mercoledì 19 giugno 2013

MEDICI SENZA SENSO? Editoriale del Bollettino dell'Ordine dei Medici della Provincia di Perugia N. 5-6/2010


Tutte le mattine dei giorni lavorativi mi sveglio alle 6,30 al suono del marimba del mio telefonino. Con un occhio aperto e uno ancora chiuso spengo la suoneria e, in maniera quasi automatica, apro la videata dell’agenda per fare una breve ricognizione mentale su quello che dovrò fare durante la giornata che sta iniziando. Abluzione, colazione, vestizione e poi via di corsa in automobile... lascio mia figlia davanti alla sua scuola e poi di corsa in ambulatorio.
Ricette, problemi di salute dei pazienti, certificati cartacei e telematici e ancora ricette.
Ascolto, visito, rassicuro, m’inquieto, rispondo al telefono, ascolto e ascolto.
Dopo l’ambulatorio, le visite domiciliari: ingorgo del traffico, niente parcheggio, suono il campanello, quinto piano senza ascensore, un po’ di febbre e tosse, ricetta e via……si va a pranzo.  Qualche minuto di “pennica” in poltrona e poi di nuovo via di corsa in automobile: altre visite domiciliari e poi alle 17,00 ancora ambulatorio con  visite, certificati e ancora ricette. Tutto scorre in maniera così veloce che non c’è mai tempo per pensare, per considerare su quello che si sta facendo, su quale senso abbia tutto questo, se era quello che volevo, quello per il quale tanto avevo investito e lottato. Mi viene facile il parallelismo con il paziente affetto da malattia di Alzheimer: colui che ha perso la propria storia e che non riconosce la propria strada e la propria direzione. Ogni tanto però, può capitare di poter riflettere, come è capitato in occasione della  tradizionale assemblea degli iscritti all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri che si è tenuta il 28 novembre u.s. presso la nuova sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia. La scelta di tale ubicazione è stata fatta essenzialmente per due motivi: uno, per far conoscere questa nuova struttura ai colleghi, due, per la necessità di poter disporre di una maggior capienza poiché nella stessa occasione si sarebbe celebrato il centenario della costituzione dell’Ordine dei Medici.
Nonostante la pioggia battente, l’aula era affollatissima, con le autorità e i 50enni di laurea in prima fila, i neo laureati e tanti altri colleghi dietro. Il nostro Presidente, impeccabile come sempre, ha illustrato l’attività del Consiglio dell’Ordine di quest’ultimo anno rilevando come le difficoltà e le criticità che stiamo  vivendo come nazione e società si riflettano ovviamente anche su di noi. Andando poi nel vivo della celebrazione del centenario si è passati alla proiezione del documentario: ” Professione medico, 100 anni di storia degli Ordini dei Medici”, il  documentario realizzato dalla Federazione Nazionale degli Ordini con la regia di Alessandro Varchetta e la consulenza storica di Giorgio Cosmacini e Maurizio Benato.
Non nascondo che mentre stava per iniziare la visione, ero convinto di dover trascorrere una mezz’ora piena di noia e di retorica: m’immaginavo una lista di dichiarazioni ampollose da parte dei dirigenti della FNOMCeO, qualche documento autocelebrativo e poco più, ma mi sbagliavo.
Tutto il documentario, infatti, è costituito dal montaggio di tanti spezzoni di filmati dell’archivio storico dell’Istituto Luce che fotografano in maniera realistica e talvolta quasi impietosa quella che è stata la condizione e la realtà dei nostri “padri”. Si parte subito con l’analisi della situazione sanitaria dell’Italia al momento della sua unificazione: la grande miseria di tutto popolo, il grande divario fra le condizioni della popolazione del nord con quella del sud, fra la gente di campagna e quella di città. L’assistenza medica, per la maggior parte degli italiani, era garantita da barbieri, cerusici improvvisati, dalle usanze e dalle credenze popolari di ciascun  territorio pertanto “……. a Milano ci si curava in un modo e a Napoli in un  altro…….”.
Si prosegue con riforma universitaria Casati che ha determinato il passaggio dell’istruzione
