Dottore!
sono oramai cinque giorni che sento un dolore sulla fronte ...”. “dottore! ieri
ho scoperto che mio marito ha il vizio del giuoco.....” . “ dottore hanno
chiamato dalla radiologia dicendo che prima di domani neanche a parlarne...”. “
Ha telefonato il commercialista ......”. Penso che sia esperienza quotidiana di
tutti noi il sentir ripetere affermazioni di tale tenore, magari fra uno
squillo del cellulare e l’altro. Dapprima si risponde concentrati
sull’interlocutore, poi, qualcuno con il passare del tempo perde la
concentrazione; può succedere di ascoltare in maniera distratta. Anzi, quelle
domande e quelle parole cominciano a risuonare come una cantilena ossessiva, a
tratti fastidiosa e possono far venire alla mente pensieri strani: “ Chi è
questo che mi sta parlando davanti? Ma che cosa vuole da me?..........” Può
capitare allora di finire la seduta ambulatoriale o il turno all’ospedale con
la testa o troppo piena o troppo vuota, di avere voglia di dormire,
no!....Forse di fuggire. scusate i toni un po’ troppo intimistici, che forse
potrebbero apparire fuori luogo in questo bollettino, ma io condivido con
Binswanger l’opinione che si possa capire a fondo “l’altro da me” solo
attraverso la comprensione della sua soggettività. Credo inoltre sia giunto il
momento di affrontare il problema del burnout non come un capitolo di patologia
di un tratta- to medico o una relazione di un convegno, come se si parlasse
della displasia dell’anca o dell’anemia megaloblastica, ma di affrontarlo come
un qualcosa di nostro, di una nostra parte....... il nostro burnout.
L’altro
giorno ho chiesto a mio figlio, medico da poco più di un anno, che cosa
pensasse della sindrome da burnout e lui dopo avermi guardato con
un’espressione stupita mi ha risposto di ignorare completamente di che cosa
stessi parlando. Mi sono guardato bene dal replicare, fra me e me ho pensato
che era giusto che anche lui facesse la propria esperienza professionale.....
Fa parte infatti della propria esperienza professionale il sentire quel
fastidio che comincia ogni tanto a prenderti, lo senti crescere dentro di te,
dapprima non sai che cosa sia, non riesci ad individuarlo. l’entusiasmo del
lavoro, la sensazione di essere il deus ex machina per tanta gente fanno
in mo- do di passarci sopra, poi qualche conto comincia a non tornare:
un’incomprensione con un paziente, una diagnosi ignorata, la morte prematura di
quella ragazza ed altri fatti ancora. l’entusiasmo cala, il senso
d’inadeguatezza può arrivare e con esso l’insoddisfazione, l’idea di essere
sfruttati e non ripagati nella giusta maniera.
Che
si fa allora? Jean Paul Sartre dice: “Noi siamo le nostre scelte”ed infatti
qualcuno “sceglie”di passare in un comportamento aggressivo, di contestazione
di tut- to e di tutti; altri, da questa fase calda, “scelgono”di passare ad una
fase fredda, in cui l’indifferenza e il distacco affettivo ed emotivo regnano
sovrani. Certo che Sartre fa presto a parlare di scelte che condizionano
l’esistenza, ma quante volte queste scelte sono consapevoli? Quante volte al
contrario è il caso, il contesto, qualcuno lo chiama inconscio che determina la
scelta? Non è semplice dare risposte. Quello che mi preme è di rendere reale,
concreta e tangibile la sindrome da burnout. Avrei potuto parlare in termini asettici
di esito patologico di processo stressogeno che colpisce i soggetti che
esercitano una professione d’aiuto. Mi sarei potuto soffermare sulle quattro
fasi, iniziando con l’entusiasmo idealistico per arrivare all’apatia passando
per la stagnazione e la frustrazione, ma credo di averle illustrate in maniera
adeguata non come concetti o categorie nosografiche, ma come categorie
esistenziali.
Quanti
sono i colleghi con questa problematica? A mio giudizio tanti. lo si capisce
dal tipo di discorsi che vengono fuori ogni qualvolta ci si incontra: la
lamentazione continua, l’insofferenza riferita verso i pazienti e verso
qualsiasi istituzione ed innovazione, l’ossessivo conto alla rovescia per il
pensionamento, oppure il disertare in maniera sistematica qualsiasi momento
relazionale fra colleghi.
A
questo punto ovviamente si impongono delle risposte, anche se ho detto prima
che non è semplice, la mia idea è quella di provare ad affrontare il problema
in maniera concreta. Prima di tutto conviene, sotto l’egida ed il sostegno
dell’ordine dei Medici, dar vita ad un gruppo di studio di addetti ai lavori
per una ricognizione ed un progetto operativo. la ricognizione serve per
valutare quante risorse umane ed economiche occorrono, per stabilire quali
canali culturali e istituzionali vanno percorsi, quale strategia adottare per
la prevenzio- ne e la terapia. Po si vedrà.
Per
il momento faccio appello a chi ha esperienza e si sente in grado di dare un
contributo a tal proposito, di mandarmi per posta elettronica la propria
disponibilità e relativi recapiti. vediamo di costituire questo gruppo
operativo. sono graditi anche commenti e valutazioni in me- rito a tale
iniziativa.
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