martedì 18 giugno 2013

LA SALUTE NULL'ALTRO E' CHE UN'IDEA Editoriale del Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia N.02/2012

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“ Voglio vivere ancora a lungo, perché vede dottore, nonostante tutto, io mi trovo ancora bene e la vita mi piace“…. Queste sono le parole che P.M. di 88 anni  mi ripete  ogni volta che vado nella sua casa a visitarla. Non ci sarebbe nulla di strano in queste affermazioni, se non fossero fatte da una donna costretta su una sedia  a rotelle da anni e che oramai passa quasi tutto il suo tempo a vedere la televisione e a contemplare il panorama che si apre davanti a lei ogni volta che si affaccia al proprio balcone. Questo è indubbiamente un panorama splendido, con monte Morcino in prima fila, Lacugnano, monte Malbe ed il Tezio in seconda, all’orizzonte il Trasimeno con dietro ergersi in maniera quasi sfumata le sagome del monte di Cetona e dell’Amiata. “ Quello che però non potrei accettare” aggiunge “ è la perdita della vista! Allora si che vorrei morire”.
 P.M fa parte di quella schiera di pazienti che, nonostante la malattia, nonostante la disabilità, nonostante il dolore fisico e morale che provano, riescono sempre a stupirti per come, tutto sommato, sono riusciti ad adattarsi alla propria condizione di malati. Chiamano il minimo indispensabile, sopportano tutto in maniera quasi stoica: difficilmente un lagno od un lamento, tutt’al più qualche sospiro accompagnato da espressioni come “ Ci vuole pazienza!”. Rifiutano terapie analgesiche potenti e cure che prevedano il dover “peregrinare” tra ambulatori ed ospedali, ma non stanno assolutamente ad aspettare in maniera passiva la morte in  quanto  vanno comunque avanti, a loro modo, ma vanno avanti. Si sono creati un loro mondo, un loro vissuto, come direbbero i fenomenologi, un mondo di non facile comprensione in quanto origina da una loro esperienza rielaborata dalla loro soggettività con una loro significanza, quindi, non con un significato uguale per tutti. C’è però molto da imparare da costoro e a ben riflettere indicano una strada, forse meglio dire la strada per la soluzione di molti problemi che stanno per travolgere i nostri sistemi sanitari. Mi spiego meglio. Se chiediamo, sempre a costoro, se si sentono in buona salute  il più delle volte rispondono in maniera positiva sul loro stato e pertanto senza rendersene conto hanno completamente stravolto il concetto di salute stesso.
Quest’ultimo cui ci si rifà di solito, è quello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stilato nell’ormai remoto 1948:” Non semplicemente l’assenza di malattie ed infermità, ma uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. Come è stato fatto notare nella Conferenza Internazionale ( Is health a state or an ability? Towards a dinamic concept of health) tenutasi a L’Aia nel dicembre 2009  questa definizione oramai ha perso il suo valore in quanto esprime un concetto statico del tutto improponibile in un mondo dove è diventato normalissimo invecchiare convivendo con le patologie croniche. Il seguitare, pertanto, a dare valore alla completa assenza di malattie significherebbe decretare la fine della sostenibilità dei nostri  servizi sanitari. Non verrebbe poi considerata la capacità di adattamento dell’essere umano nei confronti delle avversità della vita siano queste malattie, cataclismi naturali, guerre o disastri: tutta la storia dell’umanità è una testimonianza di ciò. Non verrebbe dato nemmeno il giusto valore alla capacità umana di sentirsi funzionale o di star bene anche con una malattia o con una disabilità. Ecco pertanto che occorre provare a ridefinire il concetto di salute, sempre secondo gli studiosi della conferenza olandese, spostandosi verso una concezione dinamica, basta sulla resilienza e sulla capacità di difendere, mantenere o recuperare il proprio equilibrio e senso di benessere. Salute quindi come capacità di adattarsi e autogestirsi.
Particolare importanza, quindi, al processo di resilienza che in psicologia viene individuata nella capacità degli uomini di affrontare le avversità della vita, di superarle venendone fuori rafforzati. Si tratta pertanto di un processo dinamico che parte da un nuovo modo di valutare il proprio concetto di sé, degli altri e del mondo che ti circonda. E’ un processo individuale, personale che scaturisce dalle proprie reazioni difronte agli eventi traumatici della vita e pertanto  un percorso che è valido per una persona potrebbe non esserlo per un'altra in quanto legato al proprio vissuto, alle proprie concezioni e alla propria cultura di riferimento. Grandissima importanza quindi al contesto globale, soprattutto culturale e sociale in cui l’individuo vive. Senza addentrarmi nei concetti di coping e salutogenesi  di Lazarus e di Antonovsky, ritengo utile indicare i passaggi che questi studiosi hanno sottolineato per vincere le avversità della vita, fronteggiandole (coping) e strutturando un senso di coerenza interiore (salutogenesi).
·      Realizzare una buona rete sociale che permetta il supporto ed il sostegno oltre che materiale anche emotivo e morale;
·      Riconoscere che il cambiamento è parte della vita per cui è impossibile pretendere che tutta rimanga immutabile secondo il  proprio volere;
·      Considerare una crisi come un’occasione di stimolo per reagire,  cercare di trovare dentro di sé le capacità per superarla;
·      Mettere in atto comportamenti di reazione ;
·      Sfruttare ogni possibilità per crescere e realizzarsi;
·      Trovare sempre uno spazio per coltivare i propri interessi.
Non so se tutti questi concetti abbiano interessato P.M. nella rielaborazione della sua disabilità, probabilmente in gran parte si: ha un figlio pronto a correre in suo aiuto in qualsiasi momento, trascorre ore a sentire musica e a guardare qualsiasi documentario televisivo sulle “ meraviglie della natura” come le chiama lei. Ricorda sempre come durante la guerra aveva dentro di sé la convinzione che ne sarebbe uscita indenne insieme a suo marito e che con l’aiuto di Dio avrebbe comunque realizzato la sua famiglia, la sua casa, la propria vita.
“Vede dottore” mi ha detto l’ultima volta” a me basta affacciarmi al balcone e, anche se le gambe non mi portano più da nessuna parte, sapesse quanto mondo vedo anche oltre l’orizzonte!”
Mentre mi allontanavo, riflettevo sulle sue parole. Sarà stata l’immaginazione che superava l’orizzonte, la capacità di poter comunque vedere oltre gli ostacoli e le barriere che mi è venuto in mente un poeta che di avversità e di problemi di salute ne ha avuti tanti, ma con la loro rielaborazione, anche se forse non ha realizzato una perfetta resilienza, ci ha donato però le più belle pagine della poesia italiana. Consentitemi di trascrivere per intero quella che senz’altro meglio delle mie parole indica come e  dove può arrivare “ il fingersi nel pensiero”.


L’infinito
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare»
(Giacomo Leopardi)

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