mercoledì 19 giugno 2013

DIVULGAZIONE SCIENTIFICA A CARATTERE MEDICO: RIFLESSIONI DA UN'ESPERIENZA PERSONALE Editoriale del Bollettino Dell'Ordine dei Medici N.3-4/2010

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Il verbo divulgare ha per i più un significato positivo: diffondere, far conoscere ad una vasta utenza nozioni e teorie che sarebbero altrimenti dominio di una ristretta cerchia di specialisti. Senza addentrarci in considerazioni di profonda semantica, facendo magari riferimento all'etimologia,  vediamo che divulgare deriva dal latino  dis-”da diverse parti” e vulgare "diffondere, spargere alle moltitudini ", da vulgus" gente comune, volgo” e da qui forse qualcuno potrebbe adombrare che non tutto sia propriamente positivo, ma che ci possano essere anche delle criticità e degli aspetti problematici. Premetto che non è mia intenzione, non sarebbe tra l'altro nelle mie possibilità, affrontare l'argomento in maniera esaustiva o arrivare a delle conclusioni, intendo invece aprire un dibattito ed un confronto  all'interno della nostra professione, partendo come è mia abitdine,  dalla mia esperienza personale.
Due anni or sono la mia società scientifica di cui ero presidente per la provincia di Perugia, insieme alla Croce Rossa Italiana, organizzò a livello nazionale  un fine settimana per promuovere e divulgare la cultura della  prevenzione del rischio cardiovascolare: in quasi tutte le più importanti piazze d'Italia in una o più autoambulanze, crocerossine e medici di famiglia avrebbero distribuito materiale informativo ed intervistato i passanti, rilevato il peso, l'altezza e i valori della pressione arteriosa e, quelli che accettavano, sarebbero stati punti per un prelievo capillare per la determinazione all'istante di glicemia e colesterolo totale per mezzo di un fotometro. Il reclutamento dei colleghi fu lavoro improbo e dispendioso. A differenza infatti di un ospedale  o di una clinica universitaria in cui una volta che il primario ha deciso scatta un meccanismo gerarchicamente organizzato per cui è cosa fatta, nel territorio è tutt'altra musica. Quanti messaggi di posta elettronica ho inviato, quante ore ho passato al telefono per sollecitare, convincere, trovare adesioni facendo leva maggiormente sul rapporto personale che altro: chiedere di sacrificare il proprio tempo libero probabilmente è oggi la richiesta più onerosa che possa essere fatta a un medico. Alla fine però la spuntai, trovai un numero sufficiente di colleghi che, ruotando in turni, avrebbero garantito   il presidio del centro operativo dell'evento e fu così che ci trovammo all'inizio di una gelida mattinata di febbraio in Piazza della Repubblica a Perugia davanti ad un ambulatorio mobile della Croce Rossa Italiana. Si cominciò subito male, il Comune infatti non aveva rilasciato in tempo il permesso di occupazione di suolo pubblico, per cui dopo una trattativa concitata con gli ufficiali della polizia municipale riuscimmo ad ottenere solo un'autorizzazione per  sosta prolungata come per scarico merci, senza la possibilità quindi di poter aprire la tensostruttura a veranda facente parte dell'ambulatorio su ruote. Questo influì molto negativamente sullo svolgimento dell'evento, in quanto  tutta la logistica venne rivoluzionata: spazio coperto ridotto al minimo, l'interno dell'autoambulanza riservato ovviamente alle signore della Croce Rossa che con quella divisa, a metà strada fra la suora e l'infermiera, non avrebbero potuto resistere alla fredda tramontana che batteva Corso Vannucci in quel sabato mattina, quella tramontanina che  noi Perugini DOC      impariamo a rispettare sin dalla nostra infanzia. Alla fine, comunque, verso le ore nove l'evento iniziò: dentro le crocerossine a misurare, pesare e pungere, fuori noi medici di famiglia ad intervistare, motivare e convincere i passanti attirati dal volantino distribuito dai volontari della Croce Rossa. Questi ultimi erano tre o quattro marcantoni vestiti con tute sfavillanti che con fare fiero e sapiente facevano da apripista con il materiale cartaceo che indicava gli obbiettivi e i motivi di quell'iniziativa.
Come nei film dell'orrore, dove appena cala la notte sbucano da ogni dove strane creature  fra lo zombi ed il  vampiro per concentrarsi nei pressi di una luce o di un qualcosa che li attira, così accadde che    in poco più di un quarto d'ora venimmo quasi accerchiati da  un  discreto numero di soggetti  materializzati  dai vicoli circostanti il Corso: barboni, eroinomani, donne anziane abbrutite dall'alcool e altri  esseri avvolti in sudice coperte di lana che con grande sforzo potevano chiamarsi umani. Chi chiedeva un pasto caldo, chi un cappotto, chi una giacca …...non nascondo che rimasi stupito nel vedere quello spettacolo che mai pensavo avrei visto nella mia città, mi sentii anche molto impotente e per certi aspetti anche fuori luogo dal momento che avrei dovuto parlare dei rischi