano naturali, erano modalità
operative innate e spontanee.
Quando ci incontravamo, spesso, ti facevo il resoconto delle
visite effettuate: i miei sospetti diagnostici, le mie terapie e tu, con
quell’ironia di cui eri capace, commentavi sempre in maniera quasi goliardica
in modo tale che anche le rare disapprovazioni erano risolte in maniera bonaria
e senza colpevolizzare.
Era logica che la differenza di età, la diversa esperienza
formativa ogni tanto facesse capolino, pertanto qualche diversità operativa
emergeva: un maggiore ricorso alla tecnologia diagnostica da parte mia, diversa
opinione sulla terapia farmacologica, una mia maggiore richiesta di consulenza
specialistica, ma mai queste diverse valutazioni hanno costituito occasione per
diverbi o contrapposizioni. A differenza, infatti, di molte altre “associazioni
fra medico ultra massimalista e medico giovane per il rientro nei massimali “
non si è consumata nessuna grave difficoltà di rapporto; ognuno nella propria
specificità e perché no, anche ognuno curando i propri legittimi interessi, la
nostra associazione è andata avanti nel rispetto e nella comprensione reciproca
e quando è arrivato il momento in cui le nostre strade si sono separate, tutto
è avvenuto senza particolari traumi o disappunto.
Mi ricordo anche le occasioni in cui ci si vedeva al di
fuori del lavoro. Sapessi, quanto mi rendeva orgoglioso l’essere ammesso nel
“tuo salotto” a chiacchierare alla pari con i tuoi amici: il professor Angeli,
primario ginecologo d’Assisi, il dottor Migni, responsabile del laboratorio
analisi di Foligno, il dottor Radicchia, psichiatra dell’SPDC ed altri. Mi
sovvengono le tue battute, il tuo modo ironico e scanzonato di affrontare gli
argomenti, anche quelli con contenuto serio e drammatico e soprattutto la tua
calma. “ Che ci posso fare se sono innamorato del mio lavoro?” Mi dicevi quando
ti chiedevo se non avevi le tasche piene di correre per la città dietro alle
malattie della gente. “Se trovi la voglia ed il tempo di ascoltarli, i pazienti
la diagnosi te la servono sul piatto d’argento, la visita e l’esame obiettivo
il più delle volte servono per una conferma dell’idea che ti sei fatto” . Sono
queste le parole che mi sono rimaste
dentro e che mi hanno accompagnato e mi accompagnano nella mia attività e mi
vergogno di me stesso perché sino ad ora non ho mai trovato l’occasione per
ringraziarti di tutto dal profondo. Forse per distrazione? Forse per una mia
inconscia supponenza? Forse perché da perugino verace sono un po’ orso e poco
abituato ai convenevoli? Non lo so. Provo a rimediare ora: grazie Giulietto.
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