Non è certo facile trovare il
giusto equilibrio per ricordare la figura di Domenico.
Le sue doti, il suo valore,
il suo livello professionale e di umanità
erano tali che ogni descrizione, ogni valutazione corre il rischio di
essere approssimativa e di far torto a quello che Lui veramente era. Non spetta
a me, certo, parlare di Domenico come medico del pronto soccorso… Sicuramente i
colleghi che condividevano lo stesso ruolo e lavoravano a fianco a fianco con
Lui potranno essere molto più esaurienti, comunque, le testimonianze su quello
che faceva sono moltissime e tutte quante concordano nel descriverlo come un
medico abilissimo dal punto di vista clinico e che “ ci metteva tutta” l’anima
e l’umana disponibilità nel prendersi cura dei pazienti. Sempre preciso e
sempre al corrente di tutto. Nessuna legge o leggina che riguardasse l’attività
sanitaria gli sfuggiva, per non parlare poi della competenza informatica!
Credo di non essere smentito
da nessuno nell’affermare che l’informatizzazione dell’attività del pronto
soccorso del policlinico di Perugia sia in gran parte merito suo.
A me piace commemorarlo,
però, ricordando un episodio della nostra storia professionale avvenuto nella
prima metà degli anni ottanta, non ricordo l’anno preciso. A quei tempi
l’assistenza domiciliare integrata, la terapia palliativa erano dei concetti di
là da venire ed ogni medico di famiglia si ingegnava e si organizzava come
meglio credeva. I pazienti in fase terminale erano gestiti il più delle volte
in proprio, con l’aiuto di infermieri “privati” che seguivano le nostre
istruzioni. I ricoveri in ospedale venivano attivati, come ancora oggi può
succedere, per “far riprendere fiato” alla famiglia del malato ed anche a noi
stessi. Il presidio terapeutico che andava per la maggiore era l’infusione di
liquidi per fleboclisi che era praticata in maniera molto disinvolta, con
un’evidente funzione più antropologica che medica e capitava spesso di arrivare
al capezzale del morente insieme al sacerdote: io somministravo il mio viatico
e lui il suo. Per farla breve. I familiari di quella paziente non volevano
assolutamente ricoverarla in ospedale, ma insistevano nel fatto di dover far
comunque
“ qualcosa” anche se io
replicavo che oramai non era più possibile nemmeno reperire una vena e che anche l’infermiere più esperto aveva
negato il proprio intervento. Mi scappò detto che per infondere ancora liquidi
si doveva scoprire una vena con il bisturi, ma occorreva un chirurgo e andava
eseguito in ospedale. Non l’avessi mai fatto, fui aggredito dall’insistenza e
dalle suppliche della famiglia e, vuoi per la mia incapacità di allora a dire
di no o perché sotto sotto covava un mio narcisismo inconscio, ecco che
telefonai a quel “ gigante biondo” che mi aveva fatto conoscere da poco un
amico comune e che si era detto disponibile per prestazioni di piccola
chirurgia. Ci trovammo insieme a casa della paziente, dopo essersi lavati come
fanno i chirurghi ed avere indossato guanti e camici sterili, con tanto di mascherina
e cuffia, la vena venne abilmente preparata ed incannulata da catetere così da
poter infondere a volontà.
Mentre dismettevamo gli abiti
da” sala operatoria” ci venne chiesto l’importo dell’onorario e lui rispose:
“L’ho fatto solo per fare un favore ad un collega amico” e si congedò. Non
nascondo che mentre salivamo in automobile gli manifestai tutto il mio
disappunto: avevamo impiegato quasi un pomeriggio, avevamo anche speso soldi
per l’acquisto del catetere, del materiale da medicazione e poi eravamo dei
professionisti……..La sua risposta fu senza parole, solo un sorriso con quello
sguardo che può capire solo chi lo ha conosciuto e non ho parlato più.
Ogni persona ritorna in mente
con l’immagine di quello che lo ha caratterizzato e quando penso a Domenico mi si formalizza
sempre la stessa immagine: due occhi azzurri dallo sguardo triste. Caro Mimmo
come facevi ad essere così pacato e così discreto? Ti ho visto sempre
disponibile e pronto verso i pazienti, verso i colleghi, sempre equilibrato e
misurato anche nei momenti conviviali, quando molti di noi, me compreso,
perdevano i freni inibitori. Mai una volta ti ho visto inquieto, anche quando,
all’Ordine dei Medici di cui rivestivi la carica di presidente del collegio dei
revisori dei conti, in occasioni di confronto sulla politica professionale si
evidenziavano divergenze e disparità di opinione difficili da superare.
All’ultima riunione del
Consiglio dell’Ordine dei Medici, il posto alla mia sinistra che di solito tu
occupavi, all’inizio della seduta era rimasto vuoto in maniera quasi
imbarazzante. Nessuno aveva il coraggio di occuparlo come se tutti avessimo
saputo che sarebbe stato impossibile sostituirti ed all’unanimità e con gli
occhi lucidi si è deciso d’ora in avanti di dedicare alla tua memoria il premio
per la migliore tesi di laurea dell’anno.