da un fatto privato o religioso a servizio pubblico, si va avanti poi con la figura di Cesare Lombroso sino alla nascita della Direzione generale di Sanità del 1888, emanazione del ministero dell’interno, che di fatto sancisce il passaggio dell’assistenza sanitaria ad una funzione anche questa pubblica. E’ di questo periodo l’istituzione del medico “condotto”, condotto perché trasportato e pagato dai comuni per assistere i poveri e i bisognosi. I problemi di salute che deve affrontare all’interno della propria comunità sono innumerevoli e riguardano molto spesso le condizioni igieniche generali ambientali e sociali, sulle quali  il nostro medico condotto può in teoria far molto, in quanto quasi sempre anche Ufficiale Sanitario, ma praticamente pochissimo può fare: come  è possibile, infatti, intervenire sullo stato di malnutrizione generale, sulla pellagra, sulla mancanza di fognature, sulla salubrità dell’edilizia scolastica o dell’ambiente di lavoro degli operai? Ed è nel vedere quelle condizioni di vita quasi disumane che ti senti prendere da quelle sensazioni interiori di difficile definizione: gli occhioni neri di un viso triste di un bambino, lo sguardo rassegnato di un vecchio, la miseria, la disperazione di chi ha fame sono immagini che evocano stupore, emozione e dolore. Si va avanti con la prima guerra mondiale e il ruolo essenziale che hanno avuto i nostri dottori. Il ventennio fascista che pur perdendosi tra retorica e propaganda, ha molto tutelato la maternità e l’infanzia e ha inferto discreti colpi alla malaria e alla tubercolosi. La seconda guerra mondiale, il periodo postbellico con la ricostruzione e lo sviluppo economico degli anni ’60, la crescita dell’Ospedale come centro di cura e diagnosi e lo spostamento a suo favore dell’asse di interesse e di investimento culturale ed economico. La medicina della mutua. La medicina tecnologica, la chimica farmaceutica, l’ingegneria applicata alla medicina e alla biologia…... viene in pratica ripercorsa tutta la storia dell’assistenza sanitaria italiana dalle origini sino ai giorni nostri, rilevando come dopo cento anni se pure in un contesto ed una cornice completamente diversi il medico ed il paziente provano alla fine lo stesso senso di smarrimento e di  preoccupazione.  Allora era la mancanza di mezzi e la scarsità delle informazioni, oggi paradossalmente è l’opposto: troppi mezzi che rimandano a una deriva tecnocratica e troppe informazioni che comportano il rischio di una medicalizzazione della società. Ecco quindi che quel volto di bambino sofferente d’inizio novecento assume le sembianze di un bambino di adesso, magari con un videogioco in mano, ma con gli stessi occhioni  tristi di un bimbo che soffre. La sofferenza, la rassegnazione, il dolore sono sempre gli stessi, non hanno una connotazione od una data, fanno parte della vita da sempre o forse sono la vita da sempre. E’ da quelle immagini, da quei filmati d’epoca che riprendono le azioni di un medico con il cilindro e i baffoni all’umbertina che ho rivisto ognuno di noi….. in quanto come diceva Benedetto Croce “…ogni storia è storia contemporanea, perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano , essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni….”( La storia come pensiero e come azione).
Sono convinto che quelle vibrazioni abbiano raggiunto tutta la platea, appena terminata, infatti, la proiezione del documentario, alcuni secondi di silenzio assoluto hanno fatto molto più rumore dell’applauso che è seguito; qualcuno aveva gli occhi lucidi, molti erano completamente assorti nei propri pensieri come il sottoscritto. Non ne avevo la consapevolezza in quel momento, ma quelle immagini, quel filmato avevano suscitato tanta emozione perché avevano ricordato la dimensione storica della nostro professione, quella dimensione  che è spesso  soffocata  dalla problematica contingente fatta di fretta, ripetitività, burocrazia, noia ed insofferenza. Nella nostra storia il nostro senso?




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