Tutte le mattine dei giorni lavorativi mi sveglio alle 6,30
al suono del marimba del mio telefonino. Con un occhio aperto e uno ancora
chiuso spengo la suoneria e, in maniera quasi automatica, apro la videata dell’agenda
per fare una breve ricognizione mentale su quello che dovrò fare durante la
giornata che sta iniziando. Abluzione, colazione, vestizione e poi via di corsa
in automobile... lascio mia figlia davanti alla sua scuola e poi di corsa in
ambulatorio.
Ricette, problemi di salute dei pazienti, certificati
cartacei e telematici e ancora ricette.
Ascolto, visito, rassicuro, m’inquieto, rispondo al
telefono, ascolto e ascolto.
Dopo l’ambulatorio, le visite domiciliari: ingorgo del
traffico, niente parcheggio, suono il campanello, quinto piano senza ascensore,
un po’ di febbre e tosse, ricetta e via……si va a pranzo. Qualche minuto di “pennica” in poltrona e poi
di nuovo via di corsa in automobile: altre visite domiciliari e poi alle 17,00
ancora ambulatorio con visite,
certificati e ancora ricette. Tutto scorre in maniera così veloce che non c’è mai
tempo per pensare, per considerare su quello che si sta facendo, su quale senso
abbia tutto questo, se era quello che volevo, quello per il quale tanto avevo investito
e lottato. Mi viene facile il parallelismo con il paziente affetto da malattia
di Alzheimer: colui che ha perso la propria storia e che non riconosce
la propria strada e la propria direzione. Ogni tanto però, può capitare di
poter riflettere, come è capitato in occasione della tradizionale assemblea degli iscritti
all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri che si è tenuta il 28 novembre
u.s. presso la nuova sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università
di Perugia. La scelta di tale ubicazione è stata fatta essenzialmente per due
motivi: uno, per far conoscere questa nuova struttura ai colleghi, due, per la
necessità di poter disporre di una maggior capienza poiché nella stessa
occasione si sarebbe celebrato il centenario della costituzione dell’Ordine dei
Medici.
Nonostante la pioggia battente, l’aula era affollatissima,
con le autorità e i 50enni di laurea in prima fila, i neo laureati e tanti
altri colleghi dietro. Il nostro Presidente, impeccabile come sempre, ha
illustrato l’attività del Consiglio dell’Ordine di quest’ultimo anno rilevando come
le difficoltà e le criticità che stiamo
vivendo come nazione e società si riflettano ovviamente anche su di noi.
Andando poi nel vivo della celebrazione del centenario si è passati alla proiezione
del documentario: ” Professione medico, 100 anni di storia degli Ordini dei
Medici”, il documentario realizzato
dalla Federazione Nazionale degli Ordini con la regia di Alessandro Varchetta e
la consulenza storica di Giorgio Cosmacini e Maurizio Benato.
Non nascondo che mentre stava per iniziare la visione, ero
convinto di dover trascorrere una mezz’ora piena di noia e di retorica: m’immaginavo
una lista di dichiarazioni ampollose da parte dei dirigenti della FNOMCeO,
qualche documento autocelebrativo e poco più, ma mi sbagliavo.
Tutto il documentario, infatti, è costituito dal montaggio
di tanti spezzoni di filmati dell’archivio storico dell’Istituto Luce che
fotografano in maniera realistica e talvolta quasi impietosa quella che è stata
la condizione e la realtà dei nostri “padri”. Si parte subito con l’analisi
della situazione sanitaria dell’Italia al momento della sua unificazione: la
grande miseria di tutto popolo, il grande divario fra le condizioni della popolazione
del nord con quella del sud, fra la gente di campagna e quella di città.
L’assistenza medica, per la maggior parte degli italiani, era garantita da
barbieri, cerusici improvvisati, dalle usanze e dalle credenze popolari di
ciascun territorio pertanto “……. a
Milano ci si curava in un modo e a Napoli in un
altro…….”.