Sguardo triste disarmante,
ecco come mi sei venuto subito in mente, quando sono stato informato del tuo
incidente e della tua morte e l’angoscia che stava montando si è paradossalmente
lenita nel vedere la tua splendida
famiglia: Adelaide tua moglie e i tuoi tre meravigliosi figli. Il vedere come
si comportavano, con quale coraggio e determinazione stavano affrontando quel
terribile momento è stato ed è di esempio per tutti noi. Che altro aggiungere?
Un po’ di silenzio, quel silenzio eloquente di cui il tuo sguardo era capace.
Chi eri.
Adelaide
Mi è
stato chiesto di raccontarti, sinteticamente dire chi eri.
Basterebbe
una parola nell’accezione più globale del termine: eri un uomo.
Un
uomo che si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1979, ha svolto l’attività
di volontario presso la clinica chirurgica di Terni con il professor Luigi
Moggi, ha conseguito la specializzazione in chirurgia generale, mantenendosi i
primi anni con il servizio festivo e notturno di guardia medica a Terni. Nel
1983 hai seguito un corso sulla diagnostica ad ultrasuoni per il sistema
vascolare negli Stati Uniti e sei poi stato assunto preso il Pronto soccorso di
Monteluce prima, continuando poi la tua opera nell’organizzazione della nuova
struttura del Santa Maria Della Misericordia.
Mi
piace ricordare che il nostro pronto soccorso sia stato fra i primi ad essere
informatizzato anche grazie alla tua opera;
attualmente eri dirigente medico responsabile dell’OBI.
Questa
però è solo una parte del tutto, costituito anche da un impegno sociale
costante: MEDICI PER CASO, CRI; dell’amore per la cultura, OICOS, associazione
filosofica nata a Bastia; per la natura, eri infatti un cacciatore, di quelli
che amano confrontarsi alla pari con gli animali.
Ma
soprattutto eri un marito, un padre, un figlio, un amico sempre sorridente e
disponibile.
Eri e
sei per tutti noi Mimmo.
Righe lette in occasione della S.Messa al primo anniversario della scomparsa
Mi corre
l’obbligo di onorare per prima cosa un dovere istituzionale, quello di portare
ad Adelaide e a tutti i familiari di Domenico i saluti e un messaggio di continua solidarietà da parte di
tutto il Consiglio dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia, di cui anche
Domenico faceva parte.
Poi volevo
parteciparvi alcune considerazioni e valutazioni partendo però un po’ da
lontano.
Quando si
commemora qualcuno, si tende di solito a fare una sintesi, una descrizione che
in maniera più o meno succinta riesca a cogliere l’essenziale positivo, le parti migliori di una vita. Perciò
solitamente si fa l’elenco di quelle caratteristiche che meglio, perdonatemi il
giuoco di parole, hanno caratterizzato in positivo quella persona. Pertanto per
Domenico gli attributi che necessariamente sono stati e vengono usati sono:
buono, preparato, profondo, umano, gentile, abile, buon padre, bravo marito e
potremo fare senz’altro un elenco lunghissimo. Ma saremmo esaustivi e completi?
Senza dubbio la risposta è no.
Oggi giorno
per descrivere un uomo, una persona, in maniera esauriente, non possiamo
limitarci ad una lista di aggettivi ed attributi, ad una descrizione cioè di
singole parti pretendendo poi in maniera riduzionista di raccontarlo tutto
per intero,
no, il discorso è senza dubbio molto più complesso. Per poterlo narrare si
dovranno descrivere tutte le interazioni,
tutte le relazioni che questo soggetto intratteneva, perché è oramai è
accettato in maniera quasi unanime che noi non esistiamo come enti autonomi,
distaccati dal contesto e dal mondo che ci circonda, ma siamo parte di una
realtà con cui interagiamo e che modifichiamo con la nostra relazione e a
nostra volta siamo modificati dalla realtà stessa. E’ una specie di meccanismo
tipo feed-back per cui siamo, per intenderci, contemporaneamente spettatori ed
attori. Che voglio dire con questo? E’ presto detto. Proviamo per qualche
attimo a riflettere su tutte le interazioni che aveva Domenico: la famiglia
d’origine, Adelaide, i figli, il Pronto Soccorso, i colleghi, gli amici, le
associazioni che frequentava, la comunità di Bastia stessa. Pensiamo come
Domenico abbia influito in queste realtà con la sua presenza ed il suo agire e,
cosa impossibile, però ci proviamo ugualmente, adesso pensiamo come se Domenico
non fosse mai nato, non fosse mai esistito, come sarebbero queste realtà e queste
persone…… ovviamente i figli non esisterebbero, ma come sarebbe Adelaide che
donna sarebbe? I suoi genitori? Come sarebbe il Pronto Soccorso dell’Ospedale
Silvestrini se Mimmo non vi avesse mai lavorato? come sarebbero i suoi
colleghi? Forse quanta gente non sarebbe più in vita perché non si sarebbe dato
l’intervento terapeutico efficace del dottor Tazza? Come sarebbe la comunità di
Bastia e come saremmo tutti noi, qui presenti se non avessimo mai interagito
con Domenico? Non ho ovviamente risposte da dare, ognuno ci pensi dentro di sé.
La conclusione che mi viene più spontanea in questo momento è quella che ho
adoperato nel bollettino dell’ordine dei medici . Che altro aggiungere? Un po’
di silenzio, quel silenzio eloquente di cui lo sguardo di Mimmo era capace.
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