E’ da diverso tempo che mi
mette ansia dover incontrar colleghi, siano essi medici di medicina generale, ospedalieri,
funzionari di asl o liberi professionisti, in quanto oramai sono tutti accomunati da un unico
comportamento ed atteggiamento: il piagnisteo.
Questo interessa in maniera
trasversale ogni categoria medica, non risparmia nessun’età, non ha preferenza
fra maschi o femmine, fra realtà rurale o urbana o di posizione gerarchica.
Si lagna il primario, lo
specializzando, il massimalista, il generalista con pochi “mutuati”…..tutti,
tanto è vero che forzando la storia ho preferito parlare di muri e non di muro
del pianto, in quanto idealmente ogni categoria ne ha uno. Interessante, poi, è
il poter leggere i vari biglietti che vengono inseriti nelle fessure del muro
con le preghiere, le richieste e i desideri. Mi risulta che a Gerusalemme, la
raccolta di tali missive avviene due volte l’anno, ma noi lo facciamo quando
vogliamo, altrimenti come possiamo avere il polso della situazione? Ma quanti…!
Ci vorrebbe una vita per leggerli tutti. Prendiamone pertanto qualcuno a caso.
“ Onnipotente, sono un medico
di medicina generale massimalista da sempre. Sono quasi arrivato alla tanta
agognata pensione, ma purtroppo qualcuno sostiene che corro il rischio di non
poterla riscuotere. E’ da molto tempo che sono costretto a lavorare con un
“computer” e a far parte di una medicina di gruppo con altri tre colleghi che
non sopporto. Devo ricettare con parsimonia e non so mai quello che il
farmacista dispensa al mio paziente con la mia prescrizione. Devo tener conto
delle linee guida, dei processi di cura e fare l’audit, che è una specie di
pubblica confessione con ammissione dei propri peccati, per migliorare la mia
qualità professionale. Devo mediare le pretese dei pazienti, la saccenteria degli
specialisti, gli umori del terminalista CUP. Devo preoccuparmi dell’Agenzia
delle Entrate, del NAS, della privacy….insomma è diventato un inferno, ogni
mattina quando mi sveglio prego che arrivi presto la sera…..”.
“O mio Dio, sono un aiuto ospedaliero
da più di trenta anni. Non ho mai voluto tessere di partiti politici e pertanto
sono diventati primari colleghi molto più giovani e molto meno capaci di me.
Lavoro con dei ritmi assurdi perché fra raccomandati, colleghe in perenne
gravidanza e colleghi con distacco sindacale il servizio sarebbe sempre
scoperto. Gli infermieri pretendono di dettar legge, gli amministratori pensano
solo a risparmiare, i medici di base ci subissano di prestazioni inutili perché
sono buoni solo a scrivere e a far soldi, i pazienti sono sempre più esigenti e
pronti a denunciarti per ogni sciocchezza…… mi viene la nausea appena arrivo a
un paio di chilometri dall’ospedale”.
Se procediamo, con la lettura
di questi biglietti, vediamo che sono tutti dello stesso tenore: rimpianto per
un ipotetico periodo dell’oro oramai passato, insoddisfazione per il presente,
timore per il futuro, insomma, c’è di che fuggire o peggio di suicidarsi. Gli
unici che ridono sono quei pochi medici pensionati che fra libera professione
pura o loro riciclaggio in commissioni invalidi, direzioni sanitarie o
consulenze per enti pubblici o strutture private, in barba a tutte le
incompatibilità e la disoccupazione dei giovani, riescono ad arrotondare forse
in maniera cospicua, anche se dicono che lo fanno per non “arrugginirsi”.
E’ giustificato questo
piagnisteo e lamento cosmico? Probabilmente ha molte buone ragioni.
Non sono senz’altro
all’altezza di fare un’analisi scientifica sul perché e sul come la nostra
professione sia giunta a questo punto di sofferenza, ma tanto per iniziare è
sotto gli occhi di tutti dove sia arrivata
l’arroganza da rivalsa per l’ipotetica malasanità. Va da sé che
l’aumentato livello di scolarizzazione
della società, la facilità di accesso all’informazione, la possibilità di fare
il confronto con i servizi sanitari stranieri hanno reso meno autorevole la
nostra figura rispetto al passato. La globalizzazione, l’innalzamento della
vita media, l’aumento della patologia cronica ma soprattutto la diminuzione
delle risorse ha poi contribuito e contribuisce in maniera determinante a
modificare la nostra attività, il nostro ruolo, noi stessi. Che fare? Penso che
sia proprio impossibile avere ricette pronte e sicure, pertanto mi limiterò a
fare qualche considerazione di ordine generale ed ipotesi sul metodo.