Si prosegue con riforma universitaria Casati che ha determinato
il passaggio dell’istruzione
da un fatto privato o religioso a servizio pubblico, si va
avanti poi con la figura di Cesare Lombroso sino alla nascita della Direzione
generale di Sanità del 1888, emanazione del ministero dell’interno, che di
fatto sancisce il passaggio dell’assistenza sanitaria ad una funzione anche
questa pubblica. E’ di questo periodo l’istituzione del medico “condotto”,
condotto perché trasportato e pagato dai comuni per assistere i poveri e i
bisognosi. I problemi di salute che deve affrontare all’interno della propria
comunità sono innumerevoli e riguardano molto spesso le condizioni igieniche
generali ambientali e sociali, sulle quali il nostro medico condotto può in teoria far
molto, in quanto quasi sempre anche Ufficiale Sanitario, ma praticamente pochissimo
può fare: come è possibile, infatti, intervenire
sullo stato di malnutrizione generale, sulla pellagra, sulla mancanza di
fognature, sulla salubrità dell’edilizia scolastica o dell’ambiente di lavoro
degli operai? Ed è nel vedere quelle condizioni di vita quasi disumane che ti
senti prendere da quelle sensazioni interiori di difficile definizione: gli
occhioni neri di un viso triste di un bambino, lo sguardo rassegnato di un
vecchio, la miseria, la disperazione di chi ha fame sono immagini che evocano
stupore, emozione e dolore. Si va avanti con la prima guerra mondiale e il
ruolo essenziale che hanno avuto i nostri dottori. Il ventennio fascista che
pur perdendosi tra retorica e propaganda, ha molto tutelato la maternità e
l’infanzia e ha inferto discreti colpi alla malaria e alla tubercolosi. La
seconda guerra mondiale, il periodo postbellico con la ricostruzione e lo sviluppo
economico degli anni ’60, la crescita dell’Ospedale come centro di cura e
diagnosi e lo spostamento a suo favore dell’asse di interesse e di investimento
culturale ed economico. La medicina della mutua. La medicina tecnologica, la
chimica farmaceutica, l’ingegneria applicata alla medicina e alla biologia…...
viene in pratica ripercorsa tutta la storia dell’assistenza sanitaria italiana
dalle origini sino ai giorni nostri, rilevando come dopo cento anni se pure in
un contesto ed una cornice completamente diversi il medico ed il paziente
provano alla fine lo stesso senso di smarrimento e di preoccupazione. Allora era la mancanza di mezzi e la scarsità
delle informazioni, oggi paradossalmente è l’opposto: troppi mezzi che rimandano
a una deriva tecnocratica e troppe informazioni che comportano il rischio di
una medicalizzazione della società. Ecco quindi che quel volto di bambino
sofferente d’inizio novecento assume le sembianze di un bambino di adesso,
magari con un videogioco in mano, ma con gli stessi occhioni tristi di un bimbo che soffre. La sofferenza, la
rassegnazione, il dolore sono sempre gli stessi, non hanno una connotazione od
una data, fanno parte della vita da sempre o forse sono la vita da sempre. E’ da
quelle immagini, da quei filmati d’epoca che riprendono le azioni di un medico con
il cilindro e i baffoni all’umbertina che ho rivisto ognuno di noi….. in quanto
come diceva Benedetto Croce “…ogni storia è storia contemporanea, perché, per
remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano ,
essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione
presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni….”( La storia
come pensiero e come azione).
Sono convinto che quelle vibrazioni abbiano raggiunto tutta
la platea, appena terminata, infatti, la proiezione del documentario, alcuni
secondi di silenzio assoluto hanno fatto molto più rumore dell’applauso che è
seguito; qualcuno aveva gli occhi lucidi, molti erano completamente assorti nei
propri pensieri come il sottoscritto. Non ne avevo la consapevolezza in quel
momento, ma quelle immagini, quel filmato avevano suscitato tanta emozione
perché avevano ricordato la dimensione storica della nostro professione, quella
dimensione che è spesso soffocata
dalla problematica contingente fatta di fretta, ripetitività,
burocrazia, noia ed insofferenza. Nella nostra storia il nostro senso?
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