di una dieta ipercalorica e di tutte quelle problematiche legate alla cosiddetta civiltà del benessere. Comunque sia, come alla svelta erano arrivati, una volta capito che le loro aspettative non sarebbero state soddisfatte, alla svelta delusi si ritirarono, mimetizzandosi nelle vie traverse da dove erano partiti.Venne poi la volta dei titolari e dei dipendenti delle attività commerciali del centro storico, arrivarono tutti quelli con delle precise caratteristiche comuni: ultracinquantenni, con episodi coronarici alla anamnesi o con storia di ipertensione arteriosa o diabete mellito. Tutti di fretta, con  poca voglia di “chiacchierare”, ma con l'obiettivo di farsi misurare la pressione e la glicemia e il colesterolo....... avere una seduta ambulatoriale al volo, comoda e senza tanta fila, prima di iniziare a lavorare, non capita tutti i giorni. Mentre questi non avevano tempo da perdere, tutta altra cosa fu con quelli che vennero dopo: pensionati,  giovani nulla facenti,  frequentatori abituali del “passeggio” del Corso. Anche di costoro  arrivarono tutti quelli con delle caratteristiche comuni: tanto tempo a disposizione, tanta  voglia di parlare e di tirare fuori le proprie ansie ed angosce, tanta solitudine da dover riempire. Qui non ci furono problemi di reclutamento, si avvicinavano spontaneamente, accaparravano tutto il materiale informativo possibile ed una volta usciti dall'autoambulanza con il dito avvolto dal cotone idrofilo in bell'evidenza ritornavano a commentare il risultato della glicemia o del colesterolo. Era l'occasione per poter tirare fuori tutti i propri problemi di salute presunti o veri, per potersi confrontare  con dei medici che non conoscendoti si relazionavano non in maniera preconcetta, non ti liquidavano con la solita etichetta del depresso e dell'ansioso.
 In tarda mattinata cominciò  l'affluenza variegata: la casalinga con le borse della spesa che era interessata non tanto per se stessa quanto per il marito,l'insegnante che da poco tempo era diventato iperteso,la signora con lieve iperglicemia che era al centro per acquisti e così via......... si avvicinarono  senza dubbio quasi tutte le categorie sociali e i livelli culturali, qualcuno, avendo letto nei giornali dell'iniziativa, aveva con sé persino le “ analisi” fresche di laboratorio.
Quello che mi preme sottolineare è che tutti quelli che si erano presentati  avevano comunque un problema di salute e la maggior parte faceva già terapia, i soggetti, insomma,  da prevenzione vera, quasi nessuno. Si potrà ribattere che comunque è stata un'esperienza valida:rafforzato il concetto sulla prevenzione secondaria, pescati diversi pazienti al di fuori dei parametri di normalità, sensibilizzata e rassicurata molta gente, bella figura della medicina di famiglia e della Croce Rossa Italiana ed è da questa ultima affermazione che voglio proseguire.
All'inizio della mia attività professionale, oramai fine anni 70, di Medicina si parlava quasi esclusivamente fra gli addetti ai lavori e le esternazioni ai profani, anche se non veniva detto, erano  viste quasi” tradimento dei chierici”, come se il parlare in pubblico di tali argomenti sminuisse il valore del medico e della Medicina stessa.
Con il diffondersi della cultura di massa, dello sviluppo dell'informazione e della comunicazione, della pletora medica  e per tanti altri motivi, questa situazione si è completamente ribaltata. Ogni quotidiano o rivista ha dedicato uno spazio all'informazione sanitaria, rubriche televisive con argomento medico sono spuntate come i funghi ed ogni capitolo, ma che dico, ogni pagina di patologia  ha la propria associazione di pazienti che organizza avvenimenti,incontri ed iniziative  sotto la regia più o meno occulta di qualcuno.
Sono quindi nate le giornate dell'ipertensione arteriosa, della fibrosi cistica, dell'osteoporosi e della cefalea e tante altre; le giornate si sono trasformate in settimane passando dalla semplice raccolta di fondi finalizzati all'assistenza ed alla ricerca a delle vere e proprie maratone di tavole rotonde, conferenze, presentazione di libri e periodici con tanto di rinfresco e punto di vista dell'eminenza clinica di turno.
A questo punto penso sia legittimo chiederci se tutte queste occasioni di divulgazione di argomenti medici siano realmente utili alla popolazione, servano veramente a promuovere educazione alla salute o tutto sommato realizzino altri obiettivi. Perdonatemi la malizia, ma dietro a tanti buoni propositi  spesso si nascondono interessi commerciali di case farmaceutiche ed aziende produttrici di ausili ed articoli legati alle malattie, mania di protagonismo di giornalisti e clinici, modalità autoreferenziale di questa o quella disciplina medica. E' questo il modo di promuovere la salute dei cittadini? Il motto che tutto fa spettacolo deve valere anche in sanità?Parliamone insieme.


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