Voglio evitare di proposito
di parlare delle responsabilità della politica e degli amministratori.
La demagogia, la
superficialità e il clientelismo sono sotto gli occhi di tutti. Quante scelte
secondo la logica del tornaconto personale al posto di quella del buon padre di famiglia? Quante situazioni
da violazione di norme sia da codice civile e penale? Qui possiamo reagire con
il voto, con la denuncia all’autorità giudiziaria se in possesso di prove, ma
dove possiamo agire da attori protagonisti? Dove possiamo essere catalizzatori
di un rinnovamento invece di perderci ed esaurirci nel piagnisteo e nel
rimpianto se non operando nella nostra possibilità di azione, lavorando nel
nostro versante?
La revisione della spesa
pubblica in corso da parte del governo Monti con tagli ed innovazioni sta
determinando di fatto un razionamento e concordo con Cartabellotta quando nel”
Sole 24 ore” del 10-16 luglio scrive”…nel processo di spending review è
inevitabile e indispensabile il coinvolgimento dei medici che non possono più
lamentarsi di tagli indiscriminati se non collaborano con la loro
professionalità a individuare e a contenere gli sprechi evitabili…”.
L’articolo prosegue con la necessità di un cambio di paradigma: dall’etica del
razionamento all’etica della riduzione degli sprechi, intendendo con questo
concetto la reale possibilità che tutti i tagli di risorse in sanità potrebbero
essere evitati se i medici operassero secondo i principi rigorosi della Medicina
basta sull’Evidenza:”…. Oggi il dibattito etico si può risolvere solo identificando come sprechi
tutti i costi sostenuti per interventi sanitari inefficaci e/o inappropriati
che, oltre a non determinare alcun beneficio, spesso causano eventi avversi che
generano altri costi. Infatti, le evidenze scientifiche dimostrano che questi
sprechi incidono almeno per il 30%...”.
Sarà sufficiente lavorare sotto i principi dell’EBM
per evitare il razionamento che tanta infelicità ci procura? Ho i miei dubbi. A
mio giudizio dovremo ulteriormente rimboccarci le maniche e cambiare molti
altri modelli culturali di riferimento. Concetti come sviluppare la resilienza
che ho affrontato nell’editoriale del bollettino precedente, potenziare la
prevenzione individuale attraverso il counselling
ed il colloquio motivazionale per un
intervento sugli stili di vita e realizzare un empowerment del paziente cronico dovranno costituire il nostro
agire quotidiano. Per empowerment
s’intende un’azione mutuata dalla psicologia: portare il malato a una
responsabilizzazione individuale che lo renda in grado di organizzarsi e
gestirsi secondo il proprio potenziale umano. Come sarà possibile, però, per
noi abituati a ragionare quasi esclusivamente in modo riduzionista, vale a dire
basandosi sullo studio analitico delle parti, riuscire in questo nuovo modo di
gestire la propria professione? Come riusciremo a passare ad un approccio di
tipo sistemico tenendo conto non più del singolo oggetto, ma delle sue
relazioni, del suo contesto di interconnessioni per cui ci dovremo interessare non
più di un corpo biologico, ma di una persona con tutti i suoi aspetti
biologici, mentali, sociali e culturali perché le risposte di questa persona
dipendono da tutti questi aspetti messi insiemi, mai disgiunti fra loro. Si
tratterà pertanto di un approccio multidimensionale dove dovremo lavorare
insieme agli altri operatori della salute, collaborare e favorire lo scambio di
informazioni, lavorare insomma in maniera integrata.
Processi
assistenziali, percorsi diagnostici e terapeutici basati non solo sulle
migliori evidenze scientifiche, ma che sappiano inserirsi nei diversi contesti
per arrivare all’obiettivo di una presa in carico reale e sistemica. Tutto
questo richiede multidisciplinarietà, punti di contatto intellettuale e
culturale ed un continuo dialogo fra scienze tecniche, umanistiche e sociali.
Allora
colleghi, asciughiamoci gli occhi, soffiamoci il naso e diventiamo propositivi.